Cari vecchi Bomber di provincia…

Piccole grandi storie di piccoli grandi bomber che hanno colorato la provincia del gol. Chi si è perso per strada dopo un inizio da campione, chi ha onorato la carriera segnando gol ovunque nelle varie serie, chi ha giocato con Platini e Maradona. A tutti, grazie…


Non sono esistiti soltanto i grandi Riva, Boninsegna, Platini, Altafini. Dalla florida provincia pallonara sono via via emerse vere e proprie meteore del gol. Da Brighenti a Bui, da Vitali a Chimenti, senza dimenticare Palanca, Muiesan, Desolati e tanti altri. Ecco le loro piccole grandi storie…

Sergio Brighenti apre la lista. Campionato ’60-61, vince la Juventus e la Sampdoria si assesta al quarto posto della classifica anche in virtù della stagione-monstre del suo bomber, più che mai prolifico: 27 reti in 33 presenze. Brighenti è un uomo-gol spontaneo e genuino, non esattamente un’ira di dio dal punto di vista tecnico, ma portentoso nello sfondamento. Cresciuto nel Modena, sembrava destinato a un futuro eccellente quando rispose, ancor giovane, alla chiamata dell’Inter. Ma in nerazzurro si ritrovò chiuso da Benito Lorenzi, e dopo tre stagioni fu costretto a ripartire dalla Triestina. Esperienza negativa, e quando la stella sembrava ormai in caduta libera ecco la chiamata di Nereo Rocco al Padova, dove il “paròn” si era specializzato nel ricostruire campioni vecchi o giovani scartati dalle altre squadre. In Veneto nacque la brillantissima coppia Hamrin-Brighenti, che trascinò il Padova al terzo posto in campionato, e valse a Sergio la chiamata della Samp. Giusto in tempo per la stagione da libro dei record, appunto il ’60-61. L’ultima fiammata: nel ’63 Brighenti tornerà al Modena, per una stagione da 10 reti, e nella stagione ’64-65 andrà a chiudere la carriera a Torino. In tutto 309 presenze, con 134 reti, in Serie A.

Sergio Brighenti

Aurelio Milani, che nella stagione ’61-62 condivide con José Altafini il titolo di miglior realizzatore del campionato, arriva alla gloria a ventisette anni, dopo una lunga gavetta. A Padova, anche lui alla corte dei miracoli di Nereo Rocco, una stagione fantastica da 18 reti gli vale la chiamata della Fiorentina. La risposta è, appunto, l’annata d’oro in questione, con Milani sul trono dei realizzatori con 22 reti. Sembrerebbe la consacrazione, invece finisce lì. Arriva in nerazzurro, il bomber, ma le sue polveri sono ormai irrimediabilmente bagnate.

Stagione ’64-65, anno buono per i cannonieri delle squadre del Sud. Il primo è un goriziano di ventisei anni, si chiama Carlo Facchin e spazia sulla fascia sinistra. Con i suoi gol ha portato la Reggiana dalla C alla B, meritandosi le attenzioni del Catania in cerca di bomber. Ripaga con 13 reti in 33 partite, assicurando alla squadra siciliana una salvezza tranquilla. Finirà al Torino nel ’66, ma non arriverà più oltre quota dieci.

L’altro nome è quello di Cosimo Nocera, “guaglione” di Secondigliano, rifiutato dal Napoli in età giovanile e approdato al Foggia in Serie C. Un marcantonio di 183 centimetri per 78 chili, che trascina di peso la squadra pugliese in Serie B nel ’61-62, e l’anno dopo va oltre vincendo la classifica marcatori tra i cadetti, con 24 reti. Altre 14 nel ’63-64, anno della promozione in Serie A. Cosimo Nocera è il bomber del momento, e si diverte a raccontare la sua vita per il calcio. «Sognavo di studiare, ma a casa non c’erano soldi e dovevo stare in macelleria. Ma il calcio nel sangue l’avevo già a dieci anni». Sull’onda dell’entusiasmo, Cosimo fa un debutto importante, con 10 gol alla prima stagione di A. Finisce lì, l’exploit, la strada del gol, da lì in avanti, diventa un sentiero impervio.

Vittorio Cosimo Nocera, stella del Foggia

Gigi De Paoli, in questa lista, ci sta e non ci sta. Nel senso che dopo nove campionati nel Brescia, con il picco di 13 reti nella stagione ’65-66, arriva a farsi notare anche nella grande squadra. Non ai livelli di quella stagione, in quanto a marcature, ma nel suo curriculum a fine carriera resteranno uno scudetto (Juventus, ’66-67) e tre partite, con un gol, in Nazionale.

Bomber classico, centottanta per settantasei chili, è anche Gaetano Troja, palermitano messosi in luce in Serie A nel Brescia e cresciuto da profeta in patria nella squadra di casa, con i colori del Palermo. Ariete di movimento e non troppi gol, mai sopra la decina di reti a stagione.

L’uomo di Serramazzoni, Appennino modenese, è un gigante che per far strada nel calcio deve partire dalle giovanili della Lazio. Si chiama Gianni Bui, un gigante di 185 centimetri per 80 chili che quando si pianta in area è una colonna di granito impossibile da spostare. La Serie A la assaggia con la squadra romana già a vent’anni, ma l’esplosione arriva tra i cadetti, prima a Catanzaro (33 reti in due stagioni), poi a Verona. Con la squadra veneta arriva la promozione in Serie A, e un’annata indimenticabile, il ’68-69: Gianni segna 15 reti in 26 partite, è al centro dell’attenzione e diventa un uomo mercato. Non si ripeterà, a questi livelli, pur restando un giocatore importante per il Verona e poi per il Torino, che lo acquista nel ’70-71.
Lucio Muiesan arriva a Bologna nel ’68-69, e l’acquisto fa scalpore. Il ragazzo ha il gol nel sangue, tra Avellino e Bari ha segnato qualcosa come 69 reti in quattro stagioni, tre in Serie C e una tra i cadetti. Prima Cervellati, poi don Oronzo Pugliese gli danno fiducia, e lui ripaga con 11 reti in 25 partite. L’anno dopo scende a 7, e il Bologna lo gira al Verona. Finirà a fare l’uomo da panchina nella Roma.

Un finale tragico, al di là di una carriera sfortunata, attendeva al varco Alessandro Vitali, ragazzo prodigio che si stancò in fretta del calcio e perse la vita a soli trentadue anni. Era letteralmente esploso con la maglia del Vicenza, nel ’69-70, secondo con 17 reti soltanto a Gigi Riva. Un’anno magico che valse il trasferimento alla Fiorentina, alla cifra-record di 600 milioni. Doveva essere un punto di partenza, ma Sandrino capitò a Firenze nell’anno sbagliato, diventando il capro espiatorio di una stagione balorda della squadra. Dirottato a Cagliari, non si risollevò e finì per tornare a Vicenza, dove nonostante i malanni fisici giocò due buone stagioni, prima della rottura con la società, per una banale questione di ingaggio.
Chiuse con il calcio professionistico ma non con il calcio. Sentiva la voglia di ricominciare daccapo in un ambito a lui più congeniale lontano da quel mondo che gli aveva dato il successo per poi disilluderlo lasciandogli tanta amarezza. Il progetto di tornare a indossare le scarpette chiodate giocando nella Centese in Serie D venne però bruscamente troncato il 26 agosto 1977 all’età di 32 anni quando alla guida della sua Alfa 2000 si schiantò sui platani di una strada alle porte di San Giovanni in Persiceto, morendo sul colpo.

Alessandro Vitali con la maglia del Lanerossi

Il ’70-71 lancia in orbita un altro ariete, il friulano Ermanno Cristin. Bello tosto (182 centimetri per 81 chili), il ragazzo ha già alle spalle diverse stagioni in Serie A nella Sampdoria, senza lampi. A venticinque anni, una stagione da dieci gol potrebbe significare l’improvvisa maturazione. Invece è un fuoco di paglia. L’anno dopo Cristin si ferma a quota cinque, poi finisce in Serie B, a Mantova.

Non è un ariete Giorgio Braglia, modenese, ala sinistra dallo scatto bruciante e dal prezioso tocco di palla. Nel ’73-74 arriva a Napoli e si mette in luce segnando otto reti, l’anno dopo, con 12, è il secondo realizzatore. Un’altra stagione ad alto livello (pur con una netta flessione nelle realizzazioni) gli vale la chiamata del Milan per la stagione ’75-76. Occasione perduta: giocherà tre partite (anche per via di un grave infortunio), poi vestirà un rossonero meno blasonato, a Foggia.

Giorgio Braglia con il nerazzurro Mariani

Claudio Desolati è un centravanti di dimensioni ridotte (172 centimetri di altezza). Nato a Genk, in Belgio, nel 1955 e cresciuto nel Winterslag, comincia a familiarizzare col gol a Firenze. Dopo aver vinto due campionati con la squadra viola Primavera, ha appena vent’anni quando esplode nella stagione 75-76, segnando 10 reti in 21 partite, e molti iniziano a parlare di miracolo. L’anno dopo è una mezza conferma, nonostante i problemi fisici che lo lasciano al palo per una decina di partite Desolati segna nove volte su diciannove apparizioni. Ma la vena si inaridisce lì. Il ragazzo-prodigio, sempre alle prese con malanni fisici, dopo essere passato dalla Pistoiese, a ventotto anni è già in Serie C col Foggia. Si ritira dal calcio nel 1989 dovo aver girato diverse squadre nei campionati dilettanti.

Lo chiamavano “Piedino d’Oro”. Perché oltre a essere un bombertascabile, aveva una misura di piede da ragazzino, il 37, e per questo gli costruivano appositamente scarpe da calcio ortopediche. Nonostante le misure ridotte, Massimo Palanca era un realizzatore coi fiocchi, tutto da raccontare. Il ragazzo arriva da Loreto, e a soli diciassette anni il Catanzaro lo lancia tra i cadetti. Poi lo manda a farsi le ossa in Serie C (Camerino e Frosinone) richiamandolo nel ’74-75. Due anni tra i cadetti, poi un’altalena tra A e B. Nel ’77-78 Massimo è capocannoniere della Serie B con 18 reti, si guadagna sul campo la promozione insieme al suo Catanzaro e vive tre stagioni da favola nel paradiso del pallone. Dieci reti nel ’78-79, nove l’anno dopo, addirittura tredici nell’80-81, quando il Catanzaro arriva a un passo dalla zona Uefa. Specialista dei rigori, virtuoso del gol segnato direttamente dal corner, diventa un uomo-mercato e finisce al Napoli per la bella cifra di un miliardo e 350 milioni. Ma sotto il Vesuvio il bomberino (169 centimetri per 64 chili) non decolla. Finisce in serie B a Como, torna a Napoli ma va in rotta col tecnico, Rino Marchesi, scende addirittura in C2 col Foligno. Quando il viale del tramonto sembra imboccato, ecco la chiamata del primo amore, il Catanzaro, nel frattempo scivolato in C1. Palanca si risveglia, con 17 reti in 29 partite trascina la squadra alla promozione e si riaffaccia, per tre anni, alla cadetteria.

Massimo Palanca, anima del Catanzaro

Gianluca “Gil” De Ponti, fiorentino di lingua sciolta e calcio ruspante, trova gloria nell’Avellino di Rino Marchesi, stagione ’78-79. Nove reti che valgono una significativa salvezza. Ma Gil non andrà mai oltre quel numero di gol, e alla fine, forse deluso dal calcio d’Italia, sarà uno dei primi emigranti del pallone. Nell’85 vivrà momenti di gloria a Malta, cannoniere dello Zurrieq.

Girovago del gol di provincia è anche Vito Chimenti, barese, fisico alla Palanca (pancetta a parte…) e grappoli di gol segnati tra Serie D e Serie B, a Matera, Salerno, Palermo (29 in due stagioni di B). In Serie A, solo una fiammata tardiva, nella stagione ’80-81 a Pistoia: 25 presenze, nove reti, sulla soglia dei trent’anni.

Il Verona pesca l’asso nella stagione ’82-83. Si chiama Domenico Penzo, ha già una trentina d’anni e alle spalle una carriera vissuta a suon di gol sulla fascia sinistra. Ragazzone di un metro e ottanta, si è messo in luce in D con la Romulea guadaganandosi le attenzioni della Roma. Buttato in campo a ventun’anni, ha sbagliato l’approccio ripiombando nelle categorie inferiori, e lasciando il segno a Benevento, a Bari, a Monza e a Brescia. Nell’81-82 è stato uno dei protagonisti della promozione del Verona in Serie A, segnando 14 reti. Va oltre, appunto, nel suo primo vero anno ad alta quota. Quindici gol che valgono l’occasione della vita: nell’82-83 Penzo è della Juventus. Vestirà venticinque volte la maglia bianconera, segnando cinque reti, poi andrà a chiudere la carriera a Napoli. Soddisfatto, comunque: «Signori, rendetevi conto di questo: io, Domenico Penzo, sono stato il centravanti di Platini e Maradona». Mica male, come finale di carriera.

Penzo con la maglia del Verona 1982/83

Nella stagione ’81-82, con Palanca appena approdato a Napoli, il Catanzaro si ritrova tra le mani un altro bomber rampante. Edy Bivi ha carattere, senso del gol e ad appena ventun’anni ha spopolato in C2, a Mestre (29 reti in tre stagioni), fino a farsi notare dagli osservatori della Nazionale giovanile (fu addirittura inserito nella lista dei papabili per Spagna 82). Il salto di tre categorie non pare turbarlo: Edy, al debutto in Serie A, segna tredici reti in ventinove partite, e intorno si comincia a gridare al fenomeno. Ma il resto della carriera non sarà all’altezza dell’esordio. Bivi tornerà in B col Catanzaro, si riaffaccerà al grande calcio col Bari nell’85-86 (22 presenze e solo due reti). Poi via al walzer di maglie, 3 in 3 anni: Triestina, Cremonese, Monza. Passa quindi nell’estate 1990 al Pescara dove resterà 4 anni, centrando nella stagione 1991-92 la promozione (12 reti all’attivo in quella stagione), ma realizzando solo 3 reti nella stagione 1992-93 conclusa dagli abruzzesi all’ultimo posto. Lascia il Pescara nel 1994 per concludere la carriera agonistica con Giorgione e Ospitaletto.

Bivi con la maglia della Cremonese