ANTONIO JULIANO – Agosto 1978

Sedotto e abbandonato dal Napoli, offeso dalla lista gratuita di Ferlaino, il «vecchio guerriero» promette vendetta: per sé e per la sua nuova squadra, il Bologna

Il sapore dell’amicizia

ADESSO «TOTONNO» Juliano ha riscoperto all’improvviso il sapore antico dell’amicizia. Di quella autentica e personale, però; di quel­la che il mondo contraddittorio del calcio può – a volte – stemprare in termini eco­nomici o di tornaconto ma che per un na­poletano di nascita e di sentimenti resta for­se il patrimonio maggiore. Quasi una regola di vita da tenere accuratamente fuori dalla professione, anche se dal pallone Juliano ha avuto tutto. Per questo, quando l’altro giorno alle 19,45 il Napoli è partito per il ritiro pre­campionato di Bressanone senza di lui (per la prima volta in sedici anni), «Totonno» s’è sentito tradito.

Defraudato di un patrimo­nio calcistico fatto di diciotto convocazioni in maglia azzurra, quattordici campionati di serie A, due di B e trecentonovantaquattro presenze in campo con ventisei reti realiz­zate. Quel curriculum, cioè, che fino a ieri l’aveva collocato sul piedistallo di «Re di Napoli» e padrino assoluto del S. Paolo. Da qui, la riscoperta dell’amicizia detta all’inizio. Identificabile nelle manifestazioni d’ affetto dei tifosi impreparati ad applaudire un «ciuccio» senza di lui e nelle proposte fattegli da squadre per le quali il vecchio guerriero è comunque un validissimo espo­nente di quella selezionata categoria di «pie­di e cervello fino» i cui eredi del talento cal­cistico si fanno sempre più rari.

D’accordo, le tecniche più moderne suggeriscono l’abo­lizione del tradizionale regista e forse la si­stematica richiesta di «Totonno» d’avere la palla al piede per poi smistarla, dopo una piroetta, verso il difensore fluidificante op­pure allungarla alla punta poteva rappresen­tarne una negazione (a tutt’oggi, però, an­cora da dimostrare in assoluto), ma resta il fatto incontrovertibile della sua intelligenza in campo e della sua classe naturale.
«E’ la qualità del lavoro che si fa in partita quello che più conta», un giorno si lasciò fuggire di bocca. E quindi oggi, dopo l’affronto della lista gratuita, s’è chiuso in una solitudine dai contorni malinconici e rabbiosi allo stesso tempo sicuro d’essere nel giusto.

ED ORA CHE è approdato al Bologna, sua se­conda squadra di sempre a trentacinque anni abbondantemente compiuti, rimane coerente con i suoi principi pur non rinnegando un passato felice e, perché no?, pure glorioso.
« Il passo che ho compiuto – afferma subito dopo la firma del contratto – non è stato fa­cile benché l’abbia effettuato con la massima convinzione. E, in questo, devo ringraziare mia moglie che m’ha sempre sostenuto».
– Lasciare Napoli e il Napoli non deve essere stato agevole, però …
«I cicli, purtroppo, si chiudono e non si può rimanere ancorati per tutta la vita ad uno stes­so ambiente o ad una medesima città. Certo, subito dopo questa mia nuova esperienza ritor­nerò a Napoli, alla mia terra. Al momento il mio è solo un arrivederci che durerà non più di due anni. Sono cosciente, infatti, dei miei limiti e di poter disputare non più di due tornei a buon livello. Poi riprenderò la via di casa, definitivamente».
– Sarebbe stato più semplice mettersi dietro ad una scrivania, e intraprendere la carriera dirigenziale. A proposito: l’ingaggio di Ferlaino non era poi tanto distante da quello che le ha offerto Conti …
«Non s’è mai trattato di soldi, questo è sicu­ro. Tant’è che, con i miei nuovi squisiti diri­genti, ho raggiunto l’accordo in poche battute, non più di quindici minuti di colloquio. E’ che continuando a giocare, intendo dimostrare di non essere finito. E di poter ancora dire una parola importante nel calcio italiano».
– Se l’aspettava, sinceramente, di dover la­sciare la squadra della sua città, di tutta una vita?
«Sapevo che Di Marzio non mi gradiva par­ticolarmente; e che, quindi, avrei potuto chiu­dere ogni discorso con la mia squadra di sem­pre. L’amarezza è dovuta al fatto che la noti­zia della mancata riconferma mi è stata co­municata con eccessivo ritardo, addirittura dopo la metà di luglio».
– I motivi?
«Solamente di natura tecnica, ha affermato Di Marzio. Ed allora ho concretizzato l’ipotesi di lasciare Napoli pur di continuare a giocare. Uno sfizio? Potrebbe essere, nella misura almeno in cui c’è stata gente che non ha creduto in me ed altra – invece – che m’ha voluto senza riserve».
– E si riferisce, tiene a precisare Totonno, ad altri tre clubs che lo hanno richiesto con se­rietà d’intenti.
«Cosa conto di fare qui a Bologna? Spero di far bene, è logico e di non deludere i miei nuovi tifosi. Ed i dirigenti, soprattutto Monta­nari con cui ho già trascorso una stagione a Napoli. Non vengo, sia chiaro, a dettare leg­ge: mi pongo, invece, al servizio della squadra, dei compagni, degli schemi che Pesaola vorrà dare alla compagine».
– Un ritorno il suo, con il Petisso …
«Che mi fa particolarmente piacere: è la con­ferma di aver fatto bene in passato e che le persone con cui ho lavorato mi ricordano volentieri».
– Conclusa, un giorno, la carriera agonistica, ritornerà al Napoli come dirigente? Ferlaino se la sentirà di ripeterle, all’indomani di questa vicenda, l’offerta di qualche giorno fa?
«Nei miei programmi esiste questa possibilità. Ancora, però, ad essere sincero non ci ho pensato seriamente. Forse perché sono napole­tano verace preferisco vivere alla giornata senza pormi troppe preoccupazioni per il fu­turo. Comunque la chance di riavere un ruolo nella mia ex squadra non è svanita. E perché poi? Con Ferlaino mi sono lasciato in buoni rapporti, in amicizia. Eppoi, se così non fosse stato, il presidente non mi avrebbe offerto (per di più con un ottimo stipendio) una poltrona dirigenziale e la lista gratuita».
– Resta però l’amarezza nei confronti di chi, magari con diplomazia, non l’ha voluta più con sé …
«Più che di amarezza parlerei di desiderio di rivincita. In fondo non ho effettuato una scelta di comodo. Parlo anche della mia famiglia, di mia moglie, dei tre bambini, il più piccolo dei quali ha sette mesi e gli altri due sono ora costretti a cambiare scuola».
– Cosa prova a cambiare maglia, città, club, amicizie a trentacinque anni?
«A dire il vero preferisco guardare avanti e non voltarmi indietro: come ho sempre fatto finora. E, poi, sono curioso di affrontare una nuova esperienza con tutte le novità che com­porta. Le amicizie? Non è danno grave perché, non ho lasciato nella «mia» Napoli amici veri, ci quelli – tanto per intenderci – cui chiedere aiuto in caso di necessità».

– Rimpianti sportivi dovrebbe averne, però… Magari la mancata conquista dello scudetto o il dialogo interrotto con la Nazionale…
«Il primo più del secondo. Ad un titolo italiano ci tenevo veramente, per me e per Napoli. Ci siamo anche andati vicini in talune occasioni. Bisogna dire, al riguardo, che c’è sempre man­cato qualcosa, meglio qualcuno, in linea tecni­ca. Quanto alla Nazionale mi ritengo soddisfatto delle mie diciotto presenze e delle prestazioni offerte in maglia azzurra. Sia chiaro, comunque, che non fa mai piacere a nessuno salutare la Nazionale».
– Ma cosa manca al Napoli per puntare de­cisamente allo scudetto?
«Difficile rispondere. Due sono, però, gli ar­gomenti che balzano maggiormente agli oc­chi: gli altissimi costi di gestione e la man­canza d’un settore giovanile davvero valido. La società, pensi, costa oltre un miliardo e mezzo all’anno: e solo in parte a causa degli ingaggi dei giocatori. I nostri emolumenti, in­fatti, non superavano l’anno passato gli otto­cento milioni. E’ che il Napoli ha troppe per­sone alle sue dipendenze. Il vivaio, poi, non ha mai offerto serie garanzie. Eppure è sem­pre costato fior di milioni. E quanti sono i napoletani veri che hanno giocato nella loro città con la casacca azzurra? Facciamo i con­ti: Juliano. E basta».
– E Montefusco?
«Sì ma il Napoli lo dovette riacquistare dalla Spal…».

juliano-edmn3r-ntervista-wp VIEN FACILE CHIEDERSI, a questo punto, se il club partenopeo non dovrà aspettare il ri­torno del suo rappresentante più schietto per assestarsi ai vertici del calcio italiano ed eu­ropeo magari con un’organizzazione interna più spartana, meno costosa, e – forse – più efficiente. Siamo a Bologna, Juliano ha firmato da pochi minuti il contratto che lo legherà per una stagione alla squadra felsinea: eppure il di­scorso scivola ancora su Napoli. Sulla città più che sulla squadra.
«I problemi sono tanti – dice Juliano – E pure difficili da risolvere. E’ facile riempirsi la bocca con frasi importanti e trovare le so­luzioni in teoria, a parole. Osservi il fenome­no del contrabbando di sigarette. In teoria, appunto, è da condannare. In pratica, però, è un bene che sopravviva: col contrabbando, infatti, vivono oltre trecentomila persone. Im­merse nel pericolo, per di più. Perché ci vuo­le coraggio, tanto coraggio, ad affrontare il mare in qualsiasi condizione e raggiungere le navi a venti-venticinque miglia lontano dal litorale. Al limite, poi, il contrabbando di sigarette non è nocivo. Chi ci lavora sa, di­fatti, che sarà lasciato relativamente tranquil­lo di operare finché si tratta di sigarette. Ben diverso sarebbe il discorso se si parlasse di droga: allora lo stato non chiuderebbe un occhio. E per i contrabbandieri sarebbe la fi­ne. Ecco, perciò, quasi per assurdo, che que­sto fenomeno non è poi così negativo. La gente, d’altra parte, deve campare. E d’aria non si vive…».
– Dei presidenti e dei tecnici che ha avuto a Napoli chi ricorda con maggiore sentimento?
«Forse il povero Gioacchino Lauro che ha governato il Napoli quando ancora era un divertimento giocare a calcio. Ma di nessuno (presidenti o allenatori) ho un ricordo nega­tivo. «U’ comandante», per esempio, è un grande personaggio: come non ricordarlo con affetto? E lo stesso Ferlaino che sta cercando di dare una nuova impronta al club. Con gli allenatori mi sono sempre trovato bene…».
– Lei ha trentacinque anni ma è sempre sulla breccia. Di Juliano si dice anzi che è uno degli ultimi rappresentanti dei cosiddetti re­gisti. Alcuni tecnici, però, affermano che vanno eliminati. Che oggi il gioco non deve passare attraverso un solo giocatore. Tutti registi, in­somma…
«Che vuole: ognuno parla in rapporto agli uomini a disposizione, lo dico che oggi, al­meno quanto a fatto tecnico, si gioca peggio d’una volta. Chissà… forse per motivi gene­razionali… ma giocatori di talento come De Sisti, ad esempio, non nascono più tanto fa­cilmente. Ecco perché noi «vecchi» siamo ancora utili. E possiamo anche farci rimpian­gere…».
– Lo svincolo di cui tanto si parla: lo ri­tiene un fatto positivo?
«Non so: direi di no. Meglio: ci sarebbe da dire che è un fatto logico, d’evoluzione, che doveva arrivare per forza. Ma che, forse, è arrivato troppo presto. Con questo sistema saranno in tanti a pensare al futuro, alla nuova stagione, quando il campionato è an­cora in pista. Ed ecco che tutto diventerà più difficile, più complesso…».
– I tifosi rossoblu si attendono molto da lei: non dimentichi che Juliano, in un certo senso, rappresenta il dopo-Bulgarelli. A parte la breve parentesi di Pecci, qui non ricorda­no più uomini d’ordine e di classe a centro­campo…
«Questo mi fa piacere: vuol dire che anche i tifosi credono nelle mie qualità. Faremo be­ne, io penso. Di questi tempi – in verità – nessuno parla di retrocessione. L’unico sin­cero è stato Pizzaballa secondo il quale un­dici club hanno da temere la permanenza nella massima serie. Spero, però, che il Bo­logna, quest’anno, lasci più tranquilli i suoi tifosi. Anche se, lo ripeto, il torneo sarà du­ro come quello che s’è concluso a maggio».
L’intervista si stempera in linea con la nuova realtà. Il passato partenopeo rimane tale: al massimo – in Juliano – vivrà di proiezioni. Perché l’oggi è diverso: e con lui (un ragaz­zino, s’è sentito di affermare il medico Dalmastri dopo le rituali visite di controllo) il presidente Conti e i suoi uomini sperano di vivere un torneo, il prossimo, più tranquillo e meno rischioso dei precedenti. Lo meriterebbe, per prima, la tifoseria (ci­vile ed appassionata) che vorrebbe gustarsi pure qualche scampolo di bel gioco. E lasciare i ricordi, anche quelli belli e forse irripetibili, alle proteine della memoria.