Baggio & i Mondiali: un mondo difficile

Italia ‘90, Usa ‘94, Francia ‘98: tre storie diverse, tre epiloghi simili. La Nazionale eliminata ai rigori, Baggio costretto a inseguire il sogno della carriera tra polemiche, sollevazioni popolari e vigilie infuocate. E l’illusione del quarto mondiale nel 2002.
I rapporti con Vicini, Sacchi, Maldini, Trapattoni


1990 – Magica è la notte

La prima mondiale di Ro­berto Raggio inizia in sordina. L’avventura è quella di Italia ‘90, ma non ci sono ancora avvi­saglie di notti magiche. Nei pensieri di Azeglio Vicini l’uomo-chiave dovrebbe essere Gianluca Vialli, intorno a cui il Ct aveva costruito da tempo la Nazionale. Ma il doriano è da qualche tempo in crisi, si sta trasformando da agile seconda punta in centravanti muscolare. Un cambiamento prima di tutto fisico, che in Na­zionale, dove non c’è Mancini a supportare il “gemello” come nella Samp, si traduce in sterilità realizzativa. Gianluca lavora e si sacrifica per il gruppo, ma sa be­ne che dietro di lui scalpitano Baggio e Schillaci, e ne soffre la presenza. Comunque sia, tocca a lui partire titolare contro l’Austria. Baggio scalda la panca.

Contro Austria e Usa sono due vittorie di misura, entrambe per 1-0. L’Italia non incanta, Vialli non convince e il pubblico invoca l’esordio mondiale di Roby. Aspettando il terzo appuntamento, con la Cecoslovacchia, succede qualcosa. Probabilmente un chiarimento tra Vicini e Vialli, che alla fine si ritrova fuori squadra. Contro i ce­chi, Totò e Roby entrano dal primo minuto. E decidono la partita, con un gol a testa. Quello di Baggio è assolutamente indimenticabile.

Ecco, le famose notti magiche iniziano a quel punto. Schillaci è ispiratissimo e scatenato, Roby Baggio è semplicemente fantastico. Vicini dribbla le inevitabili polemiche sull’esclusione di Vialli, adducendo un malanno alla coscia destra del giocatore. «A Baggio», spiega, «l’avevo prean­nunciato da quattro giorni, che avrebbe giocato. Ma mi ero fatto promettere che non l’avrebbe detto neppure a sua moglie». Peccato che poco oltre il diretto interessato, involontariamente, smentisca in tempo reale: «Quando ho saputo che ero tra i titolari? All’annuncio della formazione».

La coppia d’oro BaggioSchillaci resta in sella negli ottavi, ed è ancora protagonista del 2-0 con cui l’Italia passa il turno. Ma Vialli non ci sta. Alla vigilia dei quarti contro l’Eire, lancia messaggi. «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». Il duro, ovviamente, sarebbe lui. Peccato che una tracheite improvvisa gli crei qual­che problema, risolvendone a Vi­cini che ne approfitta per rimandarlo in panchina. E contro gli irlandesi segna ancora Schillaci, e l’Italia passa.

Semifinale con l’Argentina: la faccenda del “du­ro” diventa un tarlo nella testa di Vicini, che decide di riproporre Vialli al posto di Baggio. Una vittoria per Gianluca, ma non per la Nazionale che in campo non trae vantaggi dal cambiamento. Baggio entra a un quarto d’ora dalla fine, non può più cambiare il destino. Finisce 1-1, e ai rigori passa l’Argentina. La coppia delle notti magiche si ricompone nella finalina per il terzo posto, contro l’Inghilterra. Finisce 2-1 per gli azzurri, reti (guarda caso) di Baggio e Schillaci. Ma suona quasi come una beffa, a questo punto. E i rimpianti si sprecano.


1994 – La grande beffa

L’Italia che attraversa l’oceano per affacciarsi alle ribalte di Usa ‘94 è attesa al varco. Se la gioca da favorita, e Roberto Baggio è la principale attrazione. Nel dicembre del 1993, dopo una stagio­ne ad altissimo livello, gli hanno consegnato il Pallone d’Oro (è stato il terzo italiano a conqui­starlo, dopo Rivera e Paolo Ros­si). Ha conquistato anche il premio di miglior giocatore Fifa della stagione, davanti a Romario e Stoichkov. È il protagonista annunciato del Mondiale.

Ma parte in sordina, come del resto la squadra, che arranca nel girone eliminatorio: debutto con sconfit­ta (1-0 per l’Eire), vittoria di misura (1-0) con la Norvegia. Senza Baggio: succede che dopo venti minuti, con un’uscita fuori area su Øyvind Leonhardsen, Pagliuca si fa espellere. Il Ct Arrigo Sacchi non ci pensa un attimo e chiama fuori Baggio, che resta allibito e non lo manda a dire. «Questo qui è impazzito», sussurra senza preoccuparsi di nasconderlo.

L’a­more tra tecnico e giocatore è già incrinato, e già non era appassio­nato prima. L’Italia fa il minimo anche col Messico, e si qualifica grazie al ripescaggio come mi­glior terza. Gli scettici sono già sul piede di guerra, ma a questo punto assistono al risveglio del Codino. Succede esattamente al minuto 88 di una partita che sembra già condanna. ItaliaNigeria è una salita, due minuti alla fine e i verdi sono in vantaggio, 1-0 con l’uomo in più per l’espulsione di Zola. Sacchi pensa già alle valigie da riempire, quando Roby gli toglie le castagne dal fuoco. Gol su cross di Mussi, supplementari, ancora gol di Roby su rigore e passaggio ai quarti.

Dove è ancora decisivo, quando si dice il destino, il minuto 88. Contro la Spagna, si va in parità fino a quel punto, e fino all’ennesima magia: Signori serve un pallonetto a Roberto, che scarta Zubizarreta, va via sulla destra e infila rasoterra nell’angolo opposto. Baggio è vivo, alla faccia delle cassandre che già alzavano la voce. Lo dimostra in semifinale, firmando nel primo tempo la doppietta che manda a casa la Bulgaria. Due capolavori. “Mister Mondiale” ha lasciato la sua impronta, ma nel finale una contrattura ai flessori della coscia destra lo costringe a lasciare il campo.

Il guaio è che il problema persiste, e dalla Bulgaria al Brasile, che aspetta in finale, ci sono appena quattro giorni. Roberto vuole giocare, ha una forza di volontà ai limiti della disperazione. Alla vigilia della partita c’è un consulto dello staff tecnico, Gigi Riva e Carlo Ancelotti perorano la causa del giocatore. Che va in campo e non è lo stesso delle puntate precedenti. Si capisce quando Donadoni lo libera con un assist perfetto davanti a Taffarel, e lui spara il pallone in cielo. Un calcio alle stelle, ma non sarà quello destinato a restare nella storia. L’errore dal dischetto, durante il gioco al massacro dei rigori, farà più male, e lascerà a lungo il se­gno.

«Una cicatrice che non riesco a nascondere», ricorderà Roberto alla vigilia di France ‘98, quattro anni dopo, durante un altro grande inseguimento corona­to dal successo. «Anche perché puoi accettare di perdere dopo una partita combattuta, ma così no, così è una beffa: con dieci calci dal dischetto ti giochi quattro anni di sacrifici. È come se avessi scalato una montagna e fossi stato travolto da una slavina a pochi passi dalla vetta».

Dico­no che quel rigore abbia spezzato il feeling tra Roby e Arrigo. Di­cono, ma non è del tutto esatto. Il rapporto tra i due era forte prima del Mondiale, ma si era fatto via via più difficile strada facendo, laggiù in America. Prima, Baggio considerava il Ct «il più grande tecnico del mondo», e lo diceva chiaramente nelle interviste, così come Sacchi, che lo convocava in azzurro anche quando alla Juve il ragazzo risultava iscritto alla categoria “dispersi”, diceva che «Roberto diventerà uno dei più grandi giocatori al mondo».

A distruggere l’armonia i problemi tattici (il passaggio dal 4-4-2 al 4- 3-3 mal digerito dai milanisti del gruppo e da Baggio, con conseguente richiesta di ritorno all’an­tico), ma soprattutto il «questo e pazzo» recitato in mondovisione dopo la sostituzione con la Norvegia, e le frecciate successive (del tipo: «Maradona non sarebbe mai stato sostituito, ma l’Argentina è un’altra squadra»).
«Per Sacchi», afferma Roberto nella sua autobiografia, “Una porta nel cielo”, «provo quasi rispetto. L’ho sempre visto come un uomo convinto, anche se eccessivamente rigido. A suo modo, è stato coerente. Mi ha fatto male, ma credo che fosse in buona fede. E ha pagato di persona i suoi errori».


1998 – Dannata staffetta

Quattro anni dopo è un’altra rincorsa. Parte da Bologna, dove Roberto ha trovato una nuova, splendida giovinezza. Nonostante i rapporti spesso tesi con Ren­zo Ulivieri, che sfociano nel “gran rifiuto”: prima della partita con la Juventus, che per Baggio ha un significato particolare, Uli­vieri gli comunica l’intenzione di mandarlo in panchina, proprio come tre settimane prima col Milan. Il giocatore non ci sta e ab­bandona il ritiro. Il Bologna per­de (1-3 in casa), i tifosi scendono sul piede di guerra, anche la stampa insorge e i due scelgono una pace di facciata, del tipo vivi e lascia vivere.

Che porterà frutti maturi al Bologna e a Roberto: 22 reti in 27 partite, il massimo in carriera, e un plebiscito per vederlo ai Mondiali di Francia. «Avevo bisogno di tranquillità. Di poter lavorare serenamente, di giocare con una certa continuità alla domenica, di ritrovare le sensazioni che mi mancavano da tanto tempo». Bologna, e il Bologna, riescono a rilanciarlo. E alla fine Cesare Maldini, che non pare tipo da dare troppo peso ai sondaggi popolari, prende la sua decisione.

Il 21 maggio 1998, il Ct ufficializza la sua lista mondiale, e Baggio c’è. Vice di Del Piero, gli spiega subito Cesarone, ma a lui sta benissimo così. Il problema è che Alex in Francia non arriva esattamente al massimo della forma, e la staffetta diventa un tormentone. Baggio fa il titolare (e l’uomo-partita) contro il Cile, perché Del Piero sente an­cora i postumi dell’infortunio subito nella finale di Champions League di Amsterdam. Parte nell’undici anche contro il Came­run, e viene pestato in modo sistematico. Con l’Austria tocca allo juventino, piuttosto spento, e quando Roberto lo rileva fa in tempo a mettere la firma sulla partita. Ma il bello deve ancora arrivare.

Ottavi di finale, ltaliaNorvegia, Baggio sta in panca per tutto il primo tempo, e passa il secondo a correre a bordocampo, in un interminabile riscaldamento che non sfocerà in una sostituzione. Del Piero fa poco e niente e il pubblico vuole Rober­to. Alcuni tifosi, dietro la panchina, beccano Cesarone, che reagisce e li manda a quel paese. L’Ita­lia passa, grazie a Vieri, e nei quarti trova la Francia.

Del Piero è ancora fuori frequenza, Maldini ufficializza (se mai ce ne fosse stato bisogno) la staffetta sostituendolo con Baggio dopo 67 minuti. E il gioco azzurro si fa subito più vivo, acceso. Non basta. Finisce in parità, 0-0 anche dopo i supplementari, e una volta di più si decide il futuro mondiale ai rigori. Baggio stavolta non sbaglia, ma l’Italia sì. Ancora una volta silurata dal dischetto. Mal­dini paga scelte di estrema prudenza: non ha mai provato i suoi due gioielli insieme, magari in un “tridente” simile a quello che aveva esaltato Baggio nel Bologna, ha rischiato il minimo mettendo in campo uno schema “ibrido”, un centrocampo qualitativamente limitato.

La faccenda della staffetta non ha contribuito a tranquillizzare gli animi, soprattutto quello di Del Piero. «Quella storia con Alex», ha ricordato Ro­berto, «la presunta rivalità tra noi due… Quante sciocchezze ho dovuto sentire. Lui era me quattro anni dopo, io ero lui quattro anni prima. Credete sia possibile rivaleggiare con un giocatore in cui si rivedono le proprie passate sofferenze?». Pure, a caldo dopo la sconfitta con la Francia, anche Roberto sente addosso la maledizione del dischetto, che questa volta per fortuna non lo colpisce direttamente.


2002 Il no del Trap

«Ho perso tre Mon­diali ai rigori. La prossima volta, se anche mi chiamano, non tor­no». Ma quattro anni dopo, il ragaz­zo che non sa invecchiare sarà di nuovo in corsa. Contro il tempo, contro le previsioni, per qualcuno contro la logica. Dopo una stagione al Brescia e reduce da un serio infortunio, Trapattoni alla fine decide di lasciarlo a casa, preferendogli Doni dell’Atalanta e negandogli così il suo quarto Mondiale.

«Quella è stata una ferita paragonabile solo al rigore di Pasadena. Forse passerò da presuntuoso e arrogante, ma per una volta non mi interessa: meritavo di essere tra i convocati di quel Mondiale. Qualcuno aveva dubbi sulle mie condizioni fisiche complice l’operazione al crociato, ma ero tornato appena 77 giorni dopo l’intervento. Anche se non avrei giocato, non meritavo di star fuori. Era qualcosa che il calcio mi doveva. Forse è anche per questo oggi mi sono allontanato»

Vicini, Sacchi, Maldini, Trapattoni: l’estrema prudenza o l’estremo tatticismo dei 4 allenatori che hanno, chi più chi meno, spezzato il sogno Mondiale del Codino.