BRIEGEL Hans-Peter: razza teutonica

Ha rappresentato negli anni ’80 l’incarnazione del prototipo del calciatore tedesco. Potenza, esplosività, resistenza.

Nato a Kaiserslautern l’11 ottobre del 1955, al calcio, Hans-Peter arriva quasi per caso. A diciassette anni vede allontanarsi le speranze di diventare un grande nell’atletica leggera, cui si era dedicato anima e corpo. Figlio di agricoltori benestanti, abituato a correre e saltare nei campi della fattoria di famiglia a Rondenbach, dieci chilometri da Kaiserslautern, sin da ragazzino, istintivamente, getta ogni sua energia nello sfidare i compagni in sfibranti corse e in estenuanti competizioni. Senza una particolare tecnica, tutto natura ed impulso, si appassiona soprattutto ai salti: in lungo e triplo. E con buoni risultati, tanto che prima a livello regionale nel Palatinato, il Land di Kaiserslautern, poi nell’ambito nazionale, ottiene discreti risultati.

«Il salto in lungo era la mia specialità: realizzavo discrete misure, il mio record è stato sette metri e quarantotto. Non me la cavavo male neppure nel triplo: 15 metri e 30. Ma mi piaceva anche correre; 10 e otto sui cento metri. Per cui mi cimentavo un po’ in tutte le specialità. Tanto che riuscii a conquistare ben otto titoli tedeschi juniores: tre nel salto in lungo, altrettanti nel triplo e due nel pentathlon».

Verso i sedici anni prova a fare il decathlon, visto che tutti gli dicono che sarebbe potuto riuscire benissimo in quella disciplina. Ma non sfonda come avrebbe voluto. Anche se in futuro, già calciatore affermato, gli sarebbe rimasta sempre l’etichetta di “ex decatleta”. «Invece ho fatto due sole gare di decathlon: la seconda mi valse il posto d’onore ai campionati tedeschi juniores in quella specialità. Ma ero troppo debole nel giavellotto e nel salto con l’asta. Per cui decisi di smettere con l’atletica».

HansPeter studia da perito meccanico. E con discreto profitto. Come tutti i ragazzi di Rodenbach, paesino di duemila anime, segue anche il calcio. Al sabato va al «Betzenberg», lo stadio di Kaiserslautern, ad ammirare i «diavoli rossi» che giocano in Bundesliga. A diciassette anni effettua un provino nel Rodenbach, la squadra dilettantistica del paese. Impressiona subito per la spaventosa potenza del suo tiro e per velocità. La tecnica è davvero rudimentale, ma a quel livello nessuno ci bada più di tanto. Briegel segna gol su gol: indifferentemente da centravanti o come ala sinistra. «Decisi che il calcio era meglio dell’atletica: meno sacrifici, meno allenamenti. Così potevo continuare a studiare».

Lo scoprono quelli del Kaiserslautern e finisce presto sotto gli occhi di Erich Ribbeck, l’allenatore della prima squadra, che in seguito sarebbe diventato il vice di Jupp Derwall in nazionale. E’ lui a caldeggiare l’acquisto presso i dirigenti della società. Tra l’altro il responsabile del settore giovanile è un singolare personaggio: Udo Sopp, coriaceo pastore evangelico, supertifoso. Ma anche molto attento al lato morale dei giocatori. E Briegel è proprio quel che si dice un bravo ragazzo: pulito, per bene, serio, entusiasta. Sopp (sarà anche presidente del Kaiserslautern) “benedice” l’acquisto del giovanottone.

Hans-Peter fa quasi due stagioni di gavetta in attesa di approdare stabilmente alla prima squadra. Ma già un anno dopo il suo ingaggio, Ribbeck prega Jupp Derwall, allora responsabile della nazionale dilettanti (Briegel non aveva ancora il contratto da professionista) di venire a dare un’occhiata a quello sgraziato giovanottone che sul campo è impossibile da fermare e che tira stangate di potenza mai vista. «Per favore, Jupp, non ti mettere a ridere quando lo vedi arrivare sul pallone… sai, è un po’ grezzo...» mette le mani avanti il tecnico. Ma Derwall non ride e convoca Briegel per l’incontro del 7 aprile 1976 contro la Danimarca.

Briegel comincia a pensare di aver preso la strada giusta. Ma le poche volte che scende in campo, è immediatamente costretto a dubitarne per la pessima accoglienza che, regolarmente, gli riservano i tifosi di Kaiserslautern. Che proprio non lo possono proprio vedere. Per il suo aspetto e per la rozzezza tecnica lo chiamano «Gorilla». Lo fischiano impietosamente, a volte lo insultano. «Mi venivano le lacrime agli occhi — ricorda — e più d’una volta fui sul punto di mandare tutti a quel paese e tornare in campagna».

Ma alla fine della stagione 75-76 HansPeter è ormai titolare fisso contro tutto e tutti. I tifosi, che cominciano ad apprezzarlo per quello che è, alla fine lo eleggono loro idolo, dimenticando tutto quello di brutto gli avevano urlato. Decisiva la doppietta da lui realizzata in Coppa Uefa, nel secondo turno della stagione 1976-77, contro il Feyenoord di Amsterdam. Il Kaiserslautern pareggia quell’incontro per 2 a 2, viene successivamente eliminato in malo modo, ma ormai Peter è inattaccabile e la gente stravede per lui.

All’inizio del campionato 1978-79 avviene la grande metamorfosi tattica: da attaccante a difensore. Il Kaiserslautern è reduce da una stagione disastrosa: la sua difesa ha incassato oltre sessanta reti. Come succede in questi casi, a rimetterci è l’allenatore. Il nuovo tecnico, Karl Heinz Feldkamp, fama di sergente di ferro, decide che per le sue caratteristiche Hans-Peter Briegel dovrebbe fare lo stopper. Ma uno stopper speciale, con libertà di sganciarsi e segnare. «Mi piacque, quel nuovo ruolo: anche perché se il Kaiserslautern, con me stopper, prese venti gol in meno rispetto alla stagione precedente, sempre grazie a me continuò a segnare abbastanza».

Il 17 ottobre 1979 Briegel veste per la prima volta la maglia della nazionale maggiore. A Colonia, contro il Galles, entra in sostituzione di Karl Heinz Rummenigge. La Germania vince 5 a 1. Di lì a pochi mesi, nell’estate del 1980, la consacrazione internazionale ai Campionati Europei, in Italia. In un ruolo ancora inusitato, quello di centrocampista, alle spalle di Schuster ed Hansi Muller. La sua potenza, la sua velocità, impressionano tutti e nell’autunno viene eletto, in Germania. calciatore dell’anno.

Due stagioni dopo, ancora un impegno con risvolti italiani: impegnato in Coppa UEFA, contribuisce nei sedicesimi all’eliminazione del Napoli segnando un gol nella partita di ritorno, vinta per 2 a 0, dopo che la squadra tedesca si era già imposta 2 a 1 al San Paolo.

Finalmente nell’estate del 1984 gli viene offerta l’opportunità di giocare in un campionato più competitivo di quello tedesco: è il Verona di Bagnoli a volerlo e il buon Peter si presenta con entusiasmo in riva all’Adige, accompagnato dal danese Elkjaer. L’accoglienza da parte della stampa non è certo benevola: l’acquisto viene definito quantomeno incauto e Briegel non pare poter offrire molto di più di una sgraziata prestanza fisica.

Ma il difensore della nazionale tedesca, raggiunta la maturità calcistica, stupisce tutti. Schierato come mediano, sa annullare la mezzapunta avversaria (memorabile la sua marcatura su Maradona nella gara d’esordio al Bentegodi), avviare la manovra con lunghi lanci e ribaltare il fronte del gioco con poderose progressioni spesso concluse da terrificanti conclusioni in gol.

Meraviglioso cocktail di tecnica e forza fisica, Briegel si rivela una delle pedine fondamentali del Verona scudettato mettendo a segno ben 9 reti. L’anno successivo Briegel è protagonista di un’altra buona stagione con la maglia dell’Hellas. Nell’estate dell’86 passa un pò a sorpresa alla Sampdoria di Mantovani dove conquista la Coppa Italia. La sua carriera è ormai sul viale del tramonto e nell’88 lascia l’Italia per chiudere la carriera da giocatore-allenatore al Glarus, in Svizzera.

In Nazionale Briegel riesce a collezionare ben 72 presenze e 4 reti. Nei due Mondiali disputati (1982 e 1986) viene però ricordato come protagonista in negativo. A Madrid nella mitica sfida contro l’Italia è lui a franare su Bruno Conti regalando il penalty che poi Cabrini fallirà. All’Azteca quattro anni più tardi non riesce a fermare Burruchaga che, splendidamente lanciato da Maradona, segna il punto del 3-2 definitivo. E’ l’ultima partita di Hans in Nazionale.