Versi, inni e frasi d’amore

La canzone italiana e il gioco del calcio si sono incontrati in diverse direzioni, pur se sporadicamente. Celentano, De Gregori, Venditti, Baglioni e Mina: tutti i mostri sacri della canzone italiana hanno in repertorio brani che parlano di football.


I rapporti tra la canzone italiana e il gioco del calcio non sono certo stati frequenti, anche se dalla citazione alla metafora e alla cronaca spesso allegra hanno abbracciato un po’ tutte le categorie. Calcio e canzone, insomma, si sono incontrati in diverse direzioni, pur se sporadicamente. Negli ultimi anni, comunque, questo legame si è intensificato, grazie soprattutto ai contributi di Ligabue e degli Stadio. Da questa analisi vanno comunque esclusi gli inni-canzoni (o canzoni-inni?) delle varie squadre, più o meno tutti trionfal-pompieristici e musicalmente irrilevanti.

IL CALCIO DI VENDITTI

Questo giudizio negativo ha un’unica grande eccezione: «Grazie Roma» di Antonello Venditti. Ed è proprio qui che partiamo. La canzone, scritta per celebrare il secondo scudetto giallorosso nel 1983, nasce dall’autentica emozione di un cantautore di talento – che oltre a essere un musicista è un passionale tifoso – e solo in seguito diventa l’inno della squadra. Va notato che l’artista romano è un sincero appassionato di pallone tanto che riesce a inserire la metafora calcistica anche in una canzone squisitamente d’amore come «Ci vorrebbe un amico», in cui paragona il rapporto di coppia a quello del football:
«vivere con te è stata una partita / il gioco è stato duro comunque sia finita»

Venditti, dopo la celeberrima «Grazie Roma», datata 1983, l’anno successivo nella sua Notte prima degli esami cita l’avventura, peraltro conclusa amaramente, della squadra capitolina nella Coppa dei Campioni nel passaggio
«notte di sogni, di coppe e di campioni».
L’Antonello romano e romanista è evidentemente sensibilissimo alle tematiche “pallonare” e torna sovente toccare il tema: con «La coscienza di Zeman», allenatore che evidentemente lo aveva colpito al cuore
«La folla sta impazzendo ormai / all’attacco vai
in difesa mai / tu non ti fermerai
Perché non cambi mai / il sogno é ancora intatto e tu lo sai»

E prima ancora con «Correndo Correndo» contenuta nell’album In questo mondo di ladri:
«ed il bosco e lo stadio si illumina al giorno, un applauso ci sarà»
in cui è facile intravedere la figura di quel simbolo della squadra romanista che è stato Francesco “Kawasaki” Rocca, anche se poi il brano è stato ridedicato a Sebino Nela. «Giulio Cesare» ripercorre poi l’adolescenza scolastica di Venditti, ed anche qui non manca l’accenno calcistico
«era l’anno dei mondiali quelli del ’66, la regina d’Inghilterra era Pelè»
e l’accostamento dei ragazzi di allora con la gioventù di vent’anni dopo avviene nuovamente attraverso una metafora pallonara
«erano l’anno dei mondiali quelli del’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi»

UN SALTO INDIETRO

Nel dopoguerra le canzoni ispirate al calcio avevano visto scendere in campo quattro attaccanti del calibro del Quartetto Cetra con «Che centrattacco!» Il mediocre centrattacco Spartaco arriva a giocare in nazionale “contro il Brasile e il Portogal”. Segna diciotto gol. Poi si sveglia dal bel sogno. Gli resta nelle orecchie il coretto che, secondo i Cetra, lo incitava dagli spalti:
«Che centrattacco! Tu sei un cerbiatto. Sei meglio di Levratto, ogni tiro va nel sacco»
La citazione di Levratto, il mitico spaccareti degli anni ’20, è piuttosto ricercata per il periodo. Viene citato anche Bruno Nicolè, centravanti prodigio che esordì nella Juventus a soli 17 anni. Nello stesso periodo il Quartetto tornò a occuparsi di calcio con Vavà Didì Pelè, una samba musicalmente sofisticata ma oggi pressocchè impresentabile per via del testo sui “tre giocolier di cioccolata del verde regno del caffè”. E sempre “felici come fosse carneval”, naturalmente.

In quegli anni il calcio è senza dubbio un grande sport popolare, ma non ha ancora raggiunto quella dignità culturale che arriverà più tardi, più o meno nella seconda metà degli anni 70, grazie anche alla considerazione per questa disciplina di insigni letterati internazionali (Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano e poi Manuel Vasquez Montalban). Sicché non sembra un caso se, agli inizi degli anni 60, Rita Pavone si lamenta col suo fidanzato:
« ..perché perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone / perché perché qualche volta non ci porti pure me»

Il brano è sociologicamente interessante perché dimostra come all’epoca il tifo calcistico fosse principalmente appannaggio maschile e come forse la donna vedesse nella squadra del cuore una rivale. Oggi la mentalità è fortunatamente cambiata, le tifose sono in numero sempre crescente e appartengono a ogni categoria sociale. Ma alla fine degli anni 60 il tifo diventa addirittura argomento di una storia d’amore in «Eravamo in centomila» di Adriano Celentano.

La canzone è in puro celentanese: una sbruffonata per il pubblico degli amici al bar, quando le battute sul derby davanti alla Gazzetta aperta sul tavolo sono finite. Fuori, passa una signorina. Celentano la ferma sostenendo di averla vista a San Siro. Meno probabile, però poetico come abbordaggio, che abbia scorto la bella mora e se ne sia all’instante innamorato guardandola da una curva all’altra dello stadio: «Io dell’Inter. Lei del Milan». L’accenno al tram sul quale la signorina sarebbe salita con uno, subito dopo la partita («dimmi lui chi è»), ha un tocco di magia. Il lungo tram arancione che ferma di fronte a San Siro (Beppe Viola ci ambientò una celebre intervista televisiva a Gianni Rivera) è «Milano anni ’60» almeno quanto la Via Gluck.

BAGLIONI E BENNATO

Dagli anni 80 in poi l’interesse dei cantautori italiani per il calcio si fa sempre più esplicito. Pensiamo a Claudio Baglioni che nel 1982 si appropria musicalmente del coro delle curve e ne fa una canzone. Il suo lp doppio s’intitola addirittura «Alé-oo». La musica è quella che già hanno cantato i tifosi, le parole le stesse con il reiterato incitamento. Lo stesso Baglioni si ricorda di una famosa trasmissione sportiva radiofonica – «Tutto il calcio, minuto per minuto» – e l’adopera come chiusura di una sua romantica e tragica storia d’amore:
«….e a due a due vanno via dietro un’aria tagliente a vetrini di un pomeriggio nudo, la radio dietro alle persiane e “Tutto il calcio minuto per minuto”….»

É sempre il cantautore romano a comporre poi un brano dedicato ai fasti del totocalcio che, non a caso si intitola «2-1-X». Per quanto riguarda le colonne sonore di manifestazioni sportive, «Da me a te» di Claudio Baglioni accompagnava l’avventura della nazionale italiana ai mondiali di calcio del 1998, quando “un azzurro lungo un sogno” non portò oltre i quarti di finale l’Italia. Profetico l’altro pezzo contenuto nell’album, «Prima del calcio di rigore», con il senno di poi dedicato a Luigi Di Biagio, il “colpevole” del rigore sbagliato costato l’eliminazione alla squadra azzurra. Il brano si conclude con una nostralgica rievocazione del calcio giocato da bambini:
«fammi tornare sull’asfalto amaro / sotto un sole che non da ombre
cartelle e cappotti a far da palo / e polvere e vento e sale
fino a quando fa scuro e non ci si vede più / e l’aria brucia in gola e fa tossire
ho ancora voglia di sentire una voce che chiama / e di capire che è ora di rientrare»

Chi non ricorda, poi, le “notti magiche” di Bennato e Nannini in occasione dei mondiali ’90? Sbancarono l’hit parade, arrivando al primo posto in classifica ed il brano fu in assoluto il più venduto dell’anno.
«…Notti magiche inseguendo un gol sotto un cielo di un’estate italiana…».
Bennato tra l’altro non era neanche alla prima contaminazione calciofila: indimenticata una sua sigla della Domenica Sportiva 1984, dal titolo esemplificativo: «È goal!»
«Geometrie verticali / e pronostici da rispettare
sbarramenti frontali / ma che voglia di farli saltare…
E’ goal! E’ goal!… E’ goal!… Imprevedibile!»

IL CAPOLAVORO DI DE GREGORI

Decisamente un capitolo a parte merita la struggente «La leva calcistica della classe ’68» di Francesco De Gregori. Nel testo, il cantautore romano, riesce a estrarre tutta la poesia che può esserci dietro ad una carriera calcistica. De Gregori racconta di un bambino che sostiene un provino presso una squadra di calcio con tutte le paure e le angoscie che si ossono provare al cospetto di un esame. La canzone indaga sulle sensazioni del giovane calciatore, nel rapporto con l’allenatore, giudice del suo destino, e sui valori che fanno di uomo un vero giocatore e viceversa.

Si passa, quindi, dalle paure di non farcela e diventare uno dei tanti “talenti” che hanno attaccate le scarpe ed il sogno al chiodo per rassegnarsi ad un destino da bar dietro un falso sorriso, alla gioia provata nel sentire le proprie gambe che scacciano le angoscie e tornano a fare ciò che sanno permettendo al ragazzo di dimostrare il suo talento figlio di tante partite nei campetti imporovvisati tra le strade della periferia cittadina.

Nel ritornello, De Gregori, spinge sui veri valori che un uomo come un calciatore deve dimostrare nella vita come sul campo per essere tale:
«Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia…»

Tornando al tema della canzone, il provino, risulterà positivo e il ragazzo conquisterà l’agognata “maglia numero 7”. Un lieto fine, quindi, con il quale l’autore intende esprimere l’idea che solo attravero i sacrifici, l’umiltà ed i sani principi si può raggiungere un sogno che può essere inteso anche come un pulito e rispettoso cammino di vita. La vita come una carriera calcistica, un provino come esame di maturità ed un rigore come specchio dei propri valori sono le metafore che possono essere lette tra le righe di questo magnifico testo di Francesco De Gregori.

ANNI 2000: LIGABUE E STADIO

Ma il calcio non è fatto solo da goleador e fantasisti, ci sono anche gli «operai» del pallone. Ed è a loro che un cantautore sensibile e intelligente come Luciano Ligabue dedica la bellissima «Una vita da mediano», dove è citato Lele Oriali. Anche in questo caso si tratta di un’intelligente metafora:
«una vita da mediano
da uno che si brucia presto
perché quando hai dato troppo
devi andare e fare posto
una vita da mediano
lavorando come Oriali
anni di fatica e botte e
vinci casomai i mondiali»

Anche se l’ex dirigente dell’Inter non è propriamente il protagonista assoluto, come spiegherà Ligabue: «C’è stato un equivoco, nel senso che non ho mai detto che “Una vita da mediano” è dedicata a Lele Oriali, come invece tutta la stampa ha scritto. Si tratta di una semplice citazione, se vogliamo azzeccata, comunque resa possibile dal fatto che Oriali fa rima con Mondiali (…) Quella del mediano è una metafora. Il mediano è colui che si spolmona dalla mattina alla sera, che vive con umiltà e dignità il suo ruolo di gregario»

Anche uno tra i nostri più apprezzati gruppi che non a caso si chiama Stadio, nome tra l’altro della storica testata sportiva bolognese, scende in campo calcistico con «Doma il mare, il mare doma»: il brano, contenuto nel ed «Donne & colori» rievoca le prodezze di Maradona a Napoli, giocando su un nome che si è legato per sempre a quei tifosi e a quelle città. La grande forza comunicativa del testo è frutto di un’intesa tra la band e un poeta come Roberto Roversi:

«Finisce dentro la nebbia
nel sole rosso al declino
più niente resta da perdere
spento il vulcano vicino
e nello stadio deserto
è solo il giocatore argentino.
Ma di questo racconto
protagonista è il destino»

Scritta sempre dagli Stadio nel 2011 la bellissima “Gaetano e Giacinto”. Nata per ricordare (Gaetano) Scirea e (Giacinto) Facchetti, la canzone rievoca due storie italiane di provincia salite alla ribalta del calcio mondiale; è il tributo a due grandi campioni “silenziosi”, a due uomini, a due icone per le tifoserie di Juventus e Inter – ma anche per tutti gli appassionati di calcio.
«Gaetano e Giacinto sono due tipi che parlano piano
anche adesso, adesso che sono lontano
ma in questo frastuono è rimasta un’idea
un eco nel vento, Facchetti e Scirea»

“Il legame con due personaggi come Scirea e Facchetti è bene impresso nella mia memoria”, dice Gaetano Curreri, leader degli Stadio. “Per l’amore che ho per il calcio, mi è sembrato bello raccontare le loro storie che “nascono dal basso”, dalla vita vera di periferia. Le storie di quei calciatori “veri”, che riescono a fare di un sogno la loro realtà. Sono campioni che aiutano i bambini a sognare e che oggi vanno riscoperti: Facchetti e Scirea sono punti di riferimento ideali”.

OSSESSIONE 70

Non poteva mancare un ricordo dei favolosi mondial del 1970, segnati indelebilmente dall’impresa epica degli azzurri in Italia-Germania 4-3. Un’impresa che qualcuno ha voluto eternare: Fausto Cigliano. Che, probabilmente, appena finito di vedere la partita in tv, prese la chitarra e si mise ad armeggiare, ispirato. Uscì fuori una bossanova molto carina e il testo che gli venne in mente era la formazione dell’Italia compresi le riserve.

Un’idea davvero particolare. Come il fatto di alternare nel testo Rivera e Mazzola in panchina, con Zoff (la famosa staffetta). Un’idea che piacque molto anche a Mina e a Giorgio Calabrese. Difatti era una delle canzoni più trasmesse la domenica nella trasmissione “Pomeriggio con Mina”. Tanto che, la cantante, la incise nel 1972 nell’album “Altro”.

«Albertosi Albertosi
Burgnich e Facchetti
con Bertini, Rosato e Cera..c’era un gol
Domenghini e Mazzola
Bonsinsegna e Rivera in panchina
in panchina…..con Zoff

Riva Riva De Sisti…
non t’innervosire
Valcareggi ti sta a guardare, segna un gol
Domenghini e Rivera
Boninsegna e Mazzola in panchina
in panchina…con Zoff

Juliano, Poletti Furino e Gori
non sono rimasti sempre fuori
Niccolai Niccolai
ha giocato un’ora
Vieri, Prati Ferrante e Puia invece mai
Domenghini e Mazzola
Bonsinsegna e Rivera in panchina
in panchina…..con Zoff»