Borussia-Inter: la notte dei lunghi coltelli

Ottobre 1971: L’Inter incontra in Coppa Campioni il Borussia nella notte che sarà ricordata per la lattina di Coca-Cola che salvò a tavolino la sconfitta per 7-1 subita in campo. I ricordi di Alfeo Biagi di quella indimenticabile nottata si dipanano come in un thriller.

COCA COLA

Da Moenchengladbach, quella volta tornai col soprabito macchiato di Coca Cola. La lattina più famosa del calcio europeo, infatti volò verso la nuca di Bobo Boninsegna passando esattamente sulla mia testa, e su quelle di Oddone Nordio, del «Carlino», ambedue inviati al seguito dell’Inter in Coppa Campioni. Gli spruzzi di un liquido scuro (dapprima si pensò fosse birra nera) mi sembra di vederli ancora luccicare nella luce dei fari. E ricordo, come fosse ieri, l’impatto, durissimo, con la testa di Boninsegna. Che crollò a terra, tramortito. E vidi, altrettanto distintamente, Sandro Mazzola chinarsi, raccogliere qualcosa, consegnarlo all’arbitro, il disorientato olandese Porpman. Mi voltai di scatto: un giovane, biondo e atticciato, cercava di sgattaiolare dal suo posto di tribuna, ma fu subito afferrato da un paio di poliziotti che lo trascinarono via senza complimenti. Avevo un impermeabile chiaro: le macchie di Coca Cola lasciarono un tenue alone anche dopo le fatiche del «Lavasecco», al ritorno in Italia.

CLAMORE

L’episodio, clamoroso, fece epoca. La partita fra il Borussia e l’Inter valeva per gli ottavi di finale della grande Coppa. I nerazzurri avevano vinto lo scudetto alla guida di Gianni Invernizzi, subentrato a Heriberto Herrera alla sesta giornata del torneo, dopo un derby malamente perduto per 3-0 con gli eterni rivali del Milan. E Invernizzi, richiamati in squadra Bedin e Jair, ai quali il paraguaiano aveva decretato un incomprensibile ostracismo, infilò una serie stupefacente di vittorie consecutive, regalando a Ivanhoe Fraizzoli il primo scudetto della sua entusiastica, tormentata presidenza. Dunque, l’Inter in Coppa. Elimina al primo turno i greci dell’AEK di Atene con una certa facilità, viene sorteggiata con il Borussia di Moenchengladbach per il secondo. E, pur con tutto il rispetto che si deve al calcio tedesco, nessuno se ne preoccupa troppo. Il Borussia, era poco conosciuto in Italia. La Germania avrebbe vinto il suo secondo mondiale tre anni più tardi; i nomi di Berti Vogts; di Gunther Netzer; di Wimmer, del belga Le Fèvre dicevano poco, eccezion fatta per alcuni «specialisti» del calcio germanico.

Così, la trasferta a Moenchengladbach fu affrontata con allegria. La comitiva si stabilì a Colonia, in un grande albergo a poche centinaia di metri dalla famosa Cattedrale, il gioiello dell’arte gotica, a Moenchengladbach facevamo una scappata, con i giocatori, il giorno di vigilia. Una quarantina di chilometri in direzione della frontiera con l’Olanda, ed eccoci in una cittadina di circa 60 mila abitanti, con un Campetto dall’aria provinciale, tribune in legno a ridosso del terreno di gioco, scarsa capienza, roba da sagra di paese (infatti il Borussia, gli incontri di cassetta, li giocava, e li gioca a Colonia oppure a Dusseldorf). I nerazzurri tornarono in albergo ancora più euforici: saranno campioni di Germania, dicevano, ma hanno tutta l’aria di essere una Pro Vercelli o un Novara dei tempi eroici. A noi, non possono incutere timore.

INIZIO TERRIBILE

Invece… Si gioca alle 20,30 del 20 ottobre 1971. Serata fredda, ma non rigida, piove: campo stipato, molti i tifosi italiani al seguito dell’Inter più i soliti, entusiasti, emigranti per ragioni di lavoro. Al via, i tedeschi si scatenano. Impongono al gioco un ritmo pazzesco, i nerazzurri sono subito travolti. Al 7′, il Borussia è già in gol con Heynckes, centravanti di enormi possibilità, che Giubertoni, lo stopper nerazzurro, non riesce a controllare. Vigorosa reazione dell’Inter, gol di Boninsegna (un arcigno guerriero, che nelle aspre battaglie di Coppa ci sguazzava come una foca nel mare gelato) al 18′, replica bruciante di Le Fèvre al 19′. La partita è sempre più veloce, sempre più combattuta, sempre più dura per i nerazzurri che, tuttavia, lottano come leoni. Poco prima della mezz’ora, il fattaccio. Vola la famosa lattina, Boninsegna stramazza al suolo, lo portano via a braccia, fra i clamori del pubblico inferocito contro, i soliti italiani maestri nel «fare la scena».

L’arbitro, che penso non si fosse mai trovato in simili frangenti, non sa che pesci pigliare. I nerazzurri lo attorniano, chiedono la sospensione di gioco, a stento trattenuti da Invernizzi, volato sui campo per cercare di calmare gli animi. Lo stadio è una bolgia, pochi sì accorgono del fermo del teppista che ha lanciato la lattina (ripeto: lì per lì si pensò ad una lattina di birra scura, sapemmo soltanto più tardi, in albergo, che si trattava invece di Coca Cola), finalmente il gioco riprende. Ma l’Inter, sicura di avere già partita vinta per 3-0 secondo i regolamenti italiani vista la riscontrata impossibilità da parte di Boninsegna di riprendere il gioco, manda in campo Ghio e… lascia via libera al Borussia. Che colpisce ancora ben cinque volte, subito con Le Fèvre, poi con Netzer alla chiusura del primo tempo, ancora con Heynckes e Netzer alla ripresa, per toccare quota 7 a 1 con un rigore fasullo, decretato comicamente dall’arbitro all’ultimo minuto e realizzato da Sieloff. A Corso saltano i nervi e prende a calci l’arbitro. Si tentò, goffamente, di incolpare Ghio (che non accettò il sacrificio…). Corso, squalificato, non giocò più contro il Borussia.

I capitani Mazzola e Netzer prima del famigerato “match della lattina”

FEBBRILI CONSULTAZIONI

Si torna a Colonia dopo un assedio, senza conseguenze, allo spogliatoio dell’Inter. Boninsegna non si fa vedere, ma si apprende dal medico sociale, quel gran galantuomo del dottor Angelo Quarenghi, che il giocatore è in stato di choc; che presenta una vasta ecchimosi; che è stato visitato anche dal medico del Borussia, dopo di che è stato fatto un esposto alla Polizia locale. Insomma: sembra pacifico che l’Inter abbia vinto a tavolino quando il DS nerazzurro, Franco Manni, scende dalla sua camera agitatissimo. E dice, quasi gridando, a Prisco, vice-presidente dell’Inter e luminare del Foro milanese: «Avvocato, guardi qui: nel Regolamento dell’UEFA non è previsto un caso come questo… Ho sfogliato dieci volte il volumetto, nella versione in francese; niente!».

Costernazione e stupore. Possibile che l’UEFA non abbia previsto le sanzioni a carico di una Società colpevole, per il principio della responsabilità oggettiva, dell’atto teppistico di uno dei suoi sostenitori? Incredibile, ma vero: non c’è traccia di niente. Le ore trascorrono in consultazioni febbrili, Prisco sviscera tutti i cavilli di ogni capoverso del Regolamento (poche, scarne paginette): niente da fare. L’Inter, che dopo l’uscita dal campo di Boninsegna aveva giocherellato, tranquilla, convinta di aver già in tasca il 3-0 a tavolino, quindi in pratica il passaggio ai quarti di finale, rischiava di essere sbattuta fuori con un 7-1 che avrebbe fatto clamore per anni. Nessuno toccò il letto, quella notte a Colonia nell’albergo dei nerazzurri. E il viaggio di ritorno in Italia fu tutt’altro che, allegro.

IL CAPOLAVORO DI PRISCO

Ovviamente, le polemiche incendiarono gli ambienti calcistici italiani e tedeschi, ma le fiamme lambirono anche i Paesi neutrali. L’Inter avanzò reclamo, dopo la riserva scritta consegnata all’arbitro la sera della gara, chiese la vittoria a tavolino. I tedeschi tentarono di dimostrare che il «lanciatore» era un italiano al seguito dell’Inter, ma la Polizia fu costretta (è la parola esatta) a rendere noto che si trattava di un olandese, da tempo però naturalizzato tedesco, ovviamente tifoso del Borussia. Forte di questa dichiarazione ufficiale, l’Inter pretese che il caso fosse discusso dalla Commissione Disciplinare dell’UEFA che, dopo molti tentennamenti, si riunì a Ginevra.

E a Ginevra andò Peppino Prisco, ferratissimo in ogni branca dello scibile legale, quello calcistico incluso. E Prisco dovette combattere una autentica battaglia con i delegati tedeschi. Verso la mezzanotte di una giornata estenuante, il suo trionfo: la partita veniva annullata, si sarebbe rigiocata, in campo neutro (sia pure in Germania, ma distante più di cento chilometri da Moenchengladbach) dopo l’incontro di ritorno, fissato per il 3 novembre a Milano. Prisco può ben dire, a distanza di anni, che l’Inter, agli ottavi di finale di quella indimenticabile Coppa dei Campioni, almeno all’ottanta per cento fu lui a qualificarla!

DOPPIO TRIONFO

Il resto lo fecero loro, i nerazzurri. A San Siro si giocò il 3 novembre, in un clima teso e drammatico. Il Borussia non aveva voluto scendere a Milano, si era acquartierato in periferia, aveva preteso, ed ottenuto, una nutrita scorta di Polizia temendo chissà quali rappresaglie da parte dei tifosi italiani. Timori ridicoli, come dimostrarono i fatti. Le… rappresaglie vennero da parte dei nerazzurri che stravinsero per 4-2 un incontro indimenticabile.Segnò per primo Bellugi, con una irresistibile proiezione offensiva. Raddoppiò Boninsegna; il solito Le Fèvre accorciò le distanze, ma alla ripresa del gioco andò subito a segno Jair. Gran bordata di Wittkamp e rete finale di Ghio, subentrato a Jair a pochi minuti dal termine. Quattro a due, durissima sconfitta per i campioni di Germania, nel frattempo divenuti celeberrimi anche in Italia. E Netzer, il gigante biondo che in Nazionale contendeva a Overath il ruolo di regista; e Bonhof, il centrocampista dal tiro micidiale; e il mastino Vogts; e la punta di diamante Heynckes; e l’ala belga Le Fèvre; e il regista Wimmer alla vigilia erano temuti come altrettanti spauracchi. Invece…

Ma si doveva giocare ancora la partita… di andata, quella annullata dall’UEFA. Forte di due reti di vantaggio, l’Inter scese in campo molto sicura di sé il primo dicembre, nel maestoso Stadio Olimpico di Berlino Ovest, in una serata rigida e nebbiosa. Fu il trionfo di Ivano Bordon, il portierino appena ventenne, che prese il posto del titolare Lido Vieri. A proposito di Bordon: la sera della vigilia, nell’albergo dell’Inter, si sparse il terrore. Invernizzi, verso le 20,30, piombò nella sala da pranzo sconvolto dicendo: «Ho perso Bordon!». Febbrili ricerche, disperazione, Bordon non si trovava. Poi a qualcuno venne in mente di dare un’occhiata nella camera da letto di Bordon: e lo trovò beatamente addormentato… Era un ragazzo, era una riserva, sapeva già che avrebbe dovuto giocare contro i draghi del Borussia: e se la dormiva, sereno come un bambino fra le braccia della mamma…

Non dormì però la sera dopo, quando il Borussia si scatenò contro la sua rete. Ma Bordon parò tutto, compreso un calcio di rigore di Sielof, decretato, a sorpresa dall’arbitro inglese Taylor, severo fino alla esagerazione! Finì zero a zero, artefice primo Bordon, davanti al quale Bellugi, Facchetti, Giubertoni e Burgnich (che giocava libero) eressero un’autentica diga. E gli articolati contropiede di Mazzola e Boninsegna fecero tremare più volte il portiere Kleff.

di Alfeo Biagi