Argentina 78: il Mondiale desaparecido

Sospinti dagli arbitri e da una “combine”, gli uomini di casa vincono come voleva la dittatura

La candidatura dell’Argentina per l’organizzazione del Mondiale di calcio partiva da lontano. Negli anni Cinquanta, a frenare le aspirazioni organizzative erano stati i ricorrenti problemi, con relativi scioperi dei giocatori, legati al professionismo. Negli anni Sessanta, le perennemente precarie condizioni politiche del Paese. Il grande scontro col Messico per il Mondiale 1970 si era risolto nel 1964 con una netta sconfitta. Due anni dopo, però, nel Congresso Fifa di Londra, i rappresentanti argentini riuscirono a strappare la promessa che la successiva edizione sudamericana sarebbe stata loro. Nel 1970, ai Mondiali in Messico. la promessa venne rinnovata.

Nel 1974, durante la manifestazione tedesca, all’investitura fu conferito carattere ufficiale: il gran ritorno di Juan Peron al potere nel settembre 1973 dopo diciotto anni di esilio era sembrato confermare l’impressione di stabilità politica ormai conseguita. Peron morì tuttavia nel luglio dello stesso 1974, aprendo una fase di gravi turbolenze. Gli succedette la moglie, Isabelita, incapace di governare i disordini che subito si accesero, per durare fino al 1976, quando con un colpo di Stato il generale Rafael Videla si impadronì del potere, instaurando una dittatura militare di sanguinoso stampo repressivo. Nel frattempo la macchina organizzativa era rimasta ferma. Sollecitato dalla Fifa, il regime militare fornì ampie rassicurazioni: nel dicembre del 1976, a un anno e mezzo appena dal via, venne costituito l’Ente Autarquico Mundial, che lanciò la mobilitazione generale, sollecitando allo spasimo lo spirito nazionalistico.

Contraendo debiti spaventosi (attorno al miliardo e mezzo di dollari), furono avviati e realizzati imponenti lavori per l’impiantistica. con realizzazione di nuovi stadi a Mar del Plata, Cordoba e Mendoza, restauri in quelli di Buenos Aires e Rosario, oltre all’ammodernamento dell’aeroporto di Ezeiza e ad altre opere nella capitale. Un piano di sicurezza di spaventosa efficienza venne varato per ovattare la manifestazione in un guscio di serenità. Anni dopo, il mondo avrebbe conosciuto la verità sulla micidiale opera di annientamento degli oppositori perpetrata dal regime dei generali. Nel 1978, il Mondiale offriva la luccicante vetrina dell’ordine ristabilito nel Paese della pampa.

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Menotti e Videla

L’ITALIA A BEARZOT

Nel girone per le qualificazioni mondiali di Argentina 1978, agli Azzurri guidati da Bearzot fanno compagnia gli inglesi, con i quali solo da poco (1973) abbiamo superato un atavico complesso. Le qualificazioni partono a ottobre, col primo morbido approccio in Lussemburgo. Gli azzurri ci arrivano dopo aver vinto un paio di amichevoli (scialbo 1-0 ai danesi a Copenaghen, convincente 3-0 alla Jugoslavia all’Olimpico). Ci sono facce nuove, nella squadra. Marco Tardelli, terzino destinato a passare alla storia come uno dei più completi centrocampisti del nostro calcio, e il suo compagno Roberto Bettega, attaccante a tutto campo di assoluto valore e poderosa stazza fisica, pienamente recuperato dopo lo stop di una grave malattia polmonare; in sostanza, due eclettici, come Scirea, la spina dorsale di una Nazionale che un giorno tutti scopriranno, come d’incanto, cambiata e modernizzata.

Il primo big match è in agenda il 17 novembre all’Olimpico. Con una perfetta interpretazione, la Nazionale azzurra affonda avversari presentatisi chiusi a catenaccio. Una lieve deviazione in autogol di Keegan su poderoso tiro di Antognoni e un leggendario gol in tuffo di testa di Bettega su una invenzione dello scatenato Causio fissano il risultato sul 2-0. La successiva nuova collana di amichevoli ripiomba tuttavia la squadra nel solco della mediocrità: sconfitta senza attenuanti in Portogallo (1-2), vittoria su l’Eire per 2-0 a Genova dell’Italia B. successo risicato in un scialbo match col Belgio a Roma (2-1 ). La chiusura è in giugno, con una comoda e utilissima vittoria per 3-0 a Helsinki. La stagione si chiude salutando le forze fresche portate alla ribalta dall’Under 21 di Vicini: il centravanti Paolo Rossi, dominatore col Vicenza del torneo di B, e il terzino mancino Cabrini. emergente della Juventus.

La fase sperimentale continua con una sconfitta a Brema dell’Italia B e un’altra della squadra A a Berlino contro la Germania Occidentale. Il 15 ottobre 1977 gli azzurri battono la Finlandia a Torino per 6-1, conseguendo grazie a una buona prestazione il risultato rotondo richiesto dal calcolo della differenza reti. Bearzot si dimostra in questo un abile programmatore e infatti il match di ritorno con gli inglesi dice male agli azzurri, ma non li danneggia sulla via di Baires. A Wembley scende in campo una squadra apatica, votata a un match scoordinatamente difensivo. Inglesi in vantaggio con la stella Keegan, su cui Bearzot sbaglia la marcatura, affidandolo in avvio all’interno Zaccarelli, poi al raddoppio con Brooking. Il 3 dicembre a Roma un anonimo 3-0 al Lussemburgo basta all’Italia per qualificarsi ai Mondiali a spese dell’Inghilterra, superata con identico punteggio (10) e migliore differenza reti. Inevitabile la freddezza della critica nei confronti del Ct.

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La gioia di Tardelli e Bettega, colonne della nuova Italia di Bearzot, dopo la vittoria sull’Inghilterra del 1976

Un buon successo a Liegi sul Belgio per 1-0 in amichevole a dicembre rasserena il clima, concedendo l’esordio in azzurro a Paolo Rossi, micidiale anche in A col suo Vicenza. Nuovi esperimenti tenta Bearzot a Madrid in gennaio, ricavandone una deludente sconfitta per 1-2, ma anche buone impressioni sui progressi di Paolo Rossi, centravanti di piccola taglia, ex ala dal dribbling fulminante trasformatasi in implacabile cacciatore di reti. In febbraio a Napoli contro la Francia (2-2) una modesta prova degli azzurri incrementa le perplessità attorno alla squadra, ancora legata all’ossatura juventina, nonostante la strepitosa Juve atletica del campionato 1976-77 cominci a declinare, pur mantenendo il primato. Si registra anche un cambio al vertice: Franco Carraro diventa presidente del Coni, al massimo soglio della Figc torna Artemio Franchi.

Impermeabile alle critiche, Bearzot in aprile stila la sua lista dei 22. Non vi compare Facchetti, reduce da un grave infortunio; del Vicenza secondo in classifica c’è solo Paolo Rossi, capocannoniere del campionato. L’8 maggio, all’Olimpico, contro la Jugoslavia, lo 0-0 e l’assenza di gioco indispettiscono il pubblico, che fischia e insulta pesantemente Bearzot. L’attesissimo Paolo Rossi è rimasto in panchina, invocato invano dalle gradinate. I commenti sono duri, persino spietati. Quasi impossibile riuscire a nutrire ottimismo sulla Nazionale che si imbarca per il Sudamerica.

I GRANDI ASSENTI

Il numero di iscrizioni al Mondiale tocca un nuovo record, superando quota cento. Accanto a Germania Ovest e Argentina, qualificate di diritto, delle 101 nazioni aspiranti alla fase finale le qualificazioni scremarono: Polonia (su Cipro, Danimarca e Portogallo), Italia (su Finlandia, Inghilterra e Lussemburgo), Austria (su Germania Est, Malta e Turchia), Olanda (su Belgio, Irlanda del Nord e Islanda), Francia (su Bulgaria e Eire), Svezia (su Norvegia e Svizzera), Scozia (su Cecoslovacchia e Galles), Spagna (su Jugoslavia e Romania), Ungheria (su Grecia, Urss, Bolivia, Uruguay e Venezuela), Iran (su Hong Kong, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Corea del Sud, Giappone, Israele, Corea del Nord – ritirata -, Arabia Saudita, Siria, Bahrein, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti – ritirati -, Australia, Nuova Zelanda e Taiwan), Brasile e Perù (su Colombia, Paraguay, Cile ed Ecuador), Messico (su Stati Uniti, Canada, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Panama, Repubblica Dominicana, Haiti, Guyana, Suriname, Antille Olandesi, Giamaica, Cuba, Barbados e Trinidad & Tobago) e Tunisia (su Algeria, Alto Volta, Camerun, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Ghana, Guinea, Kenya, Libia, Malawi, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica Centrafricana – ritirata -, Senegal, Sierra Leone, Sudan – ritirato -, Tanzania – ritirata -, Togo, Uganda, Zaire e Zambia). Notevole il lotto delle grandi escluse, soprattutto in Europa, dove accanto all’Inghilterra, al secondo tonfo consecutivo, si accompagnava la Cecoslovacchia, fresca vincitrice a sorpresa degli Europei su Olanda (in semifinale, con conseguente addio di Cruijff alla maglia arancione) e Germania Ovest (in finale); a compiere l’impresa è la Scozia. In Sudamerica, continua la crisi profonda dell’Uruguay.

ITALIA TRITATUTTO

La formula è la stessa di quattro anni prima, con tutti i difetti della sistematica rinuncia all’eliminazione diretta. Nel primo turno all’Italia tocca un gruppo di ferro, che comprende i padroni di casa, oltre alle temibili Francia e Ungheria. L’Argentina, favorita per ragioni “ambientali” (il regime ha dato un imperativo: vincere) è guidata da Luis Cesar Menotti, detto “El Flaco”, lo smilzo, accreditato di un carattere di ferro, sotto lo smalto dei modi distinti da abile diplomatico. Ha lavorato per un quadriennio sui giocatori e la loro mentalità, raccogliendo frequenti rovesci e scarsissime vittorie. Tra le mani, gli è sbocciato il fiore di un promettentissimo talento, che tuttavia reputa troppo giovane: si chiama Diego Armando Maradona, lo porta nel ritiro coi “grandi” soprattutto per ragioni alimentari. Scottato dai risultati, con l’approssimarsi del momento della verità, il Ct ha richiamato dalla Spagna il “traditoreMario Kempes, campione d’attacco del Valencia, dopo averlo accomunato nell’ostracismo agli altri “emigrati”.

A Mar del Plata, sede azzurra, fa freddo, il clima ideale per recuperare energie dopo la calda primavera italiana. L’uomo del giorno è Paolo Rossi, appena pagato dal Vicenza, per vincere alle buste la concorrenza della Juventus, lo sproposito di 2 miliardi e 612 milioni per la metà (il piccolo club veneto pagherà l’anno dopo con la retrocessione in B). In un galoppo che il 27 maggio gli uomini di Bearzot sostengono sul campo della “Bombonera” del Boca Juniors contro il Deportivo italiano, il Ct sostituisce nella ripresa il terzino sinistro Maldera e il centravanti Graziani coi due giovani Cabrini e Paolo Rossi, ricavandone una promettente impressione.

Così per il debutto nel nuovissimo stadio di Mar del Plata, appena ultimato, il Ct azzurro manda in campo una Nazionale rinfrescata, con Zoff in porta, Gentile e Cabrini terzini, Bellugi stopper, Scirea libero; centrocampo con Benetti in regia arretrata, Causio sulla fascia destra a garantire fantasia, Tardelli tuttofare a centrocampo, Antognoni rifinitore; in attacco, Rossi e Bettega. Fischio d’avvio e doccia fredda: Six sulla sinistra beve Gentile e Scirea, crossa alto per Lacombe che infila in rete. Sono passati 36 secondi, l’Italia è già nell’anticamera del dramma. Ma non crolla.

Costretta ad attaccare, la squadra azzurra sfodera animo e geometrie, mettendo alle corde i transalpini. Il centrocampo è impeccabile nel chiudere (Tardelli annulla il temutissimo Platini) e altrettanto rapido ad articolare ficcanti azioni offensive. Coglie il pareggio lo scatenato Rossi, freddissimo a infilare Bertrand-Demanes al termine di un batti e ribatti in area. Nella ripresa, Zaccarelli, entrato a sostituire Antognoni per garantire maggiore copertura difensiva (specie sul guizzante Guillou), sorprende il portiere francese con un destro al volo su lungo cross di Gentile.

Il secondo appuntamento viene facilitato dalle angherie consumate dall’arbitro Garrido consuma nel match inaugurale tra gli uomini di casa e l’Ungheria, passata sollecitamente in vantaggio e poi vistasi privare dei suoi due fuoriclasse, Torocsyk e Nyilasi, entrambi espulsi. Quello coi magiari per l’Italia è un autentico festival, come attesta il bilancio conclusivo: tre gol, tre traverse (di Bettega) e una iniziativa di gioco offensivo mantenuta dal primo all’ultimo minuto. I commentatori stranieri restano stupiti: gli italiani non erano quelli del “catenaccio”?

Gli azzurri dominano la scena: Rossi apre le marcature trasformando in gol da pochi passi la respinta del portiere Meszaros su tiro di Tardelli deviato da Kocsis; Bettega raddoppia infilando un cross di Causio da destra (controllato con l’aiuto di una mano); infine Benetti trafigge il portiere con una “bomba” al volo dal limite su passaggio di Bettega. Salva la bandiera ungherese un rigore discutibile per un intervento di Bellugi su Csapo. Nel mezzo, i tre legni colti in pieno da Bettega. L’Italia è ammessa matematicamente alla seconda fase e il pessimismo generale è già diventato entusiasmo.

Anche l’Argentina ha subito chiuso la pratica, cogliendo la seconda vittoria, pesantemente favorita dalla direzione di gara: lo svizzero Dubach ha regalato agli uomini di Menotti un rigore (“mani” involontario, in caduta, di Tresor), poi, dopo il pareggio di Platini e il vantaggio di Luque, ha negato un rigore clamoroso per fallo su Six. A mente sgombra, con in palio l’unico obiettivo della destinazione (chi vince resta a Buenos Aires, chi perde “emigra” per la seconda fase a Rosario), gli azzurri fanno visita ai padroni di casa, nel “Monumental” di Buenos Aires e la tentazione di impartire una nuova lezione di gioco è troppo forte.

Bearzot rinuncia all’idea di far riposare qualche titolare, confermando l’undici delle prime due partite. Con una condotta di gara esemplare, gli azzurri dominano gli avversari e vincono meritatamente grazie a una prodezza di Bettega, che chiude con un perfetto diagonale un veloce triangolo con Rossi, lesto a restituire al volo di tacco (il gol verrà votato come il più bello del Mondiale). Enorme è l’impressione che il dominio azzurro nell’arcigno stadio del River suscita. Per gli argentini è un campanello d’allarme: dovessero arrivare in finale, gli italiani rappresenterebbero un ostacolo insuperabile.

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La splendida rete di Roberto Bettega contro l’Argentina

UN FILO DI SCOZIA

Nel secondo gruppo passeggiano Polonia e Germania Ovest. Si accarezzano nel soporifero match inaugurale, poi i polacchi superano Tunisia e Messico senza problemi, mentre i tedeschi, in una versione distante anni luce da quella campione 1974, vincono di goleada sul Messico, poi pareggiano con la Tunisia, così da evitare per la fase successiva il girone con Argentina e Brasile.

Nel terzo gruppo, vita difficile per il favorito Brasile, percorso da vivaci polemiche interne: il Ct Coutinho ha escluso dai 22 individualità di spicco come i difensori Luis Pereira e Francisco Marinho e il centrocampista Paulo Cesar Lima, mentre è aperta la guerra tra i due fantasisti Zico e Dirceu. Bloccati sul pareggio dalla Svezia in avvio e poi nel secondo match dalla Spagna, che fallisce con Cardenosa una clamorosa palla gol, gli auriverdc (senza Zico e Rivelino) riescono a strappare un risicato successo sull’Austria, dominatrice del girone e già qualificata dai successi nei primi due match, passando così il turno.

Nell’ultimo raggruppamento vanno in scena le sorprese, per l’inattesa defaillance degli scozzesi, propensi a esaltare più il proprio tasso etilico che quello tecnico, con l’aggiunta di Johnstone pizzicato al controllo antidoping (unico caso del Mondiale). Il Perù del fuoriclasse Cubillas, che compensa la pancia alla quinto mese con la classe ancora purissima, e del leggendario Chumpitaz (34 anni: «Ha tanta classe» spiega il Ct Calderon «che potrebbe giocare una finale mondiale seduto su una poltrona collocata ai nostri sedici metri») si sbarazza di Jordan e soci, poi resiste agli olandesi che in apertura hanno strapazzato l’Iran. Quest’ultimo pareggia la partita con gli scozzesi, dopo uno svantaggio su autorete, così cogliendo il risultato più clamoroso della prima fase. Inutile il soprassalto finale degli uomini di Ally MacLeod, che riescono a battere la deludente Olanda, con un punteggio tuttavia non sufficiente a scongiurare l’eliminazione per differenza reti.

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Joe Jordan illude la Scozia nel match contro il Perù

PROFONDO ARANCIO

Gli azzurri restano dunque a Baires, mentre l’Argentina è costretta alla sede decentrata di Rosario. Ci toccano Germania, Austria e Olanda. Contro i tedeschi occidentali, privi dell’unico “creativo”, Hansi Muller, gli azzurri segnano in parte il passo. Formazione ancora invariata, netto dominio territoriale dopo un gran volo di Zoff a fermare un tiraccio di Holzenbein e tre limpide occasioni fallite d’un soffio: salva in extremis Vogts su Tardelli, sventa sulla linea Kaltz su Bettega, poi è quest’ultimo a fallire la mira per questione di centimetri. Nella ripresa, dentro Zaccarelli per Antognoni, ma l’inespugnabile bunker tedesco (l’unico ancora inviolato di tutto il Mondiale) resiste.

Il secondo match ci vede opposti all’Austria, una delle rivelazioni, grazie a un gruppo di uomini di gran classe come il classico stopper Pezzey, l’illuminato regista Prohaska, il raffinato rifinitore Jara e l’implacabile centravanti Krankl, abile nel palleggio per quanto efficace al tiro. La risorta Olanda, tuttavia, l’ha brutalizzata per 5-1, ridimensionandone le aspirazioni. Questa volta Bearzot lascia fuori Antognoni, acciaccato, preferendogli il solido Zaccarelli. Decide una prodezza di Rossi dopo neanche un quarto d’ora: tacco al funambolico Causio, palla di ritorno soffiata a Koncilia e depositata in gol.

Il primo tempo è di grana buona, con il satanasso Cabrini ancora protagonista sulla fascia sinistra e Rossi inafferrabile nel cuore della difesa austriaca. Perfetta la difesa, col temutissimo Krankl ridotto all’impotenza, nonostante l’infortunio muscolare che ha tolto di mezzo Bellugi dopo il primo tempo. Nella ripresa, la fatica si fa sentire: l’Italia ha speso moltissimo nella scintillante prima fase. La rivincita di Monaco ‘74 tra tedeschi e olandesi è accesa e spettacolare. Cade dopo 475’ ad opera di Haan l’imbattibilità di Maier, che comunque ha battuto il precedente primato di 438’, stabilito da Banks nel 1966. Due volte in vantaggio, due volte raggiunti, i tedeschi mancano la grande occasione.

Il pari ci impone di battere l’Olanda, penalizzati come siamo nel calcolo della differenza reti. Fuori l’infortunato Bellugi, Bearzot arma Cuccureddu sulla linea dei terzini (portando a nove gli juventini in campo), sposta Gentile al centro della difesa e conferma Zaccarelli a centrocampo. Il primo tempo vede l’Italia dominare. Qualche difficoltà di Gentile su Rep non inficia il gioco superiore dei nostri, che vanno meritatamente in vantaggio, seppure su autorete di Brandts, che infila (e ferisce) il proprio portiere nel tentativo di anticipare lo scatenato Bettega.

Gli olandesi picchiano come fabbri e l’arbitro chiude gli occhi sulle loro rudezze, salvo riaprirli sulle risposte italiane; il primo a farne le spese è Benetti, ammonito poco prima della mezz’ora e da quel momento in defaillance mentale per la certezza di dover comunque mancare la finale. Il vantaggio suggerisce nell’intervallo a Bearzot un calcolo fatale: risparmiare Causio per la finale sostituendolo con Claudio Sala, grande campione, ma corpo estraneo nei consolidati schemi azzurri.

Nella ripresa Happel libera Neeskens dall’innaturale compito della guardia a Rossi e gli arancioni vanno all’assalto, mentre gli azzurri calano vistosamente sul piano atletico e l’arbitro spagnolo Martinez provvede (non si sa mai) ad ammonire anche Tardelli, l’unico con Benetti ad essere già gravato da ammonizione e dunque ugualmente escluso dalla finale. Brandts si riscatta indovinando una impressionante botta da venticinque metri che folgora Zoff. Gli olandesi sono in crescendo atletico, gli azzurri annaspano e si concedono al colpo del k.o., colto da Haan addirittura da quaranta metri, con Zoff nettamente sorpreso. Nell’altra partita, combattutissima nonostante gli austriaci siano già fuori, i tedeschi soccombono, uscendo pure loro di scena.

LA CRESTA DELL’ONTA

Nell’altro raggruppamento gli aspiranti alla parte del “terzo incomodo” vengono subito ridimensionati: la Polonia viene affossata da un’Argentina che Menotti va cambiando in corsa dopo il claudicante avvio. Partendo da lontano, il mobile Kempes riesce micidiale in progressione, la sua doppietta non lascia scampo ai polacchi, complice tuttavia una prodezza di Fillol a neutralizzare un rigore di Deyna concesso dal coraggioso arbitro Eriksson. Il Perù cede di schianto al ritrovato Brasile, trascinato dal terrificante sinistro di Dirceu. La Polonia si riprende battendo il Perù con un gol del vecchio Szarmach e a quel punto lo scontro diretto tra Argentina e Brasile si risolve in un nulla di fatto frutto del timore reciproco.

A questo punto accade il fattaccio. Le due squadre sono a pari punti, con differenza reti favorevole al Brasile. Le due squadre giocano nello stesso giorno, ma a orari sfalsati e naturalmente a godere del vantaggio sono gli uomini di casa. Invano il Brasile chiede all’organizzazione di garantire la contemporaneità. Battendo la Polonia per 3-1, a conferma del proprio crescendo vistoso di rendimento, gli uomini di Coutinho vanno a 5 punti e a + 5 di differenza reti. Dunque, l’Argentina deve vincere con almeno 4 gol di scarto. Corre qualche voce inquietante sul portiere peruviano Quiroga, che ha origini argentine e gioca proprio in Argentina.

Ogni sospetto tuttavia sembra svaporare sull’avvio veemente dei peruviani, che con Munante scardinano subito il dispositivo di sicurezza di Menotti: palleggio ubriacante e palo a portiere battuto. Ci deve pensare Kempes, come sempre: l’asso va in gol, poi raddoppia Tarantini. Nel secondo tempo il Perù si consegna docile all’esecuzione. per l’Argentina è un comodo tiro al bersaglio, con Quiroga nei panni del colabrodo. Finisce 6-0, con un forte odore di combine. I brasiliani protestano invano, mentre i fari si appuntano su Quiroga, che nega disperatamente. Qualche anno dopo, ammetterà di essersi venduto.

LA BEFFA ARRIVA DA LONTANO

Gande è l’amarezza nel clan azzurro, dove si respira l’aria della grande occasione mancata. Nella finalina per il terzo posto Bearzot deve affrontare i brasiliani a ranghi ridotti causa squalifiche di Benetti e Tardelli e le condizioni di Zaccarelli. Confermati Cuccureddu terzino e Gentile stopper, a centrocampo vengono inseriti il mediano torinista Patrizio Sala e addirittura il terzino Maldera nei panni di interno sinistro. Nonostante tutto, ottima Italia in avvio e poi nella fase finale del primo tempo, quando gli azzurri passano grazie a una veronica di Rossi che scherza Amaral e crossa per la fronte di Causio, lesto a infilare Leào; poi lo stesso Causio coglie la traversa.

Ripresa tutta brasiliana, grazie a centrocampisti di valore assoluto (tutti e tre futuri “italiani”: Batista, Cerezo e Dirceu) e al crollo verticale dei nostri. Gli impacci di Maldera, schierato fuori ruolo, il debito di ossigeno di Bettega, le pause di Causio e Antognoni consegnano la partita agli uomini di Coutinho, che trovano i gol su due sensazionali tiri da lontano. Zoff salirà sul banco degli accusati, nonostante si sia trattato, come contro l’Olanda, di palloni straordinariamente difficili: Nelinho trova una parabola arcuata e violenta, Dirceu spara una terrificante fucilata col suo sinistro proibito.

L’Italia è quarta, al ritorno a casa gli azzurri vengono accolti all’aeroporto di Fiumicino da una folla festante: i tifosi hanno ritrovato una Nazionale vincente, capace di appassionare e divertire. Il Brasile festeggia il terzo posto come un titolo mondiale: non ha mai perso e l’evidente torto subito gli consente di uscire a testa alta.

L’OLANDA SI SGONFIA CONTRO MENOTTI

Menotti aveva ormai chiaro l’undici che il Mondiale aveva scremato, in parte modificato rispetto a quello iniziale: il gatto magico Fillol in porta, il libero Passarella (via via riscattatosi dopo le magre iniziali) “caudillo” della difesa, con l’altro centrale, il rude Galvan, preferibilmente sul centravanti avversario e gli esterni Olguin e Tarantini. Centrocampo diretto dalla sapiente regia di Ardiles, sostenuto dai garretti dell’infaticabile Gallego e completato dalle percussioni del rapidissimo Kempes, arretrato sulla trequarti dopo le prime partite, togliendo il posto a Valencia; in avanti, l’ala Bertoni (preferito a Houseman) frequente ai ripieghi, il poderoso centravanti classico Luque e la rapidissima ala Ortiz.

Happel dal canto suo aveva condotto il Mondiale secondo le massime potenzialità dei suoi, incapaci di colmare il vuoto lasciato da Cruijfif. Il tecnico ripose a Menotti con Jongbloed in porta, Jansen e Poortvliet sulla linea dei terzini, Brandts e il fuoriclasse Krol centrali difensivi; Haan in regia, Willy Van de Kerkhof a sostegno e Neeskens a tutto campo; in attacco, René Van de Kerkhof, Rep e Rensenbrink.

Si parte nel segno della violenza, nella bolgia dello stadio del River colmo di 80 mila persone. La direzione arbitrale affidata all’italiano Gonella si presenta subito difficile. René Van de Kerkhof ha il braccio destro steccato, può provocare problemi nei contrasti, l’arbitro gli ingiunge di alleggerire la fasciatura. Gli olandesi minacciano di abbandonare, poi scendono a più miti consigli, la bendatura viene cambiata e si può riprendere.

Happel punta sul pressing e i suoi, si sa, amano andare sul pesante: Gonella comincia a lavorare col cartellino giallo. Krol, Poortvliet, Neeskens, Suurbier finiscono sul suo taccuino. Ma quando Passarella si improvvisa ortodonzista svellendo due denti a Neeskens con una terrificante gomitata, fa finta di niente. È la legge del Mondiale. Che prescrive pure che un paio di olandesi in fuga in contropiede verso Fillol vengano fermati per fuorigioco più teorici che effettivi.

Dopo un paio di belle parate di Fillol, ecco la svolta: Ardiles lancia Luque che attiva Kempes, un lampo il suo tiro che affonda Jongbloed. Argentina galvanizzata, Bertoni incontenibile, Olanda alle corde fino alla fine della frazione. Ripresa in tono minore, con gli argentini ad aspettare e gli arancioni a corto di munizioni, per la serataccia di Rep e Rensenbrink, poco propensi a rischiare le gambe. Happel toglie il primo per l’armadio a rotelle Nanninga e quando tutto sembra ormai cristallizzato, un pasticcio tra Tarantini e Galvan su cross di René Van de Kerkhof regala il pallone agli olandesi: da Nanninga a Poortvliet e gol del pari.

Lo stadio ammutolisce di colpo. Ne approfitta Rensenbrink che finalmente si scuote, incuneandosi nella difesa avversaria e colpendo il palo con un diabolico siluro. Gonella fischia subito la fine, si va ai supplementari. Olandesi moralmente distrutti da quel palo maligno, argentini a testa alta, fisicamente ancora pieni di energie. L’indiavolato Bertoni inventa per Kempes, che brucia sul tempo la difesa arancione, si presenta davanti a Jongbloed e lo silura sul tentativo di uscita. Poi è Kempes a scompaginare le file arancioni e a servire un delizioso invito a Bertoni, che infila nella porta vuota. Finisce in gloria per i blanquiceleste, nel tripudio dello stadio e tra la stizza degli olandesi, che protestano contro l’arbitraggio precipitandosi negli spogliatoi senza partecipare alla cerimonia di premiazione. Happel si nega alla conferenza stampa, Buenos Aires si immerge in una festa senza fine. Conclusione emblematica di un Mondiale pieno di ombre.