BECCALOSSI Evaristo: scusate se insisto…

Evaristo Beccalossi, fin dall’inizio, fu un problema. Aveva il cognome troppo lungo e i giornali non sapevano come fare. Beccalossi, dieci lettere. Troppe.

Su una riga grande, in testa alla pagina, si portava via metà dello spazio. Si provò in tante maniere: Beck suonava male (e poi già c’era Trap); Becca, femminile di becco, neanche a parlarne. Ci si dovette rassegnare: Beccalossi, dieci lettere. E migliaia di titoli sui giornali di tutta Italia. Evaristo Beccalossi, fin dall’ inizio, fu un problema anche per gli allenatori che dovevano metterlo in squadra.

Muove i primi passi all’oratorio di San Polo a Brescia dove segna gol a grappoli. Passa poi alla Scuola Calcio Bettinzoli: «Quando vidi per la prima volta il campo a 11, mi sembrò enorme. Ci andavo in bicicletta, una Graziella che piegavo in due per metterla nell’automobile di papà, che veniva a prendermi quando finiva di lavorare».
Segue poi la classica trafila nelle giovanili del Brescia fino all’esordio in serie B l’8 aprile 1973 in Catanzaro -Brescia.
«Mi marcava Luigi Maldera. Appena lo superai in dribbling, ringhiò: se lo fai di nuovo, ti faccio arrivare a Soverato con un calcione. Quando seppi da Salvi che quel paese si trovava a una ventina di chilometri di distanza, girai alla larga dal difensore. Ho avuto Egidio come compagno di camera. Mi ha insegnato tanto».
Nel 1975 arriva anche un insperato scudetto Primavera con le Rondinelle che oltre a Beccalossi contano anche su Podavini, Biasotti, Catterina, Alfredo Savoldi e Bussalino. Nelle Rondinelle, gioca per 6 stagioni in Serie B disputando 94 gare e realizzando 14 gol.

Nella tarda primavera del 1978 arriva l’accordo tra Brescia e Inter per il passaggio del Becca alla Scala del calcio dove ritrova il suo grande amico Spillo Altobelli, già nerazzurro da una stagione. Al Brescia arriva Guida, De Biase, Cozzi e un conguaglio di 700 milioni. La nuova coppia di giovani promette scintille: il sinistro di Beccalossi e i guizzi di Altobelli al servizio della nuova Inter.
«C’erano Fraizzoli, un papà burbero, Beltrami, Mazzola. Era stata la squadra dei Suarez e dei Corso. Che ci faceva lì un provinciale come me? Mi appiccicarono addosso il 10: ero terrorizzato, qualche amico ce l’avevo, ma Milano era davvero troppo grande per me». Calcio metropolitano, meno ruspante, più furbo, smaliziato: il calcio di chi è arrivato in cima.

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In panchina c’è Bersellini, un autentico sergente di ferro che mette subito in chiaro le cose con Beccalossi («Non ero un guerriero, mi allenavo poco, accendevo spesso e volentieri una Marlborina. Bersellini tentò di raddrizzarmi, ma fu tutto inutile») ma dentro di sé sa di aver trovato un nuovo “Suarez”. In campionato sarà solo quarta ma l’autentica sorpresa del nostro calcio è proprio lui, Beccalossi che riceve complimenti da tutti e lodi anche da Giancarlo Antognoni, che sente “il suo fiato sul collo” per la maglia da regista della nostra nazionale.
L’anno successivo un Inter tutta italiana vince lo scudetto. E’ trionfo e gli uomini di questo successo sono ovviamente Altobelli, con 15 reti, Beccalossi con 7, Oriali con 6 e Muraro con 5. Una squadra votata all’attacco e anche campione di onestà, visto che nessun giocatore sarà accusato nello scandalo di fine stagione del calcio-scommesse.

Risale a quella stagione la partita che ha consegnato al mito Beccalossi: 28 ottobre ’79, domenica di derby, San Siro esaurito: il “Becca” segna una straordinaria doppietta… Nasce la famosa frase “Sono Evaristo, scusa se insisto”. «Vecchia storia, carina, mi ci diverto anche io a ripetere quella frase, ogni tanto. Solo che non l’ho mai detta ad Albertosi a fine partita, quel famoso 28 ottobre 1979, come vuole la leggenda. È stato qualche mio compagno di squadra, poi però me l’hanno attribuita e a questo punto me la tengo. La prima rete nasce su corner da sinistra: Altobelli per Pasinato, cross e in mezzo all’area il mio tocco di piatto, facile in sé, però ero in mischia e ho messo la palla bene sul secondo palo. Diciamo che sono stato bravo a pensare che la palla potesse andare dove è andata e a farmi trovare lì libero. E lì lo stadio ha iniziato a ribollire. Che bello, non dimenticherò mai quella sensazione e quel momento. La seconda rete: Muraro è schizzato in contro-piede, io sono stato bravo a stargli dietro anche se non so come ho fatto vista la differenza di velocità tra di noi. Poi me l’ha passata a due metri dalla linea di porta, metterla fuori era davvero difficile».

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L’Inter sembra pronta a diventare ancora protagonista della Coppa dei Campioni e Beccalossi ormai è diventato una stella internazionale. Invece sarà il solito Real Madrid a fermare i sogni di gloria in semifinale in un infuocato match al Bernabeu passata alla storia per la famosa bilia che colpì un giovanissimo Bergomi alla testa.
La stagione 1981/82 è forse la migliore per Beccalossi che viene caldeggiato dalla stampa e dai tifosi per un posto in nazionale. Nasce una grande polemica a distanza con Bearzot, che finirà addirittura con una serie di battute che riempiono le prime pagine dei quotidiani sportivi.
«In quel periodo giocavo da Dio, stavo bene, incendiavo le folle». Poi, quando si trattò di quadrare il cerchio, Bearzot non convocò Evaristo ed Evaristo diede in escandescenze. Qualche tifoso, davanti ai giornali, si mise a raccogliere firme per una petizione da inviare alla Federcalcio. Altri minacciarono addirittura sit-in di protesta e scioperi della fame. «L’avrei ammazzato, Bearzot. Poi l’ ho capito: se mi convocava, l’opinione pubblica avrebbe spinto perché giocassi titolare. Il c.t. aveva il suo gruppo, non poteva permettersi altri casini, poi io non ero proprio il suo tipo di giocatore. E sono talmente sfigato che tutti sanno come andò a finire: l’Italia vinse il Mundial e io, che non vedevo l’ora di dirgliene quattro, a Bearzot, zitto e a casa»

La nuova stagione inizia con la famosa partita contro lo Slovan Bratislava, un altro match che consegna ancora una volta il Becca alla storia, ma questa volta in negativo…. E’ il 15 settembre 1982, andata del primo turno di Coppa delle Coppe. I nerazzurri vinsero 2-0 (gol di Altobelli e Sabato), ma la partita viene ancora ricordata per i due rigori sbagliati da Evaristo Beccalossi, in uno stadio incredulo. Una storia che è diventata famosa anche grazie al monologo di Paolo Rossi, inserito nello spettacolo «Su la testa», trasmesso anche in televisione nel ‘ 92.
«Tirai il primo e sbagliai. Venivo da 12 o 13 rigori segnati, possibile? Il secondo no, non volevo tirarlo. Mi convinse Oriali, uno che parlava poco ma era il vero leader della squadra. Sbagliai di nuovo. Paolo Rossi, a un certo punto, dice che io guardai tutto lo stadio negli occhi e tutto lo stadio guardò me. Come se lo stadio fosse una persona vera, come se sessanta, settantamila tifosi avessero in quel momento due occhi soltanto e guardassero solo me. Aveva ragione. Ecco, quando parlo di emozioni, ricordi, nostalgia, penso a San Siro che mi guarda e mi dice: vai Evaristo, dribbla tutti e segna un gol. Da brividi».

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Nell’ autunno del 1982, Evaristo Beccalossi va in sede per discutere il rinnovo del contratto. Non è più un «bocia» e, nello spogliatoio, sa di contare qualcosa: sarà lo scudetto conquistato al primo anno, sarà che il popolo di San Siro lo adora, fatto sta che lui va a Foro Bonaparte con l’idea di farsi raddoppiare lo stipendio: da 50 a 100 milioni l’ anno. Trova, dall’altra parte del tavolo, il gatto e la volpe, al secolo Beltrami-Mazzola. Buongiorno, ciao, e dopo pochi minuti i due, con una scusa, escono di stanza. «Abbi pazienza, torniamo subito». Sulla scrivania lasciano un foglietto. Evaristo sbircia: «C’erano gli ingaggi di noi dell’Inter. Tutti. Compresi quelli di Bordon, Oriali e degli altri nerazzurri campioni del mondo. Non più di 70 milioni. Mi si gelò il sangue: potevo chiedere 100? Mi accontentai di un ritocco. Solo molto dopo seppi che quelle cifre erano false e che quel foglietto non era stato lasciato lì per caso».

Con amarezza e rimpianti si continua la sua avventura nell’Inter vincendo la Coppia Italia grazie alla sua tecnica e i suoi passaggi che portano in rete un giovanissimo Serena. Nella Coppa delle Coppa della stagione successiva viene ancora fermata dal Real Madrid nei quarti di finale e in campionato giunge terza guardando il duello Roma-Juventus. Il torneo 1983-84 è il suo ultimo in neroazzurro, con l’Inter al quarto posto; cambiano le presidenze e gli allenatori e Beccalossi non rientra più nei programmi della società. Si cerca un un nuovo regista è lo scambio avviene con la Sampdoria; Beccalossi per Brady, irlandese dal passato juventino per un Inter che rispolvera per l’occasione anche Causio.

Nella Samp Beccalossi crede di avere una maglia da regista titolare invece per lui solo panchina. Giocherà nove partite, troppo poco. Poi la serie B, a Monza. Torna a calcare i palcoscenici della massima serie nel 1986-87, quando il suo Brescia gli chiede una mano per restare in serie A. Ancora una stagione al Rigamonti e poi se ne va a Barletta e a Pordenone, a spendere gli ultimi spiccioli di una classe immensa. Il grande presidente Prisco quando parlava di Beccalossi diceva: “Lui non giocava con il pallone, era il pallone che giocava con lui. Lui non lo calciava, l’accarezzava riempiendola di coccole”.