Bolivia 1994: dagli Altipiani al sogno americano

Nel 1882 un treno arrivò in una cittadina andina, Oruro, proveniente dal porto cileno di Antonofagasta. Era la prima volta che una convoglio ferroviario giungeva così in alto. La leggenda narra che un imprenditore oruregno, da molto tempo di stanza in Cile, decise di portare, oltre alle mercanzie e agli spettacoli teatrali, anche un pallone. Inizia così la storia del calcio in Bolivia. Non lasciatevi tradire dai miseri risultati della selezione nazionale, in quel Paese al calcio tengono davvero. Sennò cosa ci sarebbe andato a fare, con una pelota, il Presidente Evo Morales a Sajama, ridente picco boliviano a più di 6500 metri d’altitudine? Tra i maggiori successi della Verde, come viene soprannominata la selezione boliviana, vi sono infatti ben tre partecipazioni ai Campionati del Mondo.

Da quel pallone portato ad Oruro facciamo un salto in avanti di più di cento anni e parliamo della squadra nazionale che partecipò a USA 1994. Il perché è molto semplice: quella squadra ha acquisito lo status di mito dalle parti di La Paz. I giocatori che ne fecero parte saranno ricordati per sempre come degli eroi, non tanto per le prestazioni in diretta mondiale – pur non misere – ma solo per esserci arrivati. Per aver dato ad una nazione l’opportunità di essere unita, con il pallone come collante, nonostante una situazione interna veramente precaria.

Facciamo prima un passo nella storia. Le prime due partecipazione degli Altiplanicos ad un Mondiale furono delle vere e proprie figuracce: nel 1930, alla prima manifestazione iridata assoluta, persero 4-0 entrambi gli incontri del proprio raggruppamento (con Jugoslavia e Brasile), mentre nel 1950, in Brasile, persero 8-0 contro l’Uruguay di Schiaffino, Ghiggia e Varela, futuri campioni. Non benissimo. L’avventura americana del 1994 arrivò, dunque, dopo quasi cinquant’anni. Tutto questo tempo non deve ingannare. L’introduzione dei gironi di qualificazioni in Sudamerica dal 1954 – a cui la Bolivia partecipò, però, solo dal 1957 – in poi, passando per i campi non facilmente accessibili, considerando che il territorio boliviano è sostanzialmente montuoso, non hanno agevolato l’organizzazione e la pratica del futbol. Se poi aggiungiamo che il Paese passò al professionismo nel 1950, dopo quasi sessant’anni di amateurismo, diventa quasi un miracolo sportivo la vittoria – solo 13 anni dopo, nel 1963 – della prima (e unica) Copa America della storia boliviana.

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Mondiali 1930: La Bolivia schierata prima del match contro il Brasile

Il calcio, però, vive e di questo si respira nei dintorni di La Paz. La capitale diventa anche il centro sportivo del Paese, con il The Strongest Football Club e il Club Bolivar a contendersi tutt’oggi lo scettro di squadra più rappresentativa di Bolivia. Negli Sessanta un golpe portò al comando politico della Nazione una giunta militare che, per vari anni, mantenne il controllo del Paese. Della situazione si interessò anche tale Ernesto Guevara, per tutti il “Che”, che, nel 1967, organizzò una spedizione per liberare il paese dall’egemonia militare nel quale era caduto e che perì proprio tra le montagne andine, durante il compimento della missione.

Così come il Paese, anche la Federcalcio risentì del precario equilibrio generale e, così, si entrò nella cosiddetta “Età del Caos” del calcio boliviano. Fu definita così perché frutto della polemica, neanche troppo velata, tra la AFLP – Asociacion de Futbol de La Paz – e la FBF – Federacion Boliviana de Futbol. Ma come? Due Federazioni di calcio in Bolivia? Si, ma questa è un’altra storia. Sostanzialmente frutto della rivalità tra le città di La Paz e Cochabamba, importante città agricola e culturale del Paese. Causa della contesa, chi dovesse stabilire la squadra da inviare alla nascente Copa Libertadores. Si decise, dopo quattro anni di accuse e risposte tra le due federazioni, di far giocare un torneo tra le vincitrici dei campionati metropolitani. Chi alzerà la Copa Simon Bolivar – questo il nome del torneo – rappresenterà la Bolivia nella Libertadores. Va da sé che questa manifestazione era la carta velina di un campionato nazionale vero e proprio. Nonostante una pace pseudo raggiunta, la prima “vera” Liga si disputò solo nel 1977.

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Il tecnico Xabier Azkargorta

Agli inizi degli anni ’90 la Bolivia era, più che mai, sull’orlo di una guerra civile. L’aria era davvero pesante (e c’entra poco l’altitudine). Ecco che la Verde inizia le qualificazioni in una situazione assai particolare, con uno sciopero dei calciatori che ha, di fatto, bloccato la Liga. La lungimiranza della Federcalcio andina fu quella di concentrarsi sui giocatori convocabili che militavano nel campionato locale, cercando di mantenerli in forma e renderli competitivi. Quelli che giocavano all’estero, sarebbero arrivati pronti. Il neo commissario tecnico Xabier Azkargorta, spagnolo, arrivò alla chetichella, accolto da molti dubbi. Dopo due anni tutti, ma proprio tutti, ricorderanno a memoria il suo nome.

La squadra iniziò la preparazione alla ronda giocando la Coppa Nehru, in India. Il ct non prese parte alla spedizione, intento a preparare il miglior programma possibile per poter rendere realtà un sogno lontano. Dopo l’esperienza indiana, la selezione effettuò altre amichevoli in giro per il mondo. Poi, per un mese, si recò al Centro de Alto Rendimiento de San Cugat a Barcellona. Qui l’allenatore torchiò fisicamente i giocatori e, nel frattempo, lavorò sulla parte umana, cercando di recuperare quell’autostima che i giocatori – e il Paese – avevano perso da tempo. Infine quando, dopo molti mesi lontano da casa, alcuni giocatori non vedevano l’ora di tornare di fronte al proprio popolo, la selezione fece ritorno in patria. El Bigoton (così veniva chiamato il ct, per via dei suoi prominenti baffi) capì che la Bolivia era pronta a scrivere la storia.

Il modulo era un saggio 5-4-1 da adattare a seconda delle partite. Ovviamente più coperto se si era in trasferta, una sorta di 3-3-4 se si giocava in casa. In porta Carlos Leonel Trucco, che meriterebbe una storia a parte. Sicuro, lucido, tenne la porta inviolata nella partita decisiva per i boliviani, quella in Ecuador. In mezzo Miguel Angel Rimba che, a dispetto di un nome tale, era giocatore intelligente e gran marcatore. Fu sospeso per una foglia di coca masticata prima della partita interna contro il Brasile, ma fu scagionato successivamente. Insieme a lui Marco Sandy, in quel biennio chiudeva ogni buco che la difesa concedeva. Fisico granitico, gran colpo di testa. Il terzo centrale era un argentino naturalizzato boliviano, Gustavo Quinteros, detto El Facha, che potremmo tradurre con un poco diplomatico “acchiappafemmine”. A destra Carlos Borja, capitano della truppa, se alza un sopracciglio tutti si azzittivano. In campo comandava lui. A sinistra Luis Cristaldo, all’occorrenza freccia offensive, diciotto polmoni, correva per sei o sette partite di seguito volendo.

In mezzo al campo il cerebro, il cervello della squadra, Milton Melgar. Regista di rara sapienza, con immenso senso del tempo. E poi lui, ancora oggi considerato uno dei due più forti che abbiano allacciato un paio di scarpini da calcio in Bolivia, Erwin “Platini”Sanchez. Il soprannome dovrebbe già dire tutto ma non potete capire che calamita emozionale fosse, che attributi tenesse e che piedino destro avesse. Un giocatore che scalda il cuore. Nel 2000 vincerà, praticamente da solo, il campionato portoghese con il Boavista. I due giocatori che completavano il centrocampo, Julio Cesar Baldivieso e Ramiro“Chocolatìn” Castillo, partivano larghi ma amavano dare spazio ai terzini accentrandosi e facendo continuamente elastico, a turno, tra centrocampo e attacco. Davanti l’hombre de la historia, William Ramallo, capocannoniere nel girone di qualificazione per la Verde e autore del gol qualificazione. L’alternativa era un certo Marco Etcheverry, idolo totale e assoluto del popolo. Era l’uomo che entrava e spezzava le partite. A volte partiva largo a sinistra per poi fare la seconda punta assieme a Ramallo. Aveva una voglia non misurabile, tendente all’infinito. Non a caso, per tutti, lui era El Diablo.

La squadra era organizzata e giocava un gran calcio, e vinse le prime cinque partite del girone di qualificazione. Venezuela, Brasile, Uruguay, Ecuador e Venezuela di nuovo. 20 gol fatti e due subiti. Un rullo. Ma non si è mai qualificati finché non ci si qualifica. Seguirono due sconfitte, di cui una pesante in Brasile per 6-0, e poi quello che in lingua ayrama – antico idioma dell’Altipiano – si chiama “jacha uru”, il gran giorno, quello del pareggio a Guayaquil per 1-1 che diede la certezza: la Bolivia era, dopo quarantaquattro anni, tra le migliori ventiquattro squadre del mondo.

Il sorteggio non era stato neanche maligno: Germania, Corea del Sud, Spagna e Bolivia. Esordio contro i teutonici. Sembrava segnata, i pronostici erano tutti per i tedeschi. Primo tempo, a sorpresa, fermo sullo 0-0 e Bolivia in totale controllo tecnico e agonistico del match. La migliore occasione è di Sanchez ma Illgner frustrò ogni velleità, opponendosi con bravura. A metà del secondo tempo, Klinsmann si fece trovare pronto su una verticalizzazione di Thomas Hassler e fulminò Trucco. 1-0 Germania. Poi entrò El Diablo. Ma come? Il miglior talento boliviano partiva dalla panca? Si, perché l’anno prima si ruppe i legamenti crociati e fece di tutto per non saltare il Mondiale. L’animo era il solito ma le scorie dell’infortunio erano ancora presenti, specie nella sua testa. Risultato: entrata dura di Matthaus, reazione di Etcheverry. Cartellino rosso. Addio sogno di rimonta. Vinse la Germania ma, nonostante tutto, la Bolivia impressionò.

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Germania-Bolivia 1-0: Jurgen Klinsmann e Gustavo Quinteros

Nella seconda partita, contro la Corea del Sud, la Verde non andò oltre lo 0-0, in una partita ricordata sia per il tempo totale di gioco (104 minuti, con 14 di recupero) sia per le occasioni da rete che entrambe le squadre ebbero. Bolivia che finì la partita, di nuovo, in dieci per l’espulsione di Cristaldo a sette dalla fine, e che ebbe le due più nitide occasioni per centrare il primo trionfo in una manifestazione iridata. Baldivieso, in entrambe le situazioni, sprecò davanti al portiere Young In Choi quello che poteva essere un altro gol della storia. Primo punto, comunque, per la Bolivia in un Mondiale e morale alto. La qualificazione alla fase successiva, però, si gioca contro la Spagna.

Al Soldier Field di Chicago, davanti a poco più di 60mila spettatori, la Bolivia aveva un solo risultato, la vittoria. Il match, era chiaro, avrebbe determinato la seconda forza del raggruppamento e questo implicò molta tensione e grande agonismo in campo. La sliding door del calcio boliviano arriva al minuto 18, quando Ramallo (e chi sennò?) impattò il pallone con un perfetto destro che incocciò in pieno la traversa. Sul ribaltamento di fronte, l’arbitro costarricense Badilla vide una spinta, in area di rigore di Cristaldo ai danni di un attaccante spagnolo. Calcio di rigore. Pep Guardiola trasformò in maniera impeccabile dagli undici metri. La Bolivia riprese a giocare il suo calcio ma la manovra risultò un po’ farraginosa e, al 20′ della ripresa Caminero in contropiede marcò il secondo gol iberico. Due minuti dopo Erwin Sanchez infilò Zubizarreta e riaprì i giochi, entrando nella storia come primo – e al momento unico – marcatore della Bolivia in un Mondiale. La Verde era ancora viva. Con quasi tutti gli effettivi in avanti alla ricerca, perlomeno, del pari, ancora Caminero sentenziò il congiunto boliviano in contropiede. Finì così. 3-1 per la Spagna e Bolivia a casa.

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Spagna-Bolivia 3-1: Ramallo e Zubizarreta

Finì così una storia incredibile, iniziata in una mattina fresca a La Paz, quando El Bigoton Azkargorta entrò nella sede della Federazione boliviana di calcio, raccolse i cocci di un’eterna promessa e la trasformò in squadra mondiale. Trucco, Borja, Sandy, Quinteros, Rimba, Cristaldo, Melgar, Sanchez, Baldivieso, Castillo, Ramallo divenne una filastrocca della buonanotte fra i bambini boliviani. Etcheverry e Sanchez gli idoli sul quale fantasticare nei potreros andini. Xabier Azkargorta il papà che tutti avrebbero voluto. Dicono che i boliviani si motivano in questo modo: “Los bolivianos si podemos si nos lo proponemos!”. Sostanzialmente, se ci impegniamo possiamo fare qualsiasi cosa. Come mettere sulla mappa del calcio una nazione tanto appassionata quanto storicamente incompiuta.