Beckenbauer VS Netzer

Anni 70: le sfide tra Bayern Monaco e Borussia Mönchengladbach assunsero un significato simbolico che trascendeva l’aspetto puramente calcistico; erano bianco contro nero, il Bene contro il Male, i rivoluzionari contro i conservatori, Netzer contro Beckenbauer…

Sul finire degli anni Sessanta la Repubblica Federale Tedesca (BRD) fu scossa da grandi cambiamenti; nel 1966 venne formato per la prima volta un governo di “grande coalizione” tra cristiano-democratici e socialdemocratici, due anni dopo scoppiò, violentissima, la rivolta studentesca, ispirata non solo dai movimenti pacifisti di contestazione alla guerra nel Vietnam ma anche dalla profonda disillusione delle nuove leve nei confronti del governo “bicolore”; infine nel 1969 il leader socialdemocratico Willy Brandt, già sindaco di Berlino e protagonista di una coraggiosa lotta all’interno del partito per avvicinarlo alla socialdemocrazia occidentale “depurandolo” nel contempo delle sue componenti più radicali, divenne cancelliere (in coalizione con il Partito liberaldemocratico) introducendo la sua Ostpolitik, teoria che prevedeva il riconoscimento e la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra la BRD e gli stati del Patto di Varsavia, in particolare con DDR e URSS.

Per molti, una dimostrazione di debolezza, per altri invece la presa di coscienza di vivere in un’Europa rigidamente divisa e il tentativo di costruire un ponte tra i due schieramenti al fine di rendere più vivibile la situazione tedesca. Furono quindi anni di mutamenti e di scontri, di radicalizzazione della vita politica ma anche di svecchiamento della società civile; il calcio, nel suo piccolo, fece lo stesso…

Nasce la rivalità

La fine degli anni Sessanta nel mondo del pallone tedesco vide nascere e svilupparsi una rivalità che si sarebbe poi consolidata nel decennio successivo, prima di esaurirsi con l’avvento degli anni Ottanta per manifesta superiorità di una delle due rivali. Cresciuta però in un clima come quello del ’68, imbevuto in una concezione radicale della vita sociale all’insegna del noi-contro-loro, dove tutto era politico, dall’arte al cinema, dalla filosofia allo sport, la rivalità tra Bayern Monaco e Borussia Mönchengladbach assunse un significato simbolico che trascendeva l’aspetto puramente calcistico; era bianco contro nero, il Bene contro il Male, i rivoluzionari contro i conservatori, Netzer contro Beckenbauer. Da una parte il calcio arrembante e spettacolare del Borussia, capace di mettere in fila autentiche vittorie-record come il 12-0 al Borussia Dortmund, l’11-0 allo Schalke 04, il 10-0 al Borussia Neunkirchen oppure, in ambito europeo, il famigerato 7-1 all’Inter che solo uno squallido episodio di italica vigliaccheria riuscirà a cancellare dagli almanacchi ufficiali; dall’altra il plumbeo pragmatismo del Bayern, cinico a sufficienza per vincere partite, e competizioni, che avrebbero meritato ben altro esito. La realtà però, come spesso accade di fronte a divisioni così nette, è stata gradatamente sostituita dal luogo comune: belli e perdenti quelli del Gladbach, brutti, cattivi e vincenti i bavaresi di Monaco. Non è stato così, almeno non in Bundesliga.

Largo ai giovani

Nel percorso di ascesa verso le vette del calcio tedesco Borussia Mönchengladbach e Bayern Monaco hanno presentato più analogie che differenze. A metà degli anni Sessanta entrambi i club vantavano bacheche scarne (una Coppa di Germania nel 1960 i “Fohlen”) e impolverate (un titolo nazionale nel ’32 e una Coppa di Germania nel ’57 i bavaresi), entrambi erano freschi di promozione in Bundesliga, tutti e due infine avevano deciso di ripartire dal vivaio (21.5 era l’età media del Gladbach nell’anno della promozione, 21.8 quella del Bayern) per ristrutturare la squadra e puntare in alto. Il Borussia aveva scelto Hennes Weisweiler, il Bayern il di lui allievo ai tempi dell’Accademia dello Sport Tedesco di Colonia, Zlatko “Tschik” Cajkosvki, al quale poi si succederanno Branko Zebec dal ’68 e Udo Lattek dal ‘70. L’ossatura delle due squadre venne costruita sulla linea verde: Günter Netzer, Jupp Heynckes, Herbert Laumen, Bernd Rupp e Berti Vogts da un lato, Franz Beckenbauer, Sepp Maier, Hans-Georg Schwarzenbeck, Franz “Bulle” Roth e Gerd Müller dall’altro.

Due visioni

La Germania aveva trovato due nuovi padroni, che oltretutto si sopportavano a fatica rendendo di fatto impossibile evitare di schierarsi dall’una o dall’altra parte. Il gioco del Borussia era basato sul contropiede, con Netzer che fendeva l’aria con lanci di cinquanta-sessanta metri per sfruttare al meglio la velocità del tridente d’attacco; a Monaco invece Beckenbauer governava tranquillo dalla difesa optando per un approccio più ragionato alla partita, possesso palla e pressing in attesa della crepa che inevitabilmente si sarebbe aperta nella retroguardia avversaria, e poi ci avrebbe pensato Gerd Müller. Due filosofie diverse che portarono successi ad entrambi i club finendo però con il consolidare una dicotomia (utopia contro razionalità, rivoluzione contro restaurazione) stereotipata e ben lontana dalla realtà.

Una questione di etichette

Normalmente sono i perdenti a risultare più simpatici, almeno al pubblico neutrale; ma nel decennio d’oro in cui si è generata la Grande Rivalità il Borussia ha vinto cinque titoli nazionali contro i quattro del Bayern. I bavaresi però, nel citato periodo, hanno segnato più gol dei rivali, con una media reti di 3.65 per partita rispetto al 3.4 dei “riformisti” di Mönchengladbach, con tanti saluti all’etichetta di pragmatici e di maestri dell’1-0. Per tacere poi dell’aurea di squadra sexy e ribelle che circondava gli uomini di Weisweiler; se tali aggettivi infatti calzavano a pennello per il suo leader Netzer, personaggio glamour quanto un George Best o un Johnny Rep, difficile invece immaginarli adatti a personaggi quali Berti Vogts, fuori dagli schemi tanto quanto Clemente Mastella (senza offesa per il tedesco, sia chiaro…), oppure Horst Köppel e il suo parrucchino da combattimento. A Monaco per contro si poteva trovare un maoista nonché terzomondista ante-litteram alla Paul Breitner, oppure lo stesso Beckenbauer che, nella puritana Germania anni Sessanta, aveva messo incinta la propria fidanzatina 18enne rifiutandosi poi di sposarla, venendo immediatamente escluso e (temporaneamente) “bandito” dalle nazionali giovanili tedesche. Ma nel mondo in bianco e nero costruito attorno a Borussia e Bayern non era contemplata alcuna tonalità di grigio, e il mito dei buoni contro i cattivi attecchì rapidamente.

Due di Coppe

La vera grande differenza tra i due club tedeschi l’hanno fatta le coppe europee, un ambito in cui il Bayern è stato eccezionale, e le tre Coppe Campioni consecutive ne sono una prova indiscutibile, mentre il Borussia solamente discreto con le sue due Coppe Uefa (1975 e 1979). Questione di carattere, di chimica ma anche di fortuna; in Europa la dea bendata ha sempre snobbato i Fohlen. Nella Coppa Campioni 70-71 furono eliminati ai rigori dall’Everton dopo che i Toffees avevano raggiunto il pareggio grazie a un dalla distanza di Howard Kendall che aveva colto impreparato il portiere Wolfgang Kleff, impegnato a rimuovere un rotolo di carta igienica dall’area piccola…
Nel ’76 uscirono ai quarti al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid di Netzer (trasferitosi in Spagna tre anni prima) al termine di un arbitraggio talmente di parte (ai tedeschi furono annullati due gol solari) che in seguito il direttore di gara, l’olandese Leo van der Kroft, venne sospeso dall’Uefa. Nel ’77 nemmeno uno strepitoso Allan Simonsen, poi premiato a fine anno con il Pallone d’Oro, riuscì ad impedire che il sogno di salire sul tetto d’Europa si arenasse all’ultimo atto di fronte al Liverpool di King Kevin Keegan, già giustiziere del Gladbach quattro anni prima nella finale di Coppa Uefa. Lo zenith della malasorte il Borussia lo raggiunse però nel già citato 7-1 rifilato all’Inter (tripletta di Heynckes, doppietta di Netzer e Le Fevre, rigore di Sieloff, per i milanesi momentaneo pareggio di Boninsegna), Coppa Campioni 71-72; l’Uefa fece ripetere l’incontro su richiesta dei nerazzurri dopo che, al minuto 29, Boninsegna fu colpito da una lattina vuota lanciata dagli spalti, crollando al suolo. Per molti fu una patetica sceneggiata, ma alla fine vinsero i furbi. La ripetizione finì 0-0 (nel frattempo si era giocato il ritorno a San Siro, 4-2 per l’Inter), sancendo l’eliminazione dei tedeschi.

Oggi niente da tradire

Gli inizi degli anni Ottanta hanno progressivamente annacquato la rivalità tra Bayern e Borussia; i primi si sono confermati potenza economica e società leader del calcio tedesco, i secondi hanno imboccato il viale del tramonto che li ha portati, alle soglie del nuovo millennio, alla retrocessione in Zweite Liga. Nell’estate del 1984 uno dei più talentuosi centrocampisti del calcio tedesco, l’allora 23enne Lothar Matthäus, passò dal Borussia Mönchengladbach al Bayern Monaco, garantendosi eterno disprezzo da parte dei tifosi dei Fohlen, i cui epiteti più carini furono quelli di “Giuda” e “traditore” (oltretutto il giocatore aveva pensato bene di congedarsi dal Gladbach sbagliando un rigore nella finale di Coppa di Germania poi vinta proprio dal Bayern). Uscendo da logiche tifose, quel trasferimento fu il simbolo del definitivo mutamento dei rapporti di forza. Nell’estate del 2007, al termine di una disgraziata stagione che ha visto il Borussia cadere nuovamente in Seconda Divisione, l’ottimo terzino sinistro Marcell Janssen, 21 anni, ha lasciato il club per prendere la via di Monaco di Baviera. Nessuno lo ha chiamato Giuda. Da tradire ormai non è rimasto più niente…

Alec Cordolcini