SERIE A 1940/41: BOLOGNA

Nel primo campionato di guerra, i rossoblù di Felsner dominano largamente su Ambrosiana, Milano e la rivelazione Fiorentina. Esordisce la futura leggenda Valentino Mazzola, Puricelli goleador. Retrocedono Novara e Bari

Riassunto del Campionato

La vita diventa più dura in tempo di guerra, ma il calcio continua a svolgersi con una certa normalità. Il campionato è spesso poco entusiasmante, anche se all’inizio è animato da alcune sorprese come Fiorentina e Novara, che si trovano in testa alla classifica alla seconda giornata. I viola rimangono soli al primo posto, poi vengono raggiunti dal Bologna alla settima e infine superati. La squadra rossoblù procede con una regolarità inarrestabile, inseguita da due grandi rivali: Ambrosiana e Juventus.

Il 19 gennaio il Bologna si laurea campione d’inverno con due punti di vantaggio sui nerazzurri e quattro sulla coppia JuventusTorino. Il 16 febbraio c’è la svolta, quando l’Ambrosiana perde a Firenze e il Bologna dilaga sul Genova. Il torneo diventa monotono, con il Bologna che lo vince virtualmente a cinque giornate dalla fine, il 30 marzo, infliggendo ai nemici nerazzurri in casa un sonoro 5-0. I nerazzurri si demoralizzano, anche se i “cugini” rossoneri (rinforzati da gennaio dal clamoroso ritorno di Meazza) li vendicano la domenica dopo battendo il Bologna 5-1. Lo scudetto è matematico con un turno d’anticipo per i rossoblù al passo tranquillo. In fondo alla classifica, oltre al già retrocesso Bari, c’è il Novara, che scende in Serie B per il peggior quoziente reti rispetto alla Lazio.

L’ultimo canto del Bologna

Nel primo campionato disputato durante la guerra, il presidente del Bologna Dall’Ara si muove sul mercato con realismo: evita azzardi e si affida ai veterani. L’unica pecca è la cessione di Fedullo, sostituito dal veronese Andreoli, che però non ha la stessa classe dell’asso sudamericano. Dopo il flop di Porta, Dall’Ara tenta ancora la carta uruguaiana, comprando Ugo Tortora, ma si rivelerà così scarso da non debuttare mai in prima squadra.

La vera forza del Bologna è però l’allenatore Hermann Felsner. Abile nella tattica, nell’assemblare gruppi vincenti e nel conoscere l’ambiente, ingaggia Giovanni Ferrari, dato per finito dopo le sole otto presenze nello scudetto dell’Ambrosiana. E lo alterna nei due ruoli di interno con Sansone, quasi trentenne, e lo stesso Andreoli. Un lavoro da mago, perché anche la difesa non è stabile, visto che per quasi metà campionato manca l’infortunato Fiorini, sostituito dal bravo Fagotto, che però costringe un altro anziano, Maini, a riprendersi il posto sulla destra.

Se la linea arretrata è improvvisata, il tridente d’attacco è invece una macchina da gol: Biavati fa una stagione da incorniciare, con giocate spettacolari che servono gli altri due attaccanti: Puricelli, dopo un inizio difficile, si scatena e vince di nuovo la classifica marcatori, mentre il vecchio Reguzzoni stabilisce a 34 anni il suo record personale di reti, segnandone 17.

La potenza dell’attacco compensa la mediocrità del resto della squadra, e permette al Bologna di staccare tutti e di vincere in anticipo (anche se solo virtualmente) il titolo. È una fortuna, perché nelle ultime nove partite si infortuna anche Andreolo, il pilastro della difesa e del gioco. Felsner lo rimpiazza con Boniforti, fratello maggiore del terzino del Milano, ma non è la stessa cosa. Il Bologna conquista solo sei punti nelle ultime sette partite e chiude a 39 punti, il punteggio più basso di sempre. Ma basta per regalargli il tricolore che chiude il ciclo dello “squadrone che tremare il mondo fa”. Per ritrovare l’emozione dello scudetto, Bologna dovrà aspettare 23 anni.

I viola di Galluzzi

Tra gli anni Trenta e Quaranta, il calcio italiano vive una fase di stallo, segnata dalla monotonia tattica del Metodo e da una difficile transizione generazionale, anche a causa della scarsa qualità dei giocatori stranieri. In questo scenario grigio, i primi coraggiosi che adottano il Sistema, la tattica inglese, ottengono risultati sorprendenti. Dopo il Genova, tocca alla Fiorentina, che cambia modulo nel corso della stagione precedente, sostituendo l’austriaco Rudolf Soutschek con l’italiano Giuseppe Galluzzi.

Il marchese Luigi Ridolfi, presidente del club appena uscito da una crisi tecnica che lo aveva portato in Serie B, conferma l’allenatore e rinforza la squadra. Dalla Triestina arrivano il solido terzino Geigerle e l’interno Valcareggi, un lungagnone rosso e magro che diventerà in futuro Ct della nazionale; per l’attacco ci sono anche il centravanti Di Benedetti e l’ala Degano.

Galluzzi mantiene il Sistema e la squadra stupisce tutti partendo forte, arrivando anche a guidare la classifica per qualche settimana. Alcune vittorie clamorose (il 5-0 alla Juve in finale di Coppa Italia, il successo sull’Ambrosiana a Milano e quello sul Bologna in casa) e le prestazioni straordinarie dell’ala Menti II entusiasmano i tifosi, permettendo ai viola di chiudere al terzo posto, a soli cinque punti dal Bologna campione.

Lazio da incubo

Che cosa serve a una squadra che ha ambizioni, che ha una buona intelaiatura dietro il miglior attaccante del mondo e che si è classificata al quarto posto nell’ultima stagione? Semplice: qualche rinforzo per fare il salto di qualità che la porti a contendere lo scudetto. Questo è il pensiero del presidente Remo Zenobi, arrivato da pochi mesi, nell’estate del 1940. Per supportare al meglio la classe e la forza di Silvio Piola (l’attaccante che ha stupito tutti ai Mondiali 1938, anche se in campionato non ha segnato più di 18 gol in totale negli ultimi due tornei) mette a disposizione dell’allenatore Geza Kertesz un gruppo di giovani: il portiere Gradella, i difensori Romagnoli e Brondi e le ali Zironi e Puccinelli. Quest’ultimo è un piccolo talento, che in futuro farà grandi cose.

Per ora, però, la squadra non funziona. Quattro pareggi e due sconfitte nelle prime sei partite fanno capire che invece di lottare per il vertice la squadra dovrà combattere per la salvezza. Kertesz viene esonerato e rimpiazzato da Ferenc Molnar, ma la situazione non cambia e dopo pochi mesi in panchina arriva Dino Canestri. Il presidente aumenta i premi per cercare di motivare la squadra, che vince il derby di marzo guidata da un Piola con la testa fasciata e alla fine si salva, ma solo grazie al quoziente reti.

Inizia la guerra, continua il campionato

Il 10 giugno 1940, Benito Mussolini proclama dal balcone di Palazzo Venezia l’entrata in guerra dell’Italia contro Gran Bretagna e Francia. Un evento simile, venticinque anni prima, il 23 maggio 1915, aveva interrotto il calcio, quando gli arbitri, prima delle partite della penultima giornata, comunicarono alle squadre la decisione della Federazione di sospendere il campionato a causa della mobilitazione generale. Solo dopo la fine della guerra, nel 1918, fu assegnato lo scudetto per quell’anno, vinto dal Genoa (in testa con 7 punti contro i 5 di Torino e Inter).

Questa volta, invece, non succede nulla. Cinque giorni dopo il fatidico annuncio, si disputa la finale di Coppa Italia, conquistata dalla Fiorentina sul Genova. Durante l’estate, qualche voce si leva per chiedere l’arresto dell’attività agonistica. Ma questa è una guerra “diversa”, secondo il Duce, convinto di partecipare alla fase finale di un conflitto breve per condividere il trionfo con il potente alleato tedesco.

Non viene indetta la mobilitazione generale, la guerra non è di confine (su quello piemontese con la Francia non ci sono operazioni militari), ma “parallela”, con azioni contro la Somalia britannica, l’Egitto e poi la Grecia. La polemica sull’opportunità di proseguire è presto soffocata, il campionato di calcio deve proseguire regolarmente in quanto “vera e propria attività sociale”, utile anche alla propaganda sul fronte interno, volta a rassicurare la popolazione sulla “lontananza” del conflitto. Che poi invece, con i bombardamenti aerei, finirà per colpire proprio sulla porta di casa. Il 6 ottobre inizia il primo campionato “di guerra”. Il “caso” si riaprirà tra tre anni, in modo sanguinoso.

Nasce la leggenda di Valentino Mazzola

La leggenda di Valentino Mazzola, forse il più completo campione della storia del calcio italiano, nasce quasi per caso. Dopo aver lavorato come operaio tessile finita la scuola elementare, diventa calciatore dilettante nel Tresoldi di Cassano, ma poi resta senza lavoro e decide di arruolarsi volontario in Marina. Un amico, allenatore del Rivolta, lo fa assumere all’Alfa Romeo, dove gioca nella fortissima squadra aziendale. Dopo qualche mese, però, deve partire per il servizio militare e viene imbarcato sull’incrociatore Compienza, che gli fa conoscere Venezia, la città che cambierà il suo destino.

Finita l’esperienza in Marina, recupera la forma fisica (era arrivato a pesare novanta chili!) e ottiene un provino dal Venezia, dove l’allenatore Rebuffo ha l’intuizione geniale di spostarlo da centravanti a mezzala, ruolo in cui può esprimere al meglio il suo eclettismo, senza rinunciare alla sua vena realizzatrice. In coppia con Ezio Loik, infaticabile uomo di spola appena arrivato dal Milano, Mazzola trascina la squadra lagunare che da neopromossa si piazza ai vertici della classifica e conclude la stagione vincendo a sorpresa la Coppa Italia. È nato un campionissimo. Dal destino tragico.

Puricelli goleador

Hector Puricelli, soprannominato “testina d’oro” per la sua abilità nel segnare di testa, ha sviluppato questa qualità proprio in Italia, dove è diventato famoso. In Sudamerica, il centravanti si era fatto notare come un ottimo goleador, ma solo con i piedi. Una spiegazione plausibile è che in Uruguay si giocava prevalentemente a terra, al contrario di quanto avveniva in Italia e soprattutto nel Bologna, dove c’era la miglior ala italiana, Biavati, che forniva assist perfetti con i suoi cross. Così, dei 19 gol segnati nella sua prima stagione italiana, Puricelli ne realizza 9 di testa, con quelle deviazioni appena accennate ma letali per i portieri avversari.

In patria usava il cognome della madre, Sena, ritenuto di buon auspicio per la pronuncia (“segna”) al suo arrivo in Italia, dove invece deve riprendere il cognome paterno. Puricelli non è stato molto amato a Bologna, nonostante i tanti gol, si dice per la scarsa qualità dei piedi («Fuori area così così, ma dentro l’area erano piedi buoni» riassumerà il suo compagno Sansone).

Nel 1940 segna 22 gol, di cui 12 di testa, regalando un altro scudetto al Bologna, l’ultimo del periodo d’oro. Dopo la guerra viene ceduto al Milan, con cui continua a tormentare i portieri, mentre il “suo” Bologna ne rimpiangerà a lungo le imprese. Passato al Legnano nel 1949, chiude nel club lombardo l’anno dopo, a trentaquattro anni, con un eccezionale bilancio in serie B: 25 reti in 38 partite.


Classifica Finale

SquadraPtiVNPGFGS
BOLOGNA3916776037
AMBROSIANA3514795242
MILANO34121085534
FIORENTINA34146106049
JUVENTUS32128105047
ATALANTA31119104538
TORINO30118115450
NAPOLI30118114148
TRIESTINA29911104339
GENOVA29109114644
ROMA29911104846
VENEZIA2981393944
LIVORNO28910114051
LAZIO27713103842
NOVARA27811113138
BARI1757183184
Campione d’Italia: BOLOGNA
Vincitrice Coppa Italia: VENEZIA
Retrocesse in serie B: NOVARA e BARI

Classifica Marcatori

22 gol Puricelli (Bologna)
18 gol Amadei (Roma), Menti R. (Fiorentina)
17 gol Reguzzoni (Bologna)
16 gol Boffi (Milano), Gabetto (Juventus)
14 gol Ossola (Torino)
13 gol Rosellini (Napoli)
12 gol Cappello (Milano), Cergoli (Triestina), Di Benedetti (Fiorentina)
11 gol Neri (Genova), Panto (Roma), Viani (Livorno)
10 gol Cominelli (Atalanta), Piola (Lazio)