Moacir Barbosa: condannato a vita

Moacir Barbosa Nascimento: fu il portiere su cui ricadde la colpa dell’evento più traumatico nella storia calcistica brasiliana, forse addirittura in quella del paese in generale, il che influenzò la percezione collettiva del suo ruolo per mezzo secolo.

Nel 1946, per la prima volta in oltre un decennio, il Brasile elesse un governo democratico. Il paese era pervaso da un sentimento di ottimismo e di fervente impegno economico, accentuato dal fatto di dover organizzare la Coppa del Mondo del 1950 e costruire il Maracanà, il più grande stadio di calcio mai esistito fino ad allora.
L’anno precedente la Nazionale aveva vinto la Coppa America battendo il Paraguay per 7-0 ai play-off (la cosa fu eclatante e risuonò come un presagio: la sfida si era resa necessaria perché il Brasile aveva perso con il Paraguay a Rio nella finale di un gruppo a sette squadre, quando sarebbe bastato un semplice pareggio per vincere il titolo).

Al Mondiale si erano distinti come la squadra di gran lunga migliore. Benché avesse pareggiato nell’incontro disputato a San Paolo, quando aveva tentato di accattivarsi la simpatia delle tifoserie locali selezionando giocatori paulisti, al Maracanà il Brasile vinse quattro partite su quattro, racimolando diciannove gol. Il rischio di non raggiungere il pareggio necessario a battere l’Uruguay era talmente inconcepibile che, il giorno della finale, il quotidiano Mundo pubblicò una fotografia della squadra con un titolo che la dichiarava già campione del mondo.

Quando, due minuti dopo l’intervallo, da Ademir arrivò un passaggio di tacco a Friaca che smarcò Andrade e con un cross leggermente deviato fece passare il Brasile in vantaggio, tutto sembrò procedere secondo i piani. A ventiquattro minuti dalla fine, però, l’Uruguay riuscì a pareggiare. Avanzando, il capitano Obdulio Varela allargò la palla per la gracile e un po’ ricurva ala destra Alcides Ghiggia. Lui aveva spazio per accelerare e controllò se Bigode si fosse spostato per chiuderlo, quindi superandolo effettuò un cross basso in direzione di Juan Schiaffino che segnò tirando sul primo palo. Il Maracanà precipitò nel silenzio.

Per la prima volta il dubbio assalì i padroni di casa mentre l’Uruguay incominciava a riprendersi. A undici minuti dalla fine, Ghiggia prese ancora una volta palla sulla loro destra. Stavolta Bigode gli stava più vicino ma era isolato, dunque Ghiggia la rimise a Julio Pérez con un passaggio filtrante. Il mediano destro smarcò Jair ed effettuò un passaggio di tacco superando Bigode. Ghiggia corse avanti e, mentre Barbosa anticipava il movimento pensando a un cross, infilò sul primo palo.

Roberto Muylaert, il biografo di Barbosa, descrisse la scena del gol come fosse il filmato dell’assassinio di Kennedy girato da Zapruder: «La stessa drammaticità… lo stesso ritmo… la stessa precisione della traiettoria inesorabile». Persino la nuvoletta di polvere che si levò quando Ghiggia colpì la palla sembrava ricordare uno sparo.

Quello fu esattamente il momento dell’assassinio di Barbosa: da allora la sua esistenza di normale cittadino si concluse per sempre. Il video della partita lo mostra in ginocchio, dopo il gol, mentre si risolleva lentamente con l’aria disperata di chi è già consapevole del fardello che dovrà portare per tutto il resto della vita.

Quella sconfìtta non fu soltanto una sconfìtta, fu un colpo sparato dritto al cuore del Brasile e all’autostima che si stava conquistando. Il drammaturgo Nelson Rodrigues ne parlò come della «nostra Hiroshima»; probabilmente fu un accostamento di cattivo gusto, ma intendeva dire che si trattava della più grande catastrofe mai abbattutasi sul Brasile, nato come nazione solo nel 1889 e che dunque non aveva mai affrontato una guerra. Paulo Perdigão esprime la stessa opinione, ma in modo più pacato, in Anatomy of a Defeat (Anatomia di una sconfìtta), la sua interessante riflessione sulla finale in cui ripercorre l’intera radiocronaca utilizzandola come spunto per l’analisi della partita, quasi come stesse affrontando l’esegesi di un testo biblico. «Tra tutti gli esempi storici di una nazione in crisi» scriveva «la Coppa del Mondo del 1950 è il più rappresentativo e il più citato. Fu la Waterloo dei Tropici. La sua storia è stata il nostro Götterdämmerung (Il Crepuscolo degli Dei).- La sconfitta trasformò un fatto normale in un evento straordinario: si tratta quasi di una leggenda tramandata nell’immaginario collettivo, all’interno del quale peraltro si è alimentata.»

Ma serviva un capro espiatorio e lo si trovò nei tre giocatori neri: Bigode, Juvenal e in particolare Barbosa. Secondo il centrocampista Zizinho, la stampa «massacrò» Barbosa, nonostante Ghiggia avesse ammesso che il suo gol era dipeso da un colpo di fortuna e che l’avversario aveva fatto la cosa più logica nell’allontanarsi dal palo più vicino. Nonostante quell’errore, per il resto aveva condotto un Mondiale eccellente, tanto che fu nominato portiere del torneo: e questa è la bizzarra sorte dei portieri.

«Barbosa fu straordinario nel campionato sudamericano [competizione che precedette la Coppa America] del 1949» ha scritto il giornalista Luis Augusto Simon, il quale ha incluso Barbosa nel suo libro sugli undici migliori portieri brasiliani del dopoguerra. «Le cronache sportive dell’epoca riconobbero che era un grande portiere.» Anche se subito dopo i Mondiali del 1950 fu messo da parte, nel 1953 tornò in Nazionale per una partita e addirittura sembrava pronto a essere selezionato per quelli del 1954. Ciò gli avrebbe offerto la possibilità di riabilitarsi, ma purtroppo si ruppe una gamba durante una partita tra Vasco da Gama e Botafogo, dunque perse l’occasione.

«La conseguenza peggiore del suo sbaglio fu il fatto di rendere più difficile per i portieri neri la militanza in Nazionale e persino nei club» ha affermato il giornalista nonché storico Paulo Guilherme, il cui libro Goleiros è la storia più completa dei portieri che hanno giocato nella Nazionale brasiliana. «Creò la paranoia che non si potessero avere in squadra portieri di colore.»

Lo stesso Barbosa non riuscì mai a liberarsi veramente di quella finale. Nel 1970 visse il momento che descrisse come il peggiore della sua vita, quando in un negozio sentì una donna dire al figlio: «Lo vedi quello? È l’uomo che ha fatto piangere tutto il Brasile». Sette anni prima, stando a Muylaert, tentò anche un atto di espiazione simbolica, invitando gli amici per un barbecue a casa sua, nella zona nord di Rio, durante il quale diede fuoco ai pali della porta del Maracanà con quella che il biografo descrive come una «liturgia di purificazione». Non è chiaro se il rito si sia effettivamente consumato, tuttavia il modo in cui il racconto è stato accolto lascia intendere con quanta curiosità si guardasse alla situazione di Barbosa.

Nel 1993, la BBC provò a fargli visitare gli alloggi dei giocatori brasiliani partecipanti alla USA Cup. Mario Zagallo, che aveva vinto la Coppa del Mondo da giocatore nel 1962 e da commissario tecnico nel 1970, all’epoca lavorava per la squadra come assistente dell’allenatore Carlos Alberto Parreira. Quel fatidico giorno del 1950 si trovava nei pressi del campo, al Maracanà, perché prestava servizio nella sicurezza. Riconoscendo Barbosa gli impedì di accedere agli alloggi, sostenendo che avrebbe portato sfortuna.

«In Brasile» commentò il portiere «ho ricevuto la condanna peggiore dei miei primi trent’anni, ma la prigione l’ho scontata nei cinquanta successivi.» Morì in povertà nell’aprile del 2000; l’anno precedente Dida divenne il primo portiere nero a militare nel Brasile dall’ultima apparizione di Barbosa, ben quarantanove anni prima.

  • Tratto da “Il Portiere” di Jonathan Wilson