BATTEUX Albert: Inno alla gioia

Era il calcio di un anti-Mago, l’apostolo de “le Football en joie”. Al Reims e al Saint Etienne, con in mezzo il terzo posto della Francia a Svezia 58. Storia di un tecnico straordinario ma sottovalutato.

La sua eredità ha segnato generazioni ed epoche di tecnici francesi: dalla “épopée Vert” del Saint-Étienne Anni 70 al miracolo-Camerun di Jean Vincent a Spagna 82; dai Blues di Michel Hidalgo campioni d’Europa nell’84 a quelli di Aimé Jacquet iridati nel ’98 a quelli della ricostruzione post-fallimento nippo-coreano di Jacques Santini. Tutti figli tecnici del “predicatore”, che all’autoritarismo preferiva l’eloquio. E al cupo difensivismo “le football en joie”, il calcio felice.

Albert Batteux nasce il 2 luglio 1919 nel nord-est della Francia, a Reims, nella pianura della Champagne, regione del dipartimento Marne nota per l’omonimo e celeberrimo vino spumante. Viene al mondo in una famiglia di 13 figli e in una terra, un tempo ricca, devastata da quattro anni di bombardamenti da parte dell’artiglieria tedesca. Ovvio che tale background ne segni il carattere e la personalità: anche da adulto, per di più in una professione assai incline al nevrastenico abuso dell’ugola, raramente alzerà il tono della voce. E avendone conosciuto il significato, parlando di calcio eviterà il ricorso a espressioni belliche tanto in voga come “battaglia”, “duello”, “scontro” eccetera.

Il calcio, si diceva: è la sua passione. Lo pratica sin da ragazzino e ci costruisce una carriera, nello Stade Reims, nel quale entra in prima squadra nel 1937. Batteux non è un fuoriclasse ma un discreto interno destro che soprattutto con l’intelligenza, calcistica e no, conquista un campionato ( 1949) e una Coppa di Francia (2-0 al Racing Club Parigi nel ’50) e la nazionale. Vi debutta il 6 giugno 1948, a Bruxelles, perdendo 2-4 contro il Belgio, prima delle sue 8 gare (tutte amichevoli, con un gol) con i “tricolori”.

Albert Batteux con la Coppa di Francia 1950

Prima della stagione ’50-51, l’allenatore Henri Roessler se ne va e così il presidente Henri Germain affida la squadra al 31 enne capitano, Batteux. Il futuro “Monsieur Albert” si ritrova così a guidare da tecnico ex compagni, in qualche caso più anziani (per sembrare più vecchio non si separava mai da un basco floscio che gli dava un’aria meno sbarazzina), che formavano l’ossatura di quelle formazioni vincenti: i fratelli Paul (portiere) e Pierre (attaccante) Sinibaldi, il grintoso terzino sinistro Roger Marche (il “Cinghiale delle Ardenne”), il centromediano Robert Jonquet e l’elegante mediano Armand Penverne.

Nei primi due anni il rendimento del Reims è altalenante, e arrivano altrettanti quarti posti. Ma la stagione ’51-52 sarà ricordata per l’acquisto, dall’Angers, di una minuscolo e fenomenale ala destra di origine polacca: Raymond Kopaszewski, subito ribattezzato “Kopà”, alla francese.

Dalla stagione successiva, Batteux decide di risolvere la concorrenza interna nel ruolo (fra Kopa, Villanova e Templin) schierando l’ex minatore nella posizione di centravanti tattico e spostando a destra l’olandese Abraham (Bram) Leonardus Appel. Il duo funziona a meraviglia, come la diagonale formata da Penverne, Léon Glovacki (anche lui di origine polacca) e Kopa.

Così, nonostante il calo finale, arrivano subito due successi: il secondo titolo nella storia del club (vinto con il miglior attacco, 86 gol fatti, e la miglior difesa, 36 subiti) e la Coppa Latina, che, dopo la Mitropa Cup, è per importanza la seconda competizione per club d’Europa. Si gioca tra il ’49 e il ’57 (sparirà un anno dopo la nascita della Coppa dei Campioni) tra i campioni di Francia, Italia, Portogallo e Spagna. L’edizione del ’53 si disputa a Lisbona e a Porto e dopo aver eliminato in semifinale (2-1) il Valencia, il 7 giugno, allo stadio Da Luz della capitale, lo Stade si impone 3-0 (doppietta di Kopa e gol di Méano) sul Milan del Gre-No-Li.

Lo squadra di Batteux, che dal ’52 è diventato, sulla spinta popolare e della stampa specializzata, Ct della nazionale, vince e convince grazie a un “calcio champagne” (così denominato per il prodotto che ha reso celebre Reims) spettacolare fatto di palla a terra, passaggi corti e folgoranti accelerazioni, e in campionato farebbe tris se non fosse per il rush finale compiuto dal Lille nel ’53-54, torneo nel quale il Reims era stato in testa fino a due giornate dalla fine.

In Nazionale con Raymond Kopa

Nel ’55 la Coppa Latina, non disputata l’anno prima, vede in semifinale la rivincita fra lo Stade e il Milan. Finisce di nuovo con la vittoria dei francesi, stavolta per 3-2 con un “golden gol” ante-litteram al 138° (!) dopo il 2-2 dei 90’ regolamentari più i tempi supplementari. Nella finale di Parigi, il 26 giugno al Parco dei Principi, a spuntarla (2-0) è però il Real Madrid di Di Stefano, Rial e Gento. Un kolossal che avrà presto due grandi sequel sul massimo proscenio continentale.

Campione di Francia nel ’55, lo Stade Reims elimina nella neonata Coppa dei Campioni i danesi dell’Aarhus, gli ungheresi del Voros Lobogo e gli scozzesi dell’Hibernian prima di arrendersi (3-4) al Real Madrid nella finale appositamente allestita dai delegati Uefa francesi, per il 13 giugno, nel teatro che l’anno prima aveva ospitato la Coppa Latina.

La delusione europea si unisce alla perdita di Kopa, passato proprio alle Merengues ma ben sostituito dall’iper-prolifico centravanti Just Fontaine. Batteux se lo porta anche ai Mondiali del ’58, un anno d’oro per il tecnico: “doublé” campionato-coppa (3-1 al Nimes, doppietta di Bliard e acuto di Fontaine) con il Reims e terzo posto in Svezia (miglior risultato dell’era pre-Platini), battendo 6-3 nella “finalina” la Germania Ovest campione uscente, dove la Francia del capocannoniere Fontaine (13 centri: record imbattuto) è la grande rivelazione del torneo.

I “galletti” vengono eliminati dal Brasile futuro campione e complice l’infortunio, subito proprio contro la Selecào, della colonna difensiva Jonquet, uno degli otto “reimses” da lui convocati. Chissà come sarebbe finita «se non avessimo giocato buona parte della gara in dieci», si chiedeva “il predicatore” Batteux, sognatore e innovatore, in campo e fuori, dalla prima linea a cinque punte (Kopa, Wisniewski, Fontaine, Piantoni e Vincent) ai “seminaires”, sorta di stage psico-atletici, durissimi, di dieci giorni di training prestagionale. Un sistema di preparazione, erroneamente attribuito a Helenio Herrera, e oggi elevato a scienza, che prima di Batteux, poteva al massimo ambire al prefisso “fanta”.

Il titolo del ’58 vale un nuovo assalto alla Coppa Campioni, che però finirà come il precedente: perdendo in finale contro i bianchi di Spagna, fra i quali, con il numero 7, c’è un certo Kopa. Eliminati i nordirlandesi dell’Ards, i finlandesi dell’Helsinki Palloseura, e i belgi dello Standard Liegi, al Neckarstadion di Stoccarda, il 3 giugno 1959, i sogni di gloria biancorossi vengono infranti da Mateos e Di Stefano, i cui gol regalano al Real Madrid il quarto successo su quattro edizioni della manifestazione.

A parziale consolazione, c’è il ritorno del “Napoleone del calcio”, al secolo Raymond Kopa, che coincide con la penultima fiammata del grande Reims di Batteux: la vittoria nel campionato “59-60. L’ultima arriva due anni dopo, anche se solo all’ultima giornata e grazie alla miglior differenza reti nei confronti del Racing.

Nel frattempo, il calcio sta cambiando rapidamente, e Batteux capisce che l’ingenua passione del suo Reims ci sarà sempre meno posto. In più deve metabolizzare il deludente Euro 60, nel quale la sua Francia, padrona di casa e favorita, assieme all’Urss futura campione, viene beffata dalla fortissima Jugoslavia in semifinale. A un quarto d’ora dalla fine, “le coqs” conducono 4-2, ma stavolta la “joie du football”, complice la serataccia del portiere Abbes, è tutta degli slavi, che rimontano e sorpassano (4-5) realizzando una delle più grandi imprese nella storia dei grandi appuntamenti per nazionali.

La batosta viene bissata dalla sorprendente eliminazione mondiale, patita nel dicembre ’61 nello spareggio di Milano (0-1) con la Bulgaria, avversario-nemesi che il 17 novembre ’93 colpirà un altro Ct transalpino, Gérard Houllier, per la corsa a Usa 94. Apriti cielo, si scatenano gli strali della critica e addio “Monsieur Albert”. Nel ’63, in seguito all’eliminazione subita in Coppa Campioni dal Feyenoord, dopo 25 anni di onorato servizio e con la squadra seconda in campionato, identica sorte gli tocca al Reims, che senza di lui l’anno dopo retrocede.

Si ritira allora a Grenoble, dove guida il Foot 38, una modesta formazione locale. Nel ’67, l’amico e collega Jean Sella, suo assistente a Svezia 58, prima di andarsene al Servette di Ginevra suggerisce al suo ormai ex presidente, Roger Rocher, il nome dell’ideale successore alla guida del Saint-Étienne fresco campione di Francia: Albert Batteux.

Dopo aver dimostrato di saper costruire una squadra fatta in casa, spesso scovando e allenando talenti locali agli albori di un professionismo ancora romantico, Batteux vive una seconda giovinezza plasmando una squadra già forte, costruita da un talent-scout, Pierre Garonnaire, a metà tra un Italo Allodi e un Luciano Moggi, e già destinata ad altri successi: tre campionati consecutivi e due “doublé”, nel ’68 (2-1 al Bordeaux nella finale di Coppa) e nel ’70 (5-0 al Nantes).

Batteux rinnova la squadra lanciando giovani come il portiere George Camus, il difensore centrale Bernard Bosquier, il regista Jean-Michel Larquè, l’ala sinistra Georges Bereta e “Monsieur venti gol a stagione” Hervé Revelli. E stavolta gli dà una mano anche la fortuna: “il nuovo Kopa”, fatte le debite proporzioni, è un giovane malese, Salif Keita, spettacolare goleador e assist-man acquistato a scatola chiusa e recapitatogli in taxi direttamente dall’aeroporto parigino di Orly. Batteux se ne andrà prima della “épopée verte”, ma la squadra che il pupillo e successore Robert Herbin, ex giocatore del club, che nel ’76 perderà 1-0 dal Bayem Monaco a Glasgow la finale di Coppa dei Campioni, è anche figlia sua.

Con Salif Keita

La stagione del ’70 è il canto del cigno per l’idealista Batteux, che per due anni si scontra con il presidente Rocher, una sorta di Bernard Tapie dell’epoca, perché questi gli smantella la squadra. Camus e Bosquier vanno al Marsiglia, poi se ne va Keita. Batteux non capisce né si adegua. E dopo cinque stagioni di successi se ne toma a sud, nella Grenoble tanto amata da Henry Beyle, meglio noto come Stendahl. Le successive, brevi parentesi con Avignonnaise, Nizza e Marsiglia aggiungono poco a una carriera, chiusa nell’81, grande quanto sottovalutata.

Nel frattempo, sulla panchina del “Geoffroy Guichard” si insedia uno dei tanti luogotenenti del Maestro: quel Robert Herbin, che, come era accaduto al Maestro a 31, ad appena 33 anni è il più giovane allenatore di Francia. Batteux sarà il primo a brindare, ovviamente a champagne, ai successi dei Verts, anche se quel calcio non gli piaceva più. Fino a quando una lunga malattia non lo ha estraniato dalla realtà, esprimeva nelle sempre più rare interviste tutto il suo disamore per il football moderno.

Un’esistenza chiusa nella sua Grenoble il 28 febbraio 2003 e abbracciata, due settimane dopo, nella chiesa di Piaine Fleurie di Meylan, da esponenti di varie generazioni del calcio francese. A sollevarne il feretro ci sono infatti gli ex Ct Jacquet e Hidalgo; lì vicino, Santini, colonna delle sue squadre e all’epoca tecnico dei Blues, il fedelissimo Herbin, Kopa, Fontaine, i più giovani Bernard Lacom-be, Henri Michel. Tutti con le facce tristi. Per la prima volta e per sempre, l’ideatore del “football en joie” li aveva lasciati soli.

Christian Giordano