BWALYA Kalusha: la leggenda di King Kalu

Personaggio unico, si impose all’attenzione generale con una tripletta all’Italia ai Giochi di Seul nel 1988. Poi i successi con il Psv e in Messico. Bandiera del calcio dello Zambia, in nazionale è stato allo stesso tempo Ct e attaccante

di Alec Cordolcini

Non fu una seconda Corea perché in palio non c’era la coppa del mondo; non fu una seconda Corea perché in campo non ci andò la nazionale maggiore bensì quella olimpica, all’epoca una vera e propria nazionale B; e infine non fu una seconda Corea perché gli azzurri arrivarono comunque sino alle semifinali del torneo, mancando poi la medaglia di bronzo per mano della Germania Ovest. Ma quello Zambia-Italia 4-0 ai Giochi Olimpici di Seul nel 1988 rimane una delle pagine più nere del calcio italiano, con gente del calibro di Tacconi, Virdis, Tassotti, Ferrara, De Agostini e Carnevale, umiliata da un manipolo di sconosciuti nemmeno troppo ben messi sotto il profilo tecnico.

La loro nemesi quel giorno assunse le spoglie di un prestante attaccante color ebano che già da un paio d’anni sbarcava il lunario in Europa tra l’indifferenza generale; giocava in Belgio nella seconda squadra di Bruges, il Cercle Bruges, e si chiamava Kalusha Bwalya, un nome che, alla pari del finto dentista Pak-Doo-Ik, gli italiani non scorderanno mai. Quel giorno Bwalya realizzò una tripletta. Il suo exploit alle Olimpiadi dell’88, chiuso con un bottino di 6 reti realizzate in 4 partite (lo Zambia uscì ai quarti contro la Germania Ovest), gli cambiò radicalmente la vita portandogli fama, successo (il premio quale giocatore africano dell’anno) e le attenzioni che meritava.

Nella vita di King Kalu, soprannome coniato in patria al termine della grande impresa olimpica, il calcio è stato il pane quotidiano fin dalla giovanissima età. Il padre lavorava nell’ambiente sportivo in qualità di amministratore e viaggiava parecchio, non solo nello Zambia ma in tutta la zona meridionale del continente africano; i figli lo seguivano a ruota, guardandosi partite da mattina a sera. Per Kalusha l’obiettivo era uno solo: diventare calciatore professionista.

Il primo passo nella realizzazione del suo sogno lo compie a 16 anni, quando fa il suo esordio con la maglia del Mufulira Blackpool, la squadra della città che gli ha dato i natali il 16 agosto 1963. L’anno seguente è già passato ai Mufulira Wanderers, la squadra più popolare dell’intero Zambia, quindi, nel 1983, arriva il debutto con il “Chipolopolo”, nomignolo con il quale gli zambiani chiamano la nazionale. Lo Zambia batte l’Uganda 3-0 e nel tabellino marcatori compare anche il nome di Bwalya.

Nell’estate dell’85 il Cercle Bruges, dopo un provino superato brillantemente, lo acquista per 25mila dollari; Kalusha Bwalya diventa uno dei primi giocatori africani ad approdare nel calcio europeo.

«Quando arrivai in Belgio» ricorda con un sorriso il giocatore «la maggior parte delle persone non sapeva nemmeno dove fosse lo Zambia, e le richieste di telefonare a casa ai miei genitori erano spesso accompagnate dalla domanda “ma in Africa ci sono i telefoni?”. In poco tempo, comunque, riuscii ad ambientarmi».

Rimane a Bruges quattro stagioni (95 presenze e 30 reti), venendo votato per due anni consecutivi dai tifosi quale miglior giocatore della squadra. Nel frattempo l’exploit olimpico porta diversi osservatori sulle tribune dello Jan Breydelstadion. Il più lesto è il Psv Eindhoven, che nel giugno del 1989 procede all’acquisto del primo giocatore africano della propria storia.

Con la maglia del PSV Eindhoven

Dalla Eerste Klasse belga alla Coppa Campioni, da Zoran Bojovic a Romario, da stella a prima riserva di un tridente composto dal Baixinho al centro, con Wim Kieft (sostituito da John Bosman unicamente per la stagione 90-91) e Juul Ellerman attaccanti esterni: Bwalya si adatta, prima punta o ala sinistra, l’importante è farsi trovare pronto.

«La concorrenza al Psv era molto alta, e non poteva essere altrimenti vista la qualità dei giocatori: Romario, il migliore di tutti, ma anche Gerald Vanenburg, Hans Van Breuklen, Eric Gerets, Soren Lerby. Con in squadra gente come loro saltavi un allenamento e ti ritrovavi in panchina, e quindi a volte rispondere alle convocazioni in nazionale diventava difficile».

Una “limitazione” che gli salverà la vita. Il 28 aprile del 1993 il jet militare con a bordo l’intera nazionale dello Zambia diretta in Senegal per un incontro di qualificazione a Usa 94, si schianta nei pressi di Libreville, Gabon. Nessun superstite, ma Bwalya non è sull’aereo; gli impegni con il Psv lo avevano costretto infatti a ritardare la partenza per Dakar. Per lo Zambia è una tragedia nazionale che stringe ancora di più il legame tra la gente e King Kalu il quale, da autentico leader, riunisce i cocci di un movimento calcistico privato dei suoi migliori talenti e conduce la propria nazionale fino a un’inaspettata finale in Coppa d’Africa, persa 2-1 contro la Nigeria. È il 10 aprile 1994 e dal disastro aereo non è passato nemmeno un anno.

Due mesi dopo Bwalya conclude la sua avventura europea, lasciando Eindhoven con un bottino di 101 presenze e 25 reti (12 delle quali nel ’91-92, la sua miglior stagione, dove sostituisce egregiamente un Romario fermato per diversi mesi da un brutto infortunio), oltre che tre titoli nazionali olandesi e due Coppe d’Olanda. Prosegue e chiude la carriera in Messico; quattro stagioni all’América, quindi Nexaca, breve puntata negli Emirati Arabi Uniti per difendere i colori dell’Al Whada, poi Leon, Irapuato, Vera Cruz e Correcaminos, che lascia nel 2000.

Il resto è storia mista a leggenda; nel 2003 Bwalya diventa commissario tecnico dello Zambia (che lascerà nel 2006 dopo l’eliminazione al primo turno della Coppa d’Africa), non disdegnando però qualche fugace apparizione anche come giocatore.

Nel settembre 2004, all’età di 41 anni, King Kalu segna contro la Liberia la sua rete numero 33 in nazionale, almeno secondo la Fifa, perché le statistiche della Federcalcio dello Zambia parlano invece di un bottino di 50 gol in 100 partite, molte delle quali però disputate probabilmente con selezioni giovanili. Ma in fin dei conti sono solo numeri. Kalusha Bwalya è stato molto di più.

Alee Cordolcini