ARRICA Andrea: Scudetti e beffe

Formalmente era il vice, ma al Cagliari decideva da solo. Il suo sodalizio con Scopigno portò lo scudetto del 1970. Prese bonariamente in giro per anni molti colleghi, trattando Riva con tutti, sapendo che non sarebbe mai partito.

Era piccolo ed elettrico, magro e scattante, bruno, e aveva capelli neri appena ondulati e occhi azzurri, personaggio puntuale delle vignette di Marino sul Guerin Sportivo che allora veniva stampato in formato gigante. Per dieci anni fu l’uomo più corteggiato del Gallia, l’albergo milanese vicino alla Stazione centrale, sede di un irripetibile calciomercato sino al 1975.

Storie di calciomercato

La compagnia era di primissimo ordine: Gipo Viani e Paolo Mazza, che il calciomercato l’avevano inventato, Italo Allodi alla corte interista di Angelo Moratti, Bruno Passalacqua elegante manager del Milan, i direttori sportivi Franco Manni, Giuseppe Bonetto, Brunetto Fedi, Carletto Montanari, l’esile dottor Ceppi del Lecco, Pesaola, Oronzo Pugliese vestito di bianco, perché era un fan di Rodolfo Valentino, e un giovane e imprevedibile Corrado Ferlaino presidente del Napoli. Ma la star era Andrea Arrica, sardo della provincia di Oristano, il piccolo, elettrico, magro e scattante vicepresidente del Cagliari.

Al vertice della società c’era Enrico Rocca, ma il Cagliari era rappresentato soprattutto ed esclusivamente da quella simpatica “canaglia” di Oristano che giungeva al Gallia in compagnia di Scopigno e teneva in scacco il calcio-mercato intavolando le più fantasiose trattative per il trasferimento di Riva, sebbene fosse chiaro che il campione non avrebbe lasciato mai Cagliari. Ma questo fu il “teatrino” per dieci anni in un mondo meno afflitto dai soldi e ricco di personaggi fascinosi, propensi alle più divertenti sceneggiate nel gioco a rimpiattino coi cronisti annidati dietro le colonne bianche dell’albergo liberty.

Andrea Arrica (Santu Lussurgiu, 15 gennaio 1926 – Cagliari, 11 gennaio 2011), a 40 anni, era fisicamente una specie di Al Pacino, un’acciuga d’uomo dal volto piccolo e malandrino. Al Gallia organizzava scherzi irresistibili come quando indicò Oronzo Pugliese vestito di bianco a un signore che gli chiese dove potesse trovare un cameriere.

La sua comunella con Ferlaino, più giovane di cinque anni, diede luogo ai più insistiti pettegolezzi rosa del calciomercato. Pare che andassero più a caccia di ragazze che di calciatori. Ma facevano i loro affari con molta abilità e movimentarono, ogni volta, l’ultimo giorno delle trattative nella confusione e nella suspense della chiusura delle liste a mezzanotte. Fuori dell’albergo c’erano fino a duemila persone che aspettavano la notizia finale e che si agitavano ancora di più quando, nelle ultime ore, apparivano Fraizzoli e Boniperti. Il loro arrivo faceva supporre l’annuncio di un clamoroso trasferimento, il “botto” di mezzanotte. Ma il “botto” di Riva non ci fu mai. Arrica se ne andava soddisfatto e dava appuntamento all’anno successivo. Poiché era di una simpatia irresistibile, lo applaudivano tutti.

Per quattro volte le insistenze delle altre società di avere Riva furono molto pressanti, Inter e Juve in prima linea. Ma fu il Napoli ad andare vicinissimo alla conclusione della trattativa. La prima volta fu quando Moratti avrebbe voluto il giocatore all’Inter, ma a Herrera, che definì Riva “un Barison ripulito”, piaceva il bolognese Pascutti. L’Inter, allora, mise in piedi una doppia trattativa: il Cagliari per 400 milioni avrebbe dato Riva al Bologna (Moratti aveva ottimi rapporti in Sardegna per la presenza della sua raffineria nell’isola) e il Bologna avrebbe trasferito Pascutti all’Inter, che l’avrebbe pagato più di Riva.

Arrica assieme a Manlio Scopigno

La trattativa fallì per il timore di Angiolino Schiavio, il campione petroniano che faceva il direttore sportivo nel Bologna del presidente Dall’Ara. Riva era appena arrivato a Cagliari e non era ancora diventato il celebre bomber che divenne. Pascutti era invece l’indiscusso idolo di Bologna. Sul punto di aderire alla trattativa, Schiavio disse ad Arrica: «Ma come faccio a dirlo ai bolognesi?». E non ci fu il “giro”.

La seconda volta fu quando Riva stava per passare al Napoli per 450 milioni, e sembrò proprio la volta buona. Così la raccontava Pesaola: «Gioacchino Lauro aveva già preso Zoff e Pogliana. Stava per prendere Riva. Accordo già sottoscritto, ma nel Cagliari entrò Moratti, non ufficialmente, ma concretamente. Aveva interessi in Sardegna e fu invitato a dare una mano economica alla società sarda. Moratti mise il veto alla cessione del giocatore. Disse solo che, se mai Riva fosse stato ceduto, sarebbe finito al Napoli. Questo promise. Ma Riva restò per sempre a Cagliari».

La terza volta fu nell’estate del 1973 dopo che la Juve perse la finale di Coppa dei Campioni a Belgrado e Boniperti disse ad Agnelli: «Per vincere questa coppa bisogna prendere Riva». La Juve offrì un miliardo e mezzo. Arrica fece recapitare un biglietto a Boniperti chiedendo, per cedergli Riva, gli juventini Bettega, Capello e Gentile, più tre acquisti che la Juve avrebbe dovuto fare per conto del Cagliari. Fu solo uno scherzo di Arrica per far sapere a Boniperti che Riva non aveva prezzo.

Un ultimo tentativo lo fece ancora l’Inter. Il direttore sportivo Franco Manni si inginocchiò davanti ad Arrica: «Ho 500 milioni più tutti i giocatori che vuoi, ma dammi Riva, altrimenti Fraizzoli mi caccia». «Non preoccuparti» fu la risposta di Arrica. «Ti assumo io. Puoi venire a Cagliari, aereo pagato e sistemazione nel mio albergo sul mare».

La costruzione di un amore

A piccoli passi, e in sette anni, Arrica costruì il Cagliari dello scudetto. Dopo avere preso Riva dal Legnano nel 1963, a vent’anni, per 37 milioni e mezzo, e Greatti dalla Reggiana per 32 milioni, l’anno dopo fece tre eccellenti colpi: ingaggiò Nené dalla Juve (dove era osteggiato da Sivori) per 140 milioni pagabili in quattro anni, Cera dal Verona per 134 milioni e Niccolai dalla Torres per 5 milioni. Nel 1968 fece il primo clamoroso cambio: cedette alla Fiorentina Rizzo per avere Albertosi e Brugnera. E acquistò dal Brescia Tomasini per 55 milioni. Fanno successivo si ripete: trasferì all’Inter Boninsegna (che intralciava Riva), ottenendo Domenghini, Poli e Sergio Gori, centravanti di manovra più utile a Riva.

Arrica completò il capolavoro quando riprese Scopigno nel 1968. Il “filosofo” era giunto al Cagliari nel 1966 dopo essere stato esonerato dal Bologna. Al segretario che gli consegnò la lettera di licenziamento, disse. «Riferisca che ci sono due errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato». A Cagliari, Scopigno abolì i ritiri e fece allenamento solo al pomeriggio, ma soprattutto escluse ogni intrusione di dirigenti.

Uno di loro colse al balzo quanto avvenne a Chicago (il Cagliari fu la prima squadra italiana in tournée negli Stati Uniti) per disfarsi di lui. Dopo un ricevimento e una ricca libagione, Scopigno, non trovando il bagno e non potendone più, corse fuori e fece la pipì accanto al pullman della squadra. Prendendo a pretesto l’episodio, il dirigente al quale Scopigno aveva sempre negato l’accesso agli spogliatoi firmò la lettera di esonero. Arrica riprese Scopigno un anno dopo: subito un secondo posto, dopo un testa a testa con la Fiorentina, e poi lo scudetto.

Dopo la grande vittoria, il Cagliari non fu più lo stesso. Intanto passò a giocare nella cattedrale nel deserto del Sant’Elia abbandonando l’amichevole Amsicora, «il nostro cortile da caserma» come lo definiva Arrica. Senza un filo d’erba e col pubblico incombente, l’Amsicora era un vero campo-trappola per le squadre avversarie. I gravi infortuni di Riva con la nazionale pregiudicarono il rendimento del Cagliari e, passata l’euforia dello scudetto, la squadra declinò.

Tramonto sull’isola

Arrica tentò un ultimo colpo per risollevarne le sorti. Chiese Suarez all’Inter che, però, preferì cederlo alla Sampdoria piuttosto che al Cagliari, avversario diretto per lo scudetto. Domenghini, a 33 anni, andò alla Roma, Brugnera al Bologna, Albertosi al Milan, Cera al Cesena, Gori alla Juve. La squadra campione non c’era più. Solo Nené rimase a Cagliari sino a fine carriera giocando 12 campionati in Sardegna, uno meno di Riva.

“Al Pacino” Arrica perse l’entusiasmo anche perché Scopigno se ne andò nel 1973. Magnifica ed esaltante era stata l’avventura fino allo scudetto, poi la luce si spense. Nel 1976, con la squadra condannata alla Serie B, Andrea Arrica vendette le sue quote sociali e si ritirò nell’ombra. Aveva da raccontare una bella favola e la raccontò spesso agli amici che andavano a trovarlo.

Raccontava li aneddoti di una squadra di amici, il buonumore di Albertosi, gli autogol di Niccolai, la generosità di Domenghini e il rapporto fra Scopigno e Riva: «Manlio parlava pochissimo, Gigi era sempre imbronciato, ne venivano fuori colloqui bellissimi». In quella bella brigata, Domenghini, che non aveva mai acceso una sigaretta, imparò a fumare da Riva che di sigarette ne consumava parecchie.

Era stata una bella avventura e c’erano stati quei giorni al Gallia dove l’Al Pacino di Oristano si era divertito un mondo. «Tutti sapevano che Riva non voleva lasciare Cagliari, ma io ascoltavo ogni proposta che mi facevano. Volevo vedere fin dove arrivavano». Da vicepresidente, Arrica fu più che un presidente. Il Cagliari era lui.

A metà degli anni Novanta, di Andrea Arrica, l’uomo tutto lealtà e simpatia, classe 1926, si tuffa nel golf. Aveva cominciato a praticarlo dopo essere uscito dal Cagliari, handicap 25 sulla soglia dei settant’anni. Anche Riva giocava a golf, ma da campione, handicap 7. Scopigno non c’era più, spento dietro il fumo della sua ultima sigaretta a 68 anni. Arrica invece se ne andrà nella sua Cagliari l’11 gennaio 2011.

Mimmo Carratelli