BRUNNENMEIER Rudi: il Principe di Monaco

Nella prima metà degli Anni 60 la capitale bavarese impazziva per le reti di questo giovane e spettacolare centravanti, amante della bella vita e dell’alcool. Che con scelte sbagliate si è poi buttato via.

Era l’estate del 1960 e due club dell’hinterland di Monaco di Baviera si stavano contendendo un diciannovenne di nome Rudolf Brunnenmeier, che, nella stagione appena terminata, aveva fatto sfaceli fra i dilettanti con la squadra del paese in cui era nato l’undici febbraio del 1941: l’SC Olching. Delle 107 reti messe a segno nell’intero campionato ben 87 portavano la firma del giovanotto che tutti chiamavano Rudi. Numeri da capogiro, anche se è giusto sottolineare come quel bottino stratosferico fosse stato raccolto nella A-Klasse, un torneo dove bastava avere un po’ di talento per sbaragliare la concorrenza.

Le imprese del bomber di Olching incuriosirono anche la dirigenza del Monaco 1860, il club più amato nei quartieri popolari di una Monaco di
Baviera che stava diventando una metropoli. Allora non c’era ancora la Bundesliga e i “Löwen” contendevano al Bayern il primato cittadino nella Oberliga Sud. Dai dilettanti al vertice del calcio tedesco il salto non era facile, ma ci pensò la dea bendata a fare in modo che il talento di Rudi non andasse sprecato ammuffendo in panchina. È stato lo stesso Brunnenmeier a ricordare nella sua biografia i suoi primi giorni con la maglia che gli avrebbe permesso di diventare un campione:

«In precampionato disputammo un torneo sul lago di Costanza al quale non prese parte, per mia fortuna, Ecki Feigenspan. A causa della sua assenza, il tecnico mi schierò al centro dell’attacco. Giocai bene e il mister decise di farmi partire titolare in campionato».

Cambiarono gli avversari: di fronte non aveva dei dilettanti, ma i migliori difensori del calcio tedesco. Eppure il ventenne Brunnenmeier continuò ad andare in gol con impressionante regolarità e, alla fine, si contarono ben 24 centri.

«Il salto dalla A-Klasse alla Oberliga Sud non è stato affatto problematico. Ero veloce e forte di testa, qualità che mi hanno permesso di impormi anche fra i professionisti»

si legge ancora nella biografia del futuro capitano del Monaco 1860. Nella stagione successiva riuscì a battere il portiere dell’avversario di turno “solo” 19 volte, ma si migliorò un anno più tardi, riportandosi a quota 24 e contribuendo alla conquista del primato nella Oberliga Sud, che dava il diritto di accedere alla fase finale per l’assegnazione del titolo di campione di Germania. Nel sorteggio del gruppo al Monaco 1860 toccò fra gli altri il Borussia Dortmund che raggiunse la finalissima, nella quale sconfisse il Colonia 3-1.

La conquista del primato nella Oberliga Sud non si rivelò inutile, in quanto la Federazione aveva deciso che dalla stagione 1963-64 si sarebbe disputato un torneo unico, la Bundesliga, e il Monaco 1860 vi fu iscritto a differenza del Bayern, che nel campionato regionale si era classificato terzo. Furono i “blu” a rappresentare la capitale bavarese nel calcio d’élite e Brunnenmeier ne divenne il testimonial.

Furono gli anni d’oro dei “Leoni” che nel 1964 conquistarono la Coppa di Germania, nel 1965 arrivarono in finale di Coppa delle Coppe (sconfitti 2-0 a Wembley dal West Ham di Bobby Moore, dopo aver superato in semifinale il Torino) e nel 1966 conquistarono il primo e unico “Schale” della loro storia. Oltre al portiere Petar Radenkovic, il beniamino dei tifosi che riempivano il glorioso Grünwalderstadion era il bomber Brunnenmeier, capace di andare a segno 19 volte nella neonata Bundesliga.

Aveva soli 23 anni ma di lui si accorse il neo Ct Helmut Schön, che contro la Svezia, al suo esordio sulla panchina della Nazionale, decise di schierare al centro dell’attacco proprio Rudi Brunnenmeier. Anche grazie al gol del centravanti del Monaco 1860 la Germania si impose 2-1 cogliendo un successo fondamentale nel torneo di qualificazione per il Mondiale del 1966. In Inghilterra Brunnenmeier non fece parte del gruppo, dopo che nell’amichevole del 13 marzo 1965 giocata ad Amburgo contro l’Italia di Mazzola e Rivera aveva indossato la fascia di capitano. A chi gli chiese lumi sull’esclusione del bomber di Olching, Schön rispose di essere davvero dispiaciuto, ma, un paio di anni più tardi, fu lo stesso Brunnenmeier a riferire la sua versione dei fatti:

«Nei mesi precedenti il Mondiale andai in crisi, ma la conquista del titolo ai danni del Borussia mi riapri le porte della Nazionale. Schön mi disse che mi avrebbe convocato e, mentre la squadra era in ritiro a Grünwald, mi sarei dovuto aggregare, in un secondo momento. Perché non accadde? L’allenatore del Monaco 1860, Max Merkel, mi disse che sarei stato uno stupido ad accettare la chiamata dopo che il Ct mi aveva lasciato a casa nei momenti difficili. Lo ascoltai».

Una scelta sbagliata, di cui si pentì amaramente, e non è stata la sola decisione insensata della sua vita. Nella primavera del 1965, in previsione della riapertura delle frontiere, il Torino lo trattò a lungo offrendogli un ingaggio da favola, ma Brunnenmeier non volle lasciare Monaco. L’alcool e le donne hanno segnato la sua vita al pari dei gol.

«Forse non sarebbe successo se mio padre non ci avesse lasciato così presto» confessò in un’intervista nella quale gli veniva chiesto il perché di una vita fatta di mille eccessi. Chi era giovane in quegli anni, in una Monaco che si scopriva ricca e che voleva dimenticare per sempre i dolori della guerra, conosceva bene Rudi Brunnenmeier. Se c’era da festeggiare non poteva mai mancare il re delle notti bavaresi, che Max Merkel andava ogni tanto a “raccattare” nei bar o nelle discoteche.

Brunnenmeier era l’idolo delle donne del tempo, ma con il gentil sesso non ebbe fortuna: la prima fidanzata aprì un salone da parrucchiera, poi se ne andò poco dopo lasciandogli solo i debiti, mentre la prima moglie Monika sparì dopo aver venduto la casa di Olching portando con sé 150 mila marchi.

La vita di Brunnenmeier è ricca di episodi che confermano come il genio ami spesso farsi accompagnare dalla sregolatezza. Nel 1965 Rudi aveva conquistato il titolo di capocannoniere (con 24 reti) e aveva festeggiato tutta la notte, ma, appena rientrato a casa, aveva ricevuto un telegramma della Federazione che lo convocava al posto dell’infortunato Kramer per un’amichevole della Nazionale B. La partita si disputava la sera stessa a Colonia e Brunnenmeier non se la sentiva di scendere in campo in quelle condizioni, ma si fece convincere e andò all’aeroporto. Nell’hotel della Nazionale dormì tutto il pomeriggio per riprendersi dalla sbronza e, la sera, mise a segno due gol.

Un anno più tardi aprì un locale notturno denominato “Pik Dame”: fu l’inizio della fine. Le amicizie di cui si circondò furono quelle sbagliate e i soldi non bastarono più. Al Monaco 1860 la dirigenza non era disposta ad aumentargli l’ingaggio e, nell’estate del 1968, se ne voleva andare a Berlino. Il club che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico gli vietò di giocare per un’altra squadra tedesca e così Brunnenmeier lasciò la Bundesliga dopo aver messo a segno 66 gol in 119 incontri.

Andò in Svizzera, prima al Neuchàtel Xamax e poi allo Zurigo. Nel 1973 fece le valigie alla volta dell’Austria (SW Bregenz) e nel 1977 si trasferì in Lichtenstein, al FC Balzers, dove chiuse la carriera nel 1980. Appesi gli scarpini al chiodo ritornò nella sua Monaco e prese in gestione un locale nella zona della stazione, il cui nome non lascia dubbi sul tipo di clientela che lo frequentava: “Dolly-Bar”.

Negli ultimi anni della sua vita sognava di aprire un bar più tranquillo, senza dimenticare la squadra con la quale aveva vinto tanto nei suoi anni più belli. Un mese prima di morire assistette a una pesante sconfitta dei
suoi “Löwen” contro l’Hertha Berlino e a fine partita disse:

«Ai miei tempi non sarebbe mai successo. Si può perdere, ma solo dopo aver combattuto fino all’ultimo respiro, io, per quella maglia, mi sarei strappato il cuore».

Peccato che la stessa determinazione non gli facesse compagnia al di fuori del terreno di gioco per sconfiggere l’avversario che, più di tutti, gli dava filo da torcere: l’alcool. Un nemico crudele, che stava per annientare anche Gerd Müller, il bomber con il quale avrebbe potuto dar vita, nelle stracittadine, a un indimenticabile duello a colpi di gol. “Der Bomber der Nation” è stato più fortunato di Brunnenmeier: ha vinto tutto e alla fine ha trovato in Uli Hoeness l’uomo capace di strapparlo dagli artigli dell’alcool.

A Brunnenmeier è mancato tutto questo: aveva i mezzi per conquistare il mondo e non lo ha fatto, poteva diventare il re di Monaco e ha finito i suoi giorni in una casa popolare del comune di Olching. Se n’è andato il 22 aprile del 2003 a soli 62 anni, dopo una vita sregolata e tante scelte sbagliate. Una cosa gli resterà per sempre: l’amore dei tifosi che lo hanno accompagnato nell’ultimo viaggio, ricordandone i gol e perdonandogli le bravate.

  • Testo di Gian Luca Spessot