Giovanni Arpino: Cronache Argentine

10 giugno 1978: Un c.t. sulla graticola

E’ un’alba nera, che solo tra una mezz’oretta diventerà rosea. Ho già scritto, al lume d’una lampada che mi sbatte nell’occhio sinistro, le due «cartelline» per la prima pagina su Italia-Argentina. Ho in bocca l’amaro d’un caffè di tipo ferroviario. Forse sto svegliando, grazie a questi tasti, gente che dorme al di là di muri sottili come carta velina. Perdonami, commesso viaggiatore o uomo d’affari che dormi in una cuccia piccola come la mia. E del resto, arrangiati: Baires strombetta e scatarra di giorno e di notte, lasciando dormire assai poco. Al venerdì sera poi (forse per anticipare Leopardi) la festa dello sterminato villaggio sembra non voler terminare mai: tutti mangiano, ballano, passeggiano, tirano a far le ore piccole, a costo di indossare doppie cuffie e sciarponi.

Questa «storia» tra Italia e Argentina mi piace poco. I biancocelesti sogliono avventarsi come autobus privo di controlio, sospinti da un pubblico eccezionale per gli affetti che nutre ma anche molto pretenzioso in fatto di calcio. Gli uomini di Luis Menotti «menano» a destra e a manca, coi vari Passarella e Tarantini, che non badano certo alle caviglie altrui in vista d’una vittoria. Se ne sono lamentati, e con ragione, sia Baroti sia Hidalgo. Chi ha visto la gamba di Bobby Bettega dopo la gara con l’Ungheria, non può dimenticare l’abrasione color cuoio bruciato. Ma Cabrini, malgrado la distorsione, scenderebbe in campo anche con le stampelle, per non parlar di Causio che alla sola idea di non giocare sente tutti i suoi diavoli greco-latini mangiargli il fegato.

«Tutte le ragioni di Enzo Bearzot»: dovrei intitolare questo articolo, ma i problemi del «vecio» si dilaterebbero per sei pagine. Ruberei solo spazio a chi deve amministrare il «profilo» della partita da un punto di vista tecnico e non diplomatico. Il commissario è nuovamente e volontariamente sulla graticola. Oggi, sabato 10 giugno, è l’uomo più solo e più atteso d’Italia. Dopo novanta minuti di gioco, a seconda del risultato, o lo beatificheranno anche i suoi ex-nemici, o tornerà tra i ceppi delle incomprensioni e dei processi. Personalmente, non me ne importa un accidente di stare a Baires o andare a Rosario: sempre bistecconi e football è il «menù» del mese. E chi ritiene che gli avversari a Baires (da Austria a Perù) siano più facili di quelli di Rosario (da Germania ad Olanda) si sbaglia di grosso. Questo è un «Mundial» che naviga di scoglio in scoglio, di sorpresa in sorpresa, di sgambetto in sgambetto, basta riguardare i risultati delle due prime «tornate» d’incontri.

Sta spuntando l’alba, venata di strisce giallognole. Ieri sera siamo andati tutti quanti al pranzo federale, in un ristorantino terribilmente lontano, pareva di passare da una città all’altra, il numero 6299 di quella strada non lo si raggiungeva mai. E là dentro, i più feroci critici di Bearzot abbracciavano il commissario, lo applaudivano spellandosi le mani, gli soffiavano in faccia i loro aliti commossi. Mi sembrava quasi una «ultima cena», e con tanti musi di Giuda intorno. Ho mangiato uno spaghetto colloso e son filato via, cantando un motivo di Milly mai inciso su nastri o dischi, un motivo riguardante un tizio che rotola per cause — diciamo così — di dissenteria nientemeno che a Montecarlo. Per esorcismo, se volete perdonarmi.

C’è un paragone da fare, molto ardito e forse antipatico, ma debbo pur tentarlo, la voglia è irresistibile. Dunque: nelle «pampas» dove le bestie vivono libere, dove ogni mucca ha diritto ad un ettaro pieno di territorio, durante l’inverno nevica anche forte. Le mandrie si radunano spontaneamente, formano quasi un enorme polipaio velloso. Gli animali che conquistano, per caso o per forza o per astuzia, i posti centrali, godono del calore altrui. Quelli che restano ai margini o addirittura sopra la catasta, muoiono congelati, a beneficio degli altri. Sembra un pochino la partita di stasera. Nessun vuol restarne fuori, ma è evidente che chi non rischia le gambe e gode d’un turno di riposo potrà sfruttare il vantaggio dell’imminente girone finale. Il calcio di un «Mundial» si rivela così operazione crudele, soffocando ogni sentimento nel pozzo della necessità. I commissari diventano alchimisti dell’assurdo, gli stopper rischiano di apparire come dei boia nei riguardi dei «punteros».

Nessuno vorrebbe essere Bearzot e tantomeno Menotti, forse gli stessi Bearzot e Menotti sognano di riposarsi in panni altrui. Trascinati al macello davanti a decine di microfoni e taccuini, i due disgraziati debbono ripetere cento volte gli stessi concetti, non smentire il passato, non profetizzare sull’avvenire, operar «dribbling» di fronte a domande cretine o astute come se le ispirasse il diavolo. I giornalisti d’assalto sono autentici cobra: mordono, saettano, scrutano, avvinghiano, poi ti salutano e corrono a telefonare interpretazioni micidiali in ogni angolo del mondo (giapponesi compresi, chissà che ci fanno, qui, forse vogliono miniaturizzare Bettega e Kempes).

Più passano giorni, più l’Argentina e Buenos Aires mi sembrano luoghi pirandelliani, fu proprio a Baires che Pirandello diede la «prima» d’una sua famosa commedia, e ancora oggi il drammaturgo italiano è l’autore più rappresentato e conosciuto (di Manzoni non parliamone: il suo fondamentale romanzo tradotto come «novios», non poteva circolare che in modo stretto, data la scarsa conoscenza della lingua italiana da parte degli immigrati: ebbe un’edizione, e si fermò lì). Troppi volti argentini mi ricordano i «Sei personaggi in cerca d’autore». In modo letterale e metaforico. Il pirandellismo di Baires aggiunge tocchi di magìa oscura e patetica. Ciascuno cerca di essere se stesso ma sperando d’essere un altro o almeno d’essere visto come diverso da ciò che egli è.

Pirandello, da queste parti, dovette intervenire anche per cambiare il modo di recitazione degli attori. Convinti di un certo «gauchismo» e certi di doversi atteggiare come «hidalghi» perpetui, gli attori sudamericani recitavano e recitano o con le mani infilate nelle tasche o con un’ eterna sigaretta in bocca. Segni di sicurezza, di superbia, di dominio della «parte» e del pubblico. Pirandello, una volta, fece ricucire le tasche e sequestrò tutte le sigarette del teatro, ma fu una vittoria isolata. I «personaggi in cerca d’autore», mentre simulano sicurezza, debbono pure sperare in un «aldilà» esistenziale: è la loro condanna permanente, è il loro destino di creature che vivono giocando. In cerca di copione

Forse la partita di stasera mostrerà altri personaggi in cerca di un copione, in cerca di un gol che li riscatti: mettiamo un Pulici, ad esempio, sempre che giochi. Attende questo momento dal 1974, quando venne portato in Germania ad «ammirare» i fantasmi di Rivera e Riva. Ieri l’altro un giornalista torinese lo «sbatté» sul suo quotidiano dicendo che il «bomber» sta occhieggiando una ragazzuola. Segue telefonata di moglie inferocita, segue muso lunghissimo e sguardo incattivito del «bomber» granatiero. Come uscirne, se non con un gol? La gente strepita. I giornalisti vogliono la Coppa. Ma perché non ve la comperate, gli rispondo. Dieci giorni fa avrebbero spellato vivo Bearzot, l’avrebbero appeso per i budelli ad un lampione. Quando sono partito da Roma, un ragazzo della redazione del nostro giornale mi gridò alle spalle: «Dottò, è rimasto solo lei a credere in quel matto».

Ho visto un tizio d’aspetto quasi umano piangere sulla spalla del «vecio». E’ lo stesso tizio che nel suo ultimo articolo su un quotidiano romano scriveva, a nove colonne, prima della partenza per Baires: «Ma restiamocene a casa». Oggi versa elogi e punti esclamativi con un furore forsennato. Tra un attimo chiederà di dormire sullo scendiletto di Bearzot, garantendogli buona guardia notturna e pronti guaiti. Fossi al posto del commissario, che deve badare a tante cose, persino a tener buona Baires intera (se l’Argentina non vince magari abbattono l’obelisco che si erge per decine di metri nell’avenida de Tulio), manderei in campo solo dieci o nove uomini. Ma sì, Menotti, pigliati questo scalpo e grida alla luna. Non ci riesci neanche contro nove? E allora «pussa via» e torna a insegnar calcio negli asili.