Nel luglio 1984, alcune frasi, attribuite a Rosario Lo Bello, scatenano un putiferio.
Testo di Sergio Taccone, coautore con Gianfranco Giordano del libro “La stagione di Mark Hateley. Il Milan 1984/85” (Storie Rossonere, con intervista ad Andrea Icardi, 2024).
A quattro anni dallo scandalo del calcioscommesse, con il pallone italiano rotolato nel fango, alcune dichiarazioni attribuite a Rosario Lo Bello crearono grande scompiglio soprattutto all’interno della classe arbitrale. Era il luglio del 1984. “Qualcuno arbitra con un occhio al tabellone dei risultati”: questo venne riportato dal quotidiano La Repubblica, parole che il direttore di gara siciliano, già in possesso della qualifica di arbitro internazionale, avrebbe detto parlando informalmente alla presenza di alcuni giornalisti, durante un pranzo a Brucoli, nei pressi di Augusta. Frasi di una certa gravità sul sistema arbitrale italiano.
“L’arbitro Lo Bello sospeso e sotto inchiesta” titolò il giornale l’Unità il 6 luglio ‘84. Alcuni giorni dopo, il Guerin Sportivo uscì con un pezzo a tutta pagina: “Il brutto di Lo Bello. Le parole degli arbitri sono pietre”. Il settimanale, diretto allora da Adalberto Bortolotti, andò giù pesantemente: “Rosario Lo Bello, a tavola, in riva al mare, avrebbe detto che il calcioscommesse è uno scandalo che non si è affatto esaurito e che i tabelloni degli stadi comunicano continuamente agli arbitri che puntano i risultati degli altri incontri, inducendoli ad incidere sui punteggi di quelli che stanno dirigendo”.
L’effetto fu quello di un grosso masso scagliato in uno stagno. Lo Bello, allora trentanovenne, uno degli arbitri italiani di spicco, tirò in ballo anche l’ex presidente dell’Uefa, Artemio Franchi, deceduto un anno prima. “Con la sua morte, le marachelle di qualche arbitro non sono passate più impunite”, avrebbe aggiunto nel corso di quel pranzo il direttore di gara di Siracusa.
L’Unità scrisse che l’arbitro in questione sarebbe stato Gino Menicucci, parlando anche di “pungenti critiche, da parte di Lo Bello, nei confronti delle varie categorie della pedata, snocciolate a Brucoli tra raffinatezze culinarie e vino Doc”. Il Guerin Sportivo ricordò che “gli arbitri sanno che non possono toccare pubblicamente certi argomenti, che hanno accettato di non toccarli ed ogni divagazione non può non essere punita. Specialmente se si parla di corruzione, di scommesse, di risultati di partite. L’Aia non può continuare a non esistere perché è inconcepibile che la sua unica funzione di controllo consista nell’inviare i ritagli dei giornali all’ufficio inchieste, quindi condurre procedimenti inutili e stupidi”.
L’argomento principale delle cronache calcistiche, in quei giorni, era l’arrivo a Napoli di Diego Armando Maradona. Il quotidiano del Partito Comunista Italiano, diretto allora dal nisseno Emanuele Macaluso, aggiunse: “Per il figlio d’arte dell’onorevole diccì Concetto, ex fischietto internazionale di grido, è arrivata puntuale la sospensione e l’esclusione dall’elenco degli arbitri internazionali per il prossimo anno. Per il momento è soltanto una decisione cautelativa. Dopo l’inchiesta del grande inquisitore del calcio, Corrado De Biase, scatterà la squalifica, come è accaduto in passato a Casarin e Menicucci, oppure l’assoluzione per non aver commesso il fatto o per mancanza di prove”.
La sospensione venne decisa dal Consiglio Federale della Federcalcio. Ascoltato per tre ore, a Firenze, dal citato De Biase, capo dell’Ufficio inchieste della Figc, Lo Bello venne squalificato fino ad inizio gennaio ‘85 dalla Commissione di disciplina nazionale dell’Aia “per aver rilasciato, alla presenza di giornalisti, dichiarazioni, considerazioni ed apprezzamenti gravi nonché lesivi della reputazione dei tesserati”.
Scrisse ancora l’Unità: “Nel calderone di quelle frasi, riportate da alcuni cronisti presenti al ristorante, son finiti in tanti: colleghi di Lo Bello, quelli che sarebbero stati appassionati di totonero e puntuali scommettitori, capaci per realizzare martingale di condizionare il corso delle partite da loro dirette, dopo aver visto sui tabelloni elettronici i risultati delle altre partite”.
Il quotidiano comunista ricordò, inoltre, un particolare: Lo Bello non aveva denunciato gli estensori degli articoli: “Toccherà a lui dimostrare di non aver detto quelle cose. Lui afferma di avere testimoni. Altrimenti, se sceglierà la strada del ‘calcio pulito’, dimostri con prove documentate le sue accuse, senza remore e timori. Il calcio italiano ha bisogno di ritrovare la sua credibilità”.
Le frasi di Brucoli costarono al direttore di gara siracusano l’assegnazione del prestigioso Premio Mauro, riconoscimento molto ambito, essendo risultato il miglior arbitro di serie A della stagione 1983/84. Un eccesso di loquacità pagato a carissimo prezzo da Rosario Lo Bello.
Nessuno sentì il dovere di approfondire quelle gravissime affermazioni su fischietti appassionati di scommesse e disposti a condizionare il corso delle partite. Un passaggio riguardò i presidenti delle società calcistiche: “tutti arricchiti tranne l’interista Fraizzoli”. Tra i riferimenti attribuiti a Lo Bello rientravano anche Bruno Giordano (“Rimane in campo quello che è nella vita a causa del sul livello culturale”), Michel Platini (“E’ un signore, ci scambiammo un vaffanculo e non successe nulla”), l’arbitro Pierluigi Pairetto (“Giovane promettente ma hanno bruciato anche lui”) e l’allenatore Luis Vinicio (“E’ un cinico ed un calcolatore”).
Altra roba esplosiva. L’Udinese preannunciò di adire le vie legali per difendere la reputazione del suo allenatore (Vinicio). Un pentolone in ebollizione. Lo Bello smentì totalmente quanto pubblicato dai giornali dopo il pranzo di Brucoli, inviando un telegramma ai direttori dei quotidiani che avevano riportato quelle dichiarazioni, aggiungendo di avere testimoni a sua totale discolpa. “Il calcio italiano pieno di sospetti – proseguì l’Unità – ha bisogno di riacquistare la sua credibilità”.
L’autorevole Gualtiero Zanetti, tra le penne più eleganti ed acuminate del Guerin Sportivo, commentò: “Le dichiarazioni, addebitate all’arbitro Lo Bello, sono largamente verosimili. Quello che avrebbe detto servirebbe al riscatto dell’organizzazione. Sbagliano gli arbitri quando parlano in quel modo ma si sbaglia di più quando non si tiene nel dovuto conto quello che hanno detto. Cerchiamo di capire dove volevano andare a parare. Lo Bello ha scelto il modo sbagliato, ancorché l’unico praticabile. Niente accadrà”.
E niente accadde. La squalifica di Lo Bello venne ridotta a due mesi. L’arbitro di Siracusa tornò in campo il 18 novembre ‘84, dirigendo Triestina-Varese di serie B, vinta 2-1 dagli alabardati guidati da Massimo Giacomini. Una settimana dopo per Rosario Lo Bello ci fu il rientro nel massimo campionato: Atalanta-Avellino 3-3. Una partita contrassegnata da una sarabanda di emozioni, con gli orobici avanti 3-0 (doppietta di Vella e Stromberg) e rimontati dagli irpini, a segno con Faccini, Colomba su rigore e Angelo Colombo.
Un incontro rimasto indelebile nella memoria dei tifosi atalantini per la clamorosa rimonta subita, con tre reti incassate in poco più di una decina di minuti. Emblema di una partita buttata via dall’Atalanta e di una grande impresa per l’Avellino. L’arbitraggio di Lo Bello venne valutato positivamente. Gli irpini dovettero uscire in tutta fretta dal rettangolo di gioco per evitare una fitta sassaiola proveniente dalla curva orobica. Vennero presi di mira anche alcuni operatori della Rai.
Dopo aver ben diretto Fiorentina–Juventus 0-0, penultimo turno prenatalizio di campionato, Lo Bello tornò in campo domenica 6 gennaio 1985 per arbitrare, a San Siro, la sfida d’alta classifica tra l’Inter di Ilario Castagner e la Roma di Sven Goran Eriksson, con i nerazzurri secondi a due punti dal Verona capolista e i giallorossi al quinto posto. Una partita disputata su un terreno ghiacciato che rese oltremodo difficile la tenuta in equilibrio dei giocatori.
“Impossibile giocare in un campo così”, disse l’allenatore interista al termine della gara. Carlo Coscia, inviato del quotidiano La Stampa, scrisse: “Inter-Roma? Hockey senza pattini, giocatori che sembravano camminare sulle uova e frenavano la loro corsa con rapidi passetti, fischi un po’ a casaccio di Lo Bello, qualche sussulto sugli spalti ma giusto per scaldarsi”. Il giornalista del quotidiano torinese assegnò all’arbitro 5,5 in pagella.
Carlo Grandini (Corriere della Sera) giudicò appena sufficiente la direzione di gara del fischietto aretuseo. “Il 6 in pagella va inteso arrotondato per eccesso. L’arbitro è stato eccessivamente accomodante in occasione di uno scontro Buriani-Baresi, d’un fallo di Ancelotti su Brady e di proteste non proprio eleganti di Causio e Baresi”, precisò Grandini.
Del putiferio scoppiato pochi mesi prima non era rimasto niente. Tutto dimenticato, rimosso. Per dirla con William Shakespeare: molto rumore per nulla.
Testo di Sergio Taccone, coautore con Gianfranco Giordano del libro “La stagione di Mark Hateley. Il Milan 1984/85” (Storie Rossonere, con intervista ad Andrea Icardi, 2024).