“La Quinta del Buitre”, la generazione d’oro del Real Madrid

Cinque giovani talenti cresciuti nella scuola calcio della “Casa Blanca”, che dalla metà degli anni 80 riuscirono a riportare splendore e successo in un ambiente afflitto da una lunga crisi. Miguel Pardeza, Manolo Sanchís, Rafael Martín Vázquez, Michel ed Emilio Butragueño: la “Quinta del Buitre“,

Tutti sanno che il Real Madrid è il club più titolato del mondo. Ma anche le Merengues hanno attraversato fasi difficili, segnate da stagioni meno gloriose e da amare sconfitte. Fu proprio in uno di questi momenti grigi, nella prima metà degli anni ‘80, che dalla ricca Cantera blanca spuntò una delle generazioni più talentuose e vincenti della storia madridista, non padrona del pianeta, ma sicuramente spina nel fianco del calcio spagnolo per anni: la ‘Quinta del Buitre’, la banda di giovani irriverenti guidata dal “Buitre” (l’“Avvoltoio” in castigliano) Emilio Butragueño, uno dei goleador più formidabili mai apparsi sul tappeto verde. E in spagnolo il termine “quinta” significa “classe”, “generazione”, “gruppo di coetanei”.

Nel 1980 il Real Madrid sembra destinato a dominare il calcio spagnolo e europeo. Campione nazionale con Vuja Boskov in panchina e una squadra di talenti come Juanito, Santillana, San José, Camacho, Stielike e Del Bosque, il club madrileno ha tutto per continuare a vincere. Ma le cose non vanno come previsto: nelle tre stagioni successive, il Real si deve accontentare di qualche trofeo minore, mentre in Liga si affermano le formazioni basche di Real Sociedad e Athletic Bilbao. In Europa, i blancos perdono due finali: quella di Coppa dei Campioni 1981 contro il Liverpool, e quella di Coppa delle Coppe 1983 contro gli scozzesi dell’Aberdeen. Per una società abituata ai trionfi, è una magra consolazione.

Emilio Butragueño

Ma c’è una luce in fondo al tunnel: i “ragazzi” del Real B, guidati dall’ex stella Amancio, stanno facendo faville nella Segunda División (saranno l’unica squadra riserve a vincere il campionato cadetto) e attirano l’attenzione per la loro qualità. Tra questi giovani emergono cinque nomi: ManuelManoloSanchís, José Miguel González detto Míchel, Rafael Martín Vázquez, Miguel Pardeza e Emilio Butragueño. Quest’ultimo viene soprannominato “il Buitre” (l’avvoltoio) per il suo fiuto del gol e la sua eleganza nei movimenti.

Il 14 novembre 1983 un giornalista de El País, Julio César Iglesias, scrive un articolo intitolato Amancio y la Quinta del Buitre, in cui esalta le doti dei cinque e propone umilmente un suggerimento: promuoverli in prima squadra per ridare entusiasmo e vigore al Real Madrid.

L’idea piace al leggendario Alfredo Di Stéfano, allora allenatore del Real, che decide di incontrare personalmente il giornalista e promette di valutare il suo consiglio. E infatti il 4 dicembre i diciottenni Martín Vázquez e Sanchís esordiscono in campionato a Murcia: 1-0 per il Real e gol decisivo proprio del secondo. L’ultimo giorno dell’anno è la volta del quasi diciannovenne Pardeza, contro l’Espanyol. Il 5 febbraio 1984 tocca al «Buitre», ed è subito show: entrato ad inizio del secondo tempo, il bomber segna due reti e serve un assist vincente a Gallego, quanto basta per battere in rimonta il Cadice. Míchel ha già fatto il suo debutto qualche tempo prima, l’11 aprile 1982, ma solo perché quel giorno uno sciopero dei calciatori obbliga la discesa in campo delle squadre B. Il giovane Miguel segna comunque una delle due reti con cui le piccole Merengues sconfiggono i pari età del Castellón. E’ nata una generazione luminosa nella storia madridista.

Rafael Martín Vázquez

Butragueño è stato un fenomeno del calcio spagnolo, un goleador implacabile e raffinato. Non si lasciava intimidire dal caos della fase offensiva, ma anzi ne approfittava per scatenare la sua fame di gol in area di rigore. Con le sue finte fulminee e imprevedibili sembrava sfuggire a ogni marcatura. Ma non era solo un bomber egoista: sapeva anche servire assist perfetti ai compagni, anticipando i tempi del “falso nueve”.

Di Stéfano, che di gol ne aveva segnati tanti, lo definiva così: «Questo tipetto qua ha il goal nel sangue». I suoi compagni di avventura non erano da meno, naturalmente. C’era Sanchís, bandiera del Real (708 presenze tra il 1983 e il 2001), l’ultimo esponente del difensore centrale classico, lo stopper alla vecchia maniera che non faceva sconti nel marcare a uomo, incollato al centravanti come una cozza.

C’era Míchel, altro veterano madridista (559 partite nel periodo 1982-96), una delle ali destre più forti di sempre, magari non un dribblomane, ma preciso nei cross e un incubo per le difese avversarie.

C’era Martín Vázquez, uno dei migliori trequartisti degli anni ’80 e ‘90; elegante, aggraziato, chirurgico nella manovra ma forse un po’ troppo cerebrale e poco abituato alla lotta. E infine c’era Pardeza, micropunta veloce e scattante, capace di gesta tecniche ma anche di cadute teatrali. Il punto debole della “Quinta”, per capirci.

Manuel ‘Manolo’ Sanchís

Del resto, in un Real dove in attacco oltre al Buitre spadroneggiavano l’indimenticato Juanito, Jorge Valdano, il sempreverde Santillana e Hugo Sánchez, trovare spazio era difficile. Tanto che Pardeza finì prestato al Real Zaragoza già un anno (1984-85), prima di tornare alla base. Ma cercare di farsi valere in camiseta blanca fu inutile. Nel 1987 tornò al club aragonese, dove diventò una colonna negli anni successivi, vincendo addirittura una Coppa delle Coppe nel 1995 contro l’Arsenal.

La “Quinta” era una squadra leggendaria, che negli anni ’80 riportò il Real Madrid ai vertici del calcio europeo. Dopo un lungo digiuno di diciannove anni, i castigliani riconquistarono la Coppa Uefa nel 1985, schiantando i sorprendenti ungheresi del Videoton: 3-0 in trasferta e sconfitta di misura irrilevante al Bernabéu. Fu l’inizio di un’epoca d’oro per i blancos, che nel 1986 si aggiudicarono anche la Liga e la Uefa, lasciando il Barça a undici punti di distanza e battendo il Colonia con un netto 5-1 in casa e un 0-2 in terra tedesca. Quel titolo nazionale fu il primo di una serie di cinque consecutivi, che segnarono il dominio incontrastato dei madrileni in Spagna.

Nessuno riuscì a impensierirli: né i blaugrana, né la Real Sociedad, né il Valencia. Il Real Madrid vinse anche una Copa del Rey e due Supercopas de España, cambiando allenatori (Luis Molowny, Leo Beenhakker e John Toshack), ma mantenendo lo stesso nucleo di campioni: oltre alla storica “Quinta”, c’erano anche Gordillo, Chendo, il bravo portiere Buyo, Solana, Paco Llorente, Schuster, il vecchio Camacho e un giovanissimo Fernando Hierro.

Re in Spagna, sfortunati in Europa. In Coppa Campioni il Real Madrid si fermò sempre a un passo dalla gloria, ostacolato da Bayern Monaco, PSV Eindhoven e, soprattutto, dal Milan di Arrigo Sacchi. Proprio dai rossoneri subì una sonora umiliazione nell’edizione 1988-89: uno 0-5 che rimase impresso nella storia.

Miguel Pardeza

L’era della “Quinta” si concluse gradualmente. Nel 1990 Martín Vázquez andò al Torino: fu lo straniero più pagato della Serie A, ma non brillò. Nella Coppa Uefa ’92 dovette affrontare in semifinale i suoi ex compagni del Real Madrid. Dopo una breve parentesi al Marsiglia, tornò a Madrid nell’inverno 1992. Gli infortuni lo costrinsero a chiudere la carriera nel Karlsruhe, in Germania, nel 1998.

Sanchís e Míchel fecero da guida alla generazione preGalácticos fino alla metà degli anni ’90. Poi fu la volta di Butragueño, che dopo oltre dieci anni di fedeltà al Real Madrid si trasferì in Messico all’Atlético Celaya, dove ritrovò i suoi amici Míchel e Martín Vázquez. Il ‘Buitre’ si ritirò nel 1998. Lo aspettava una brillante carriera da dirigente, che lo portò a diventare vicepresidente dei blancos nel 2004.

Di lui resteranno memorabili i gol e gli assist geniali ai compagni d’attacco. Così come non si dimenticheranno le imprese degli uomini che riportarono le Merengues al successo e prepararono il terreno per le straordinarie vittorie degli anni successivi. Ma questa è un’altra storia.