Gianni Brera: Rous, l’uomo che rese l’Inghilterra al calcio

E’ morto novantunenne a Londra Sir Stanley Rous. Era sofferente di diabete alimentare. Ogni tanto si faceva ricoverare in clinica per tornar a vivere come sempre da sano e morire, semmai, da malato. Deve avergli dato il colpo di grazia l’ultimo mundial in altura. Da ultimo l’uomo era un poco intronato, come è giusto che sia uno che mangia e beve anche da vecchio secondo volume (e il suo era notevolissimo), però non dava affatto l’impressione di essere al capolinea. La sua era una tempra che Thackeray avrebbe definito superba.

Di stirpe chiaramente teutone – come tutti gli inglesi di autentica stazza imperiale – io non riuscivo a guardarlo senza vedergli in testa l’elmetto d’ un guerriero di Cromwell. Aveva per giunta il naso lievemente a selletta, i baffi duri e folti, il mento forte di chi sa benissimo sempre quel che vuole. Aveva guidato il calcio inglese quando ancora sembrava scontata e perfino giustificata la sua albagia. Il resto del mondo era sempre “isolato” dalle fortunate isole britanniche. Per avere i “bianchi leoni” all’inaugurazione dello stadio romano nel quale si sarebbe svolta la finale mondiale 1934, bisognò implorare umilmente e pagare santamente. Il pareggio salomonico era un preciso accordo del quale nessuno ebbe il coraggio di scrivere, gratificando invece di marchiani errori i nostri pochi fuori-classe, oriundi e no. A combinare tutto erano stati i segretari federali Ottorino Barassi e Stanley Rous. Gli inglesi ci guardavano sempre dall’alto, increspando il labbro superiore, neanche l’avessero spalmato di sterco luciferino, ma Barassi ebbe a vantarsi con me più volte di aver propiziato le solenni sbornie di Stanley Rous, gran bevitore al cospetto del buon Dio. E’ anche innegabile che fu il nostro ingegnere a mercanteggiare una più decisa partecipazione degli inglesi alla Fifa.

Stanley Rous indusse i connazionali a onorare i campionati del mondo e fu praticamente il creatore dell’ Uefa, sezione europea della federazione mondiale. Finita la guerra, Rous e non altri mise fine all’isolamento inglese. Quando la Federcalcio volle degnamente festeggiare il cinquantennale della propria nascita, fu subito la diva Inghilterra ad accettare Torino come sede dell’incontro con la nazionale italiana. Vittorio Pozzo seguiva con occhi smarriti la più facile partita della terra. Invano Eliani chiedeva lumi su come marcare l’ala destra Matthews, che restava arretrato e faceva correre Mortensen: dalla nostra panchina giungevano sospiri. Il finto interno Mortensen si avventava sull’estrema quando l’appoggio di Matthews aveva già saltato Eliani. Fu un mortificante 4-0. Gli stonatissimi azzurri tennero palla per almeno 60′ su 90′. Le loro retrovie facevano ingannevole miraggio come certe apparizioni di oasi nel deserto.

Avvenne, dopo quella folgorante apparizione torinese, che Stanley Rous accompagnò i bianchi leoni al mondiale 1950, cullandosi nella confortevole speranza di dare scacco matto a tutti quanti. Invece l’esordio di Belo Horizonte fu disastroso. I bianchi leoni si ammucchiarono a ridosso della porta statunitense, trepidamente difesa da quasi tutta la squadra. Gli spazi erano impossibili e gli inglesi non capirono di dover allargare il gioco e concludere da lontano. Partì un brutto momento il contropiede yankee e fu l’incredibile 1-0. Gli Stati Uniti avevano compicciato una squadra – come si dice – un po’ alla fiora. In porta un immigrato italiano, in difesa britannici non inglesi, slavi e altri naturalizzati da troppo poco tempo perchè fossero minimamente rispettate le norme della Fifa.

Fu lo stesso Ottorino Barassi ad avvertire Stanley Rous degli scandalosi inghippi americani: avesse sporto reclamo, l’Inghilterra avrebbe avuto subito partita vinta per palese irregolarità dei cartellinamenti Usa. E qui ebbe Stanley Rous una sortita che ancor oggi me lo fa ricordare come uno sportivo di assoluta probità. All’avvertimento di Barassi alzò le spalle, corrugò la fronte, si passò la manona sul naso (rosso) e sui baffi, poi con una smorfia ringhiò: “Grazie, amico Ottorino: ma quei gaglioffi hanno giocato così barbinamente che non meritano di rientrare nel torneo”. E lasciò che i bianchi leoni tornassero scornati alle loro mediocri paghe settimanali. Il capolavoro di Stanley Rous, finalmente nominato baronetto della Corona, deve considerarsi comunque il mondiale 1966. Egli si era dapprima accordato (oh, con molta circospezione) perchè avesse a progredire l’Italia, ben vista in Inghilterra assai più della Germania. L’Italia tradì la sua fiducia praticando un pessimo calcio.

Fu allora giocoforza per gli inglesi allearsi con i tedeschi. Un arbitro inglese aiutò la Germania ad affossare l’Uruguay; un arbitro tedesco aiutò l’ Inghilterra a metter sotto l’Argentina, dopo averne teatralmente espulso il capitano. Costui era certo Rattin e l’arbitro era l’amico Rudi Kreitlein, che arguì soltanto di venir insultato e procedette all’espulsione. I giornali inglesi parlarono di Latin lunacy (anche gli uruguagi avevano avuto un paio di espulsi): nessuno ebbe il coraggio di ammettere che Argentina e Uruguay stavano bellamente guastando la festa. Vi fu poi da scegliere l’ arbitro per la finale e qui posso dire che sir Stanley Rous acquistò il postino svizzero Dienst senza cacciare un penny. Provate a designare un postino di qualsiasi parte del mondo a dirigere una finale mondiale a Wembley: altro che darvi per buono un gol non segnato; altro che espellere questo o quello; altro che punire i falli degli ospiti solo in prossimità dell’area, incattivendo regolarmente, però a centrocampo, sugli autori di falli fra gli ospitanti! Il postino svizzero Dienst ha venduto l’anima al diavolo ed al suo pacato rappresentante in terra, sir Stanley Rous. L’Inghilterra ha vinto il mondiale scatenando la reazione – più o meno palese – di tutto il pedatorume fuori dal Regno Unito.

Un brasiliano, Havelange, e un italiano astutissimo, Franchi, presero in mano il pallino. Sir Stanley Rous parve stremato, in effetti, dal trionfo riportato nel 1966. Avuta quella soddisfazione, fonte di tanta invidia, egli non potrà riprendersi più. Seguiva sempre il calcio come lo seguono tutti quelli che per il calcio hanno delirato fin da ragazzi; e onorava il più diffuso prodotto nazionale – il whisky – con un trasporto che ormai non aveva ritegni. Il viso largo e cordiale incominciò a farsi cianotico. Ogni piccola vena, una pinta di quel buono: e di tanto in tanto le analisi, l’allarme concitato dei medici. Sir Stanley Rous obbediva all’imperativo categorico di curarsi bene per tornare il più presto a bere meglio. E’ morto onorato da tutti, avendo superato da un anno i prodigiosi novanta. A ucciderlo, se mi credete, è stato il Messico, cioè, a pensarci bene, la sua inesausta passione di sportivo. Requiescat in pace.

Gianni Brera
Repubblica – 20 luglio 1986

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