Giovanni Arpino: Cronache Argentine

26 giugno 1978: Argentina Mundial

E’ stata la più feroce corrida calcistica degli ultimi dieci anni: l’Argentina afferra il «Mundial», tanto sognato e mai raggiunto nella sua lunga storia. E’ stata una battaglia crudele, con botte continue, duelli disumani, sceneggiate (dopo i colpi, naturalmente) da parte dei sud-americani, mentre gli olandesi, anche sanguinanti, badavano solo a tirare il fiato per restituire calci e gomitate. Centoventi minuti di gioco — anche se di calcio vero si può parlare pochissimo — sono stati necessari per definire la questione. Sul fronte biancoceleste l’eroe della giornata è senz’altro Kempes, l’unico giocatore di classe internazionale vera, autore di due reti e propiziatore della terza.

Sul fronte tulipano c’è un martire, Neeskens, che è il giocatore più generoso del mondo e ha dovuto subire pestaggi da risse nei vicoli bui. L’arbitro italiano ha tollerato molto: ma come si possono espellere cinque o sei uomini in una finale del «Mundial»? Ci vorrebbero il coraggio e la dissennatezza di Don Chisciotte, mentre sappiamo tutti che i «fischietti» sono piuttosto dei Don Abbondio. Il «River Plate» è letteralmente esploso, impazzendo di gioia e di spasimi dolorosi, liberandosi dalle angosce contenute nei cuori argentini per due ore intere di partita. L’intero Paese si sente «campeon» del mondo, e non solo per il titolo conquistato dai suoi rabbiosissimi Passarella e Tarantini, ma per una sorta di vendetta consumata sulla storia e sulle sue stesse vicende.

Non vorremmo tanto parlare di football: forse ci è vietato da una forma di pudore. Il calcio dovrebbe essere una cosa molto più elegante, molto più sportiva, molto meno condizionata da carichi nervosi e da obblighi, carichi che hanno pesato notevolmente sulle spalle di questi ventisei professionisti che hanno trascorso il tardo pomeriggio di Buenos Aires a distribuire botte da orbi. C’è uno strano pareggio al di sopra di questa partita finita in modo tanto drammatico: sei palloni-gol sono stati costruiti dagli olandesi, sei palloni-gol sono stati costruiti dagli argentini.

Ma i biancocelesti di Menotti — che da oggi è un’autentica «figura » della storia nazionale — sono riusciti a concretizzare la metà di quanto avevano costruito mentre gli olandesi, pur circondando d’assedio l’area di Fillol, non sono stati capaci di tradurre in pratica i loro giganteschi sforzi. Tra l’altro, dopo aver subito pestoni di tutti i generi, i «maestri» tulipani hanno addirittura perso la testa dopo essere passati in svantaggio nei tempi supplementari: e via via imbufalendo hanno fornito attimi di sosta preziosa per gli argentini, sempre pronti a rotolarsi per le terre e respirare un attimo sotto lo sguardo benevolo di un Gonella anche lui « stressato » dall’andamento di questa partita, che sembrava volerci condannare a restare a Buenos Aires ancora un paio di giorni.

Finisce con questo colpo di scena finale dopo centoventi minuti di risse clamorose, l’undicesimo «mundial» di calcio. Visto l’andamento di questa finale, tenendo presente che gli azzurri sono riusciti a battere con una partita tatticamente perdente gli argentini, ne deriva per noi anche una certa consolazione: gli olandesi diranno certamente di essere stati picchiati e derubati, i biancocelesti godranno di un «triunfo» che ormai li trasporta, secondo l’iperbole sudamericana, nell’olimpo degli dei nazionali. Ma anche noi, senza per questo gonfiare troppo il petto, possiamo dire che l’Argentina tenuta insieme più dal coragigo individuale, più dalla tenacia che non dagli schemi, ci è stata vittima quando si potè giocare ad armi pari.

Stanotte Buenos Aires ha fornito spettacoli indescrivibili. La gente è letteralmente ubriaca di parole, di canti, di suoni ricavati da ogni forma di strumenti. I generali e gli ammiragli godono pubblicamente come l’intera popolazione del Paese: per loro il «Mundial» ha significato il raggiungimento d’una incredibile e non ipotizzabile unità. Ma da domani per l’Argentina comincia un’altra epoca: è coronata dal titolo di campione del mondo, rimangono i problemi. Purtroppo non li potrà risolvere il signor Kempes.