A passo di Danza: l’Armonia del Calcio

“…Quanta emozione deve dare ad ogni gesto tecnico la magia leggera di un movimento che serva a raggiungere scopi ben precisi: la grazia del movimento e lo spettacolo…”


Giocavano a palla da ragazzini e non immaginavano di danzare. Non sapevano che esistesse la Scala, l’Opera, il Covent Garden: a loro bastava giocare in strada, correre, lottare cercando di non farsi carpire la palla. Poi, gradatamente, realtà e sogno si sovrappongono: resta l’estro e resta il ritmo, il samba, per esempio.

I fuoriclasse del calcio respirano arte fin dalla nascita: proporzioni, colori, armonia, ritmo. Per loro è arduo valutare normale ciò che è normale. Tanti giocatori sono tecnicamente straordinari, usano il corpo alla perfezione e l’arte è ispirazione non solo nel gesto e nei loro c’è la splendida chiarezza, il fraseggio, l’elasticità e la lucentezza della tecnica ed una sobrietà stilistica che non sacrifica i valori espressivi, l’efficacia.

Insomma, il football è arte, improvvisazione, agilità, fatto di grazia, anima e cuore proprio come la danza. Ciò che affascina è paragonare l’infinito talento, l’immaginazione creativa, l’efficienza di una grande della danza come Nureyev ad giocatori quali Schiaffino, Pedernera, Sivori, Rivera, Zamora, Gino Capello, Meazza, Cesarini, Matthews, Paolo Rossi, Corso, Angelillo, Altafini, Bulgarelli, Roberto Baggio, Pelè, Di Stefano, Skoglund, Maradona, Garrincha.

Sono riferimenti veri, non fantasiosi, giocatori che sono dotati di una eleganza rassicurante, che vanno alla ricerca della bellezza inventiva. Divertimento e sacrificio, questa è la consegna per chi si dedica al calcio ed alla danza, due attività che si integrano tra loro. Ci si basa molto sull’improvvisazione, come vuole il gioco del calcio e, un po’ meno, la danza, ma sia nel ballerino che nel calciatore esiste un’ansia di perfezione ed un’autenticità che costituiscono la componente concettuale per valorizzarne i gesti.

Diego Maradona come Fred Astaire: ballando sotto la pioggia e sotto il sole nell’area avversaria trovava il modo di ubriacare gli avversari prima di ubriacare gli avversari prima di infilare il pallone in rete di sinistro. Pelè dribblava fintando, aggirava gli avversari come se fossero stati dei principianti.

Scrisse Italo Moscati:Compassato ed armonioso, limpido come una lama, Schiaffino. Abituati a vivere come bruti, tifosi, allenatori e dirigenti riscoprivano il tocco di classe. Schiaffino era il massimo dell’eleganza, della padronanza dello stile. Non c’era discussione su di lui che non terminasse in un elogio condiviso da tutti sulla misura e sull’efficacia di ogni suo movimento. Perché, ecco il punto, la sapienza dell’artista del tip-tap a ritmo perfetto, quand’anche colpiva di testa, non spostava un solo capello. Schiaffino aveva, per giunta, un qualcosa di ieratico e di spirituale. La canizza lo stringeva dappresso abbaiando e lui la teneva a bada, vi scivolava dentro, la beffava con un passaggio, un tiro, un amabile tocco di tacco. Me lo mangiavo durante gli allenamenti: pigliava la palla con la stessa trepidazione e voluttà di un bambino che riceve la pappa dal cucchiaio della mamma. Restituiva la palla con la grazia di un maggiordomo che porta un messaggio sul vassoio, come in un film di Hollywood“.

Di Omar Sivori Gianni Brera scrisse:Omar non è un gigante ma sembra più piccolo che nella realtà. Anche questa, a pensarci bene, è una herminella. E’ un normotipo. Un normotipo vicino al brevilineo. Le sue gambette ancorché tozze, cioè brevi, si muovono secondo una straordinaria coordinazione. Egli, inoltre, è capace di scatti relativi, cioè brevi, che sembrano irridere gli avversari tanto sono improvvisi. Quando corre disteso lo fa con le falcatine di quei cavallucci mongoli dalla criniera lunga e le gambe pelose. Non è nemmeno veloce, suppongo; avere scatto relativo non significa correre veloci, significa avere il guizzo per arrivare primi sulla palla. Impadronitosi di quella, Sivori non è più propriamente un calciatore, bensì un ballerino classico o, se preferite, un “espada“.
Ancora Brera, sempre su Sivori: “Danza i suoi dribbling con atteggiamenti che ricordano le figure di certi pattinatori classici. Ripetuti con mosse sempre nuove, i pases de dribbling assurgono a numero di danza“. Insomma, per Brera Sivori era “uno dei demoniaci prestipedatori del dribbling danzato.”

Gabriel Hanot sul Miroir des Sports così scrisse di Ricardo Zamora, il famoso portiere spagnolo: “Credo che questo grande artista del pallone, accentuando la lentezza, renda più acuto e sorprendente il contrasto tra la superba statua marmorea del portiere immobile e la velocità di scatto dell’atleta in movimento. Quindici anni di esperienza avevano permesso a Zamora di costituirsi un suo atteggiamento in un Paese amico dei giochi di fisionomia e dei gesti che soccorrono le parole ed il pensiero“.

Adolfo Pedernera era considerato il più grande calciatore fra tutti i grandissimi sudamericani. Egli era capace di giocare in tutti i ruoli. Era centravanti del Milionarios de Bogotà e della Nazionale argentina. Nel 1950 ebbe come compagno Di Stefano: furono i maggiori interpreti di quello che, per inarrivabile maestria di palleggi e passaggi a ritmo diabolicamente coreo-grafico fu detto “il balletto azzurro”.

Gino Capello, un giocatore che militò nel Padova, nel Bologna e nel Milan, era dotato di grande classe, fintava e dribblava, nello spazio di un fazzoletto, due o tre avversari, spostando la palla di pochi centimetri. Danzava intorno alla palla. Gianni Brera definì “ballerino classico” il “golden boy” Gianni Rivera: “Si muove così armoniosamente da parere molle. Tocca la palla con l’eleganza innata del campione“.

Renato Cesarini, estroso giocatore argentino che militò nella Juventus, cui si deve la famosa “zona Cesarini” per aver tolto, negli ultimi secondi di gioco della partita Italia-Ungheria (finita poi 3 a 2 per gli azzurri) la palla ad un compagno che indugiava e aver realizzato il gol della vittoria con un tiro a parabola dai venti metri, era soprannominato “Il Re del tabarin”.Giuseppe Meazza è stato il più grande calciatore italiano di tutti i tempi. Aveva tutto per esserlo: scatto, velocità, tocco perfetto, morbido ed insieme forte, freddezza nelle situazioni difficili, astuzia, modestia, dribbling in corsa e da fermo. Una danza!

Stanley Matthews, il “Baronetto”, di cui non si finiva mai di parlare per la sua abilità nel dribbling. Affrontava l’avversario e si fermava ad aggiustarsi i capelli e, quando l’avversario entrava in tackle, era già ripartito a passo di danza, a dimostrazione che sia nel calciatore che nel ballerino esiste un’ansia di perfezione ed autenticità che sono componenti concettuali atte a valorizzare il gesto.

Ma qual è la differenza tra il calciatore ed il ballerino classico? Nei loro gesti c’è la splendida chiarezza del fraseggio, l’elasticità e la lucentezza della tecnica, una sobrietà stilistica che non sacrifica i valori espressivi e l’efficacia dei movimenti. Il ballerino classico è concentrato tutto il tempo sul proprio corpo ed i suoi movimenti, il calciatore non deve concentrarsi che sul risultato che, con i passi di danza, otterrà, senza badare a fronzoli.

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