FRANCHI Artemio: l’italiano che il mondo ascoltava

È il tardo pomeriggio di venerdì 12 agosto 1983. Un temporale d’estate ha imperversato sulla Toscana, in particolare nella zona di Siena. La statale 438 ha un fondo melmoso, scivoloso. Ogni curva un’insidia. Gli amici cercano di convincere Artemio Franchi, presidente del calcio europeo, di non mettersi in viaggio. Tutto inutile: Franchi unisce alla passione per lo sport più popolare del mondo (che gli ha dato tantissime soddisfazioni come dirigente), un amore quasi folle per la sua contrada, la Torre, che non è mai riuscita a portare come «capitano» alla vittoria.

Tra pochi giorni si correrà il Palio dell’Assunta e Franchi — deciso a sfatare la tradizione contraria — vuole recarsi a tutti i costi a Vescona per prendere gli ultimi accordi con Silvano Vigni, detto «Bastiano», che salirà in sella al cavallo della Torre. Sono le 19,10 quando la Fiat Argenta del presidente dell’Uefa si schianta contro un camion che procede in direzione inversa. I soccorritori riconoscono immediatamente Artemio Franchi e fanno il possibile per rianimaro. Tutto inutile: morirà mentre un’ambulanza lo trasporta a folle velocità verso l’ospedale di Siena. Poco dopo le 19,30 l’agenzia Ansa diramerà il primo, breve dispaccio: «In un incidente stradale in provincia di Siena è morto il dottor Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano e mondiale».

Quella di Artemio Franchi è stata veramente una vita dedicata al calcio, una carriera in irresistibile ascesa. Se il destino non avesse stroncato in maniera così crudele la sua esistenza a soli sessantuno anni, il dirigente italiano sarebbe sicuramente salito alla carica più alta del calcio mondiale: quella di presidente della Fifa. Sarebbe stato un premio meritatissimo per chi era partito dagli incarichi più umili per salire verso l’alto, gradino dopo gradino.

Nato a Firenze 1’8 gennaio 1922 da genitori senesi (dal padre Olinto, «chef» in uno dei ristoranti più famosi di Firenze, ereditò la passione per il Palio) s’innamorò del calcio da ragazzino, quando andava a vedere come tifoso la Fiorentina di Griffanti, Bigogno, Menti, Valcareggi. Studiava al liceo classico «Galilei» e fu inserito nella squadra studentesca.

Era tutt’altro che un campione e quando su un giornale lesse che a Firenze stava per essere organizzato un corso per arbitri, decise di iscriversi, nonostante il parere contrario della fidanzata destinata a diventare la signora Alda Franchi e a regalargli due figli: Giovanna e Francesco. Franchi fu uno dei migliori allievi di quel corso e arrivò ad arbitrare fino alla serie C, senza farsi condizionare da incidenti di percorso, come un lungo assedio con fuga finale in occasione di una partita del campionato dilettanti diretta al campo «Assi» di Firenze.

Lasciò la casacca nera nel luglio del 1949 poco dopo essersi laureato in economia e commercio), quando il presidente della Fiorentina, Carlo Antonini, gli offrì la segreteria della società che resse fino 1951. Fu un’esperienza preziosa perché divenne padrone dei regolamenti del calcio fin nei minimi particolari. Dante Berretti, dirigente fiorentino, lo invitò ad entrare nel consiglio direttivo della Lega Interregionale di quarta serie, di cui diventò prima segretario e poi presidente (1958).

Nel discorso d’investitura fu chiarissimo verso i presidenti delle società: «Non permetterò che facciate pazzie al calciomercato: Da voi esigo chiarezza nei bilanci e, soprattutto, la massima onestà». In questo spirito rimase legato alle società dei piccoli centri per la vita, anche quando divenne presidente del calcio professionistico. Nel 1958 fu inaugurato il Centro Tecnico di Coverciano, voluto dal marchese Luigi Ridolfi che Franchi considerava il suo autentico maestro. Coverciano si trasformò in una seconda casa per il dirigente fiorentino, che contribuì alla crescita degli impianti e alla valorizzazione delle iniziative: fu anche merito di Franchi se Coverciano divenne, col tempo, oltre che la sede naturale dei raduni azzurri, una vera e propria università del calcio.

La presidenza della Lega di quarta serie permetteva a Franchi di assumere la vice-presidenza della Federcalcio. La sua voce era sempre più ascoltata in un periodo in cui il calcio italiano entrava in piena crisi tecnica e dirigenziale. La nazionale azzurra non riesce a qualificarsi per la fase finale dei mondiali in Svezia. Il presidente Ottorino Barassi si dimette e la massima autorità dello sport italiano, l’avvocato Giulio Onesti, decide di nominare un commissario: Bruno Zauli. Franchi, con le sue idee moderne, innovative, è tra i principali collaboratori di Zauli. La Lega Interregionale è trasformata in Lega Semiprofessionisti e comprende anche le società di Serie C. Franchi, naturalmente, è confermato alla presidenza.

Nel 1962 ottiene i primi incarichi internazionali: entra nella commissione di propaganda dell’Uefa e gli viene affidata la responsabilità di capodelegazione della nazionale italiana per i mondiali in Cile. La squadra è eliminata al primo turno a causa di un arbitraggio fazioso a favore del Cile, ma il suo lavoro è definito ottimo ed è confermato nello stesso incarico quattro anni dopo al campionato mondiale che si disputa in Inghilterra.

È qui che avviene la svolta decisiva nella sua carriera dirigenziale. L’Italia, sconfitta da una rappresentativa sconosciuta, la Corea del Nord, va incontro alla disfatta. La crisi della Federcalcio è al culmine e nel 1967 il presidente Giuseppe Pasquale si dimette. Al suo posto è eletto Artemio Franchi che comincia la promessa opera di rinnovamento in tutti i settori. Qualche sua decisione è destinata a provocare polemiche, come quella che impone la chiusura delle frontiere e impedisce alla società italiana l’acquisto dei giocatori stranieri.

La riscossa della nazionale non si fa attendere: nel 1968, con Ferruccio Valcareggi in panchina, conquista il titolo europeo e due anni dopo, ai mondiali in Messico, contende al Brasile il titolo più ambito. Vincono i brasiliani, guidati da un attaccante prodigioso, Pelè, ma gli azzurri escono con tutti gli onori e meritano una targa nello stadio di Città del Messico per la grande partita giocata contro la Germania. Le quotazioni di Artemio Franchi sono in continua crescita. Il 15 marzo 1973 è eletto con votazione plebiscitaria alla presidenza dell’Uefa, diventando così automaticamente vice-presidente della Fifa.

Gli incarichi internazionali lo costringono a lasciare la presidenza della Federcalcio italiana, ma dietro i presidenti designati (si chiamano Carraro e Sordillo) c’è sempre lui a suggerire il comportamento giusto. Nel 1982, quando l’Italia guidata da Enzo Bearzot vince il titolo mondiale, Franchi è sempre presente in Spagna e assiste alla finalissima di Madrid al presidente della Repubblica, Sandro Pertini.

Franchi e Joao Havelange. L’allora Presidente della FIFA aveva designato il dirigente toscano suo successore

Il massimo dirigente della Federazione mondiale, il brasiliano Joao Havelange, lo designa come suo successore, ma il tragico incidente di quel maledetto venerdì 12 agosto 1983 troncherà la carriera e la vita di quello che è considerato il più grande dirigente italiano del dopoguerra. Per dimostrare ciò che ha fatto Franchi nei trentacinque anni in cui si è occupato di calcio basterà riportare i giudizi espressi dopo la sua scomparsa da alcuni tra i più importanti dirigenti e giornalisti.

Joao Havelange (presidente della Fifa): «È stato grande come uomo di sport e come politico. Conosceva i problemi di ciascuna federazione come nessun altro e tutti si rivolgevano a lui per avere consigli, incoraggiamenti, verifiche».

Federico Sordillo (presidente della Federazione Italiana): «Si è portato via uno scrigno contenente la sua capacità, la sua esperienza, la volontà, l’entusiasmo e tanti altri tesori cui noi dirigenti attingevamo nella nostra opera quotidiana. E stato per tutti un punto di riferimento».

Franco Carraro (presidente del Coni): «Sul piano calcistico rappresentava l’Italia all’estero meglio di ogni altro. Godeva di prestigio internazionale per la sua competenza e per la sua straordinaria conoscenza di tutto e di tutti ed era stimato soprattutto per la sua correttezza e per la sua sobrietà».

Candido Cannavò (direttore della Gazzetta dello Sport): «E stato il nostro dirigente più duraturo, più rassicurante, più esperto. La sua tolleranza, il suo senso di equilibrio, la sua capacità di mediazione, l’arte sopraffina di una diplomazia naturale ne hanno fatto un punto di riferimento prezioso e sempre disponibile».

Giorgio Tosatti (direttore del Corriere dello Sport): «Franchi, un pilastro al quale il calcio e la gente per tanti anni si è appoggiata forte della sua forza. Ha trovato più spazio e più gloria in campo internazionale. E stato uno dei pochi italiani che — nel mondo — siano arrivati a contare».

Artemio Franchi è sepolto nel cimitero di Soffiano alla periferia di Firenze. Quasi trent’anni dopo la morte, la sua tomba continua ad essere la meta di sportivi e dirigenti. Nessuno l’ha dimenticato, particolarmente a Firenze e Siena che gli hanno dedicato il loro stadio.

Testo di Raffaello Paloscia