Giovanni Arpino: Cronache Argentine

28 maggio 1978: Quando il calcio diventa vetrina

Per un pugno di gol, voliamo in Argentina. Il «mundial» ha iniziato il conto alla rovescia, mancano solo più quattro giorni all’inaugurazione e in quel quarto giorno, a Buenos Aires, la Germania che vanta il titolo del 74 inizierà le «battaglie pedatorie» con la Polonia. Dopodiché prenderanno il via altre 37 gare, avvelenate, scorbutiche, isteriche e spettacolari al massimo grado: allo «stress» inevitabile di ogni giocatore corrisponderà — fino alla reciprocità più o meno illusionistica o artefatta — lo «stress» di chi guarda sul teleschermi o legge le colonne dei giornali.

Non mi nascondo una certa emozione personale: centoventi anni fa partiva per Buenos Aires mio nonno materno, allora diciottenne, in cerca di avventure e di guadagni, in fuga dalla casa patria. Ebbene: eccomi qui su un «jet», con non so quante ore di volo, con la prospettiva di masticar calcio a tutto andare e con l’impegno di vedere Argentina, un luogo doloroso e critico. Cosa ci attende, al di là degli orizzonti pallonari? Ci attende l’Argentina del tango, l’Argentina delle grandi bistecche alla griglia, l’Argentina dei generali (che sono presidenti, governanti persino amministratori di questo mundial) o anche l’Argentina ricca di italiani incrociati, di sentimenti antichi, di desideri di rinascita? Il football è vetrina mondiale quanto altre mai. Lo sport è palcoscenico smisurato che conta e pesa da Est a Ovest.

Non dimentichiamo un paio di dati: la rinascita italiana, che coincise con un fenomenico «boom», diede la stura alle Olimpiadi romane; altrettanto accadde al Giappone, una potenza umiliata dalla guerra e che anche attraverso lo sport riuscì a darsi una nuova fisionomia. Oggi, l’Est ha poco da dire nella competizione argentina, manca una vecchia nazione qual è l’Inghilterra, l’Italia figura, al massimo, come «outsider», riemergono vecchie glorie un po’ stentate, un po’ in incubatrice, come l’Ungheria e l’Austria. Sarà un campionato diverso, senza la firma di grandissimi leaders. Il Brasile annovera Rivelino ma non Pelè, la Germania è priva del kaiser Beckenbauer, l’Olanda ha lasciato a casa Cruijff, l’Italia non schiera più tra le sue file i «divi» che portavano i nomi carismatici (ma anche condizionanti, è doveroso dirlo) di Rivera, Mazzola, Riva. Sarà quindi un campionato da «collettivo», durissimo e senza una squadra ideale in grado di marchiarlo fin dall’inizio. Si parte, si vola, per quel pugno di gol, senza portarsi dietro un bagaglio di pregiudizi, di tesi preordinate.

Chi vivrà, vedrà, è davvero il caso di dire. I problemi di Enzo Bearzot rispecchiano i nostri: ha uomini un po’ fiochi, animi un po’ risentiti, e naturalmente, in queste ore di vigilia, i seminatori di zizzania e gli Ipocondriaci di turno gettano i loro veleni più o meno scandalistici. Chi cerca di inchiodare Bellugi su una sua frasetta poco diplomatica a proposito dei «ritiro», chi tenta di aumentare l’angoscia di Antognoni o le paturnie di Tardelli. Ormai è indispensabile che arrivino presto, anzi subito, i giorni delle partite. Solo il campo può diventar giudice e in taluni casi anche medico, eliminando troppe chiacchiere gratuite, troppi sproloqui. Come dice il giocatore di buona razza? E’ solito decidersi così: «Piatto ricco, mi ci ficco», anche se possiede carte inferiori. La «bellezza» del gioco gli comanda di partecipare, gli consiglia un leale azzardo.

Questo è il nostro sentimento. Non vogliamo imporre chissà quale astrusa legge pallonara attraverso gli stinchi di Bettega, di Graziani, di Rossi. Intendiamo essere presenti e misurare il polso di uno spettacolo che e ormai crocevia del nostro vivere nel ventesimo secolo. Siamo presenti e questo conta (In successive occasioni, si vedrà se saremo in grado di far fuori nuovamente gli inglesi). Siamo presenti e questo è fin d’ora un elemento considerevole, visto che molti (troppi) ci giudicavano inadeguati alla trasvolata atlantica. Siamo presenti e anche certi che il Club Italia, pur arruffando gioco e manovre e cariche nervose, saprà vender cara la pelle, In senso ludico e professionale.

Da oggi l’Argentina è un raro ombelico del mondo: le puntano addosso gli ocelli migliaia di inviati, sulla sua erba (e nel fango di Mar del Plata) giocheranno le aristocrazie del calcio mondiale. Dobbiamo predisporci tutti quanti — voi e noi, giovani e anziani, tifosi e curiosi — a gustare l’avventura in ogni suo grado, senza perdere il giusto distacco critico, senza eccedere nelle valutazioni, senza smarrirsi nel labirinti passionali. Il calcio è ancora un gioco, seguir calcio è ancora consolazione, se questi due metri di misura non vengono sovvertiti dal fanatismo. A Buenos Aires, a Mar del Plata; a Rosario, chiediamo, una qualità umana dello spettacolo, e non una mostruosità sociologica.