C’era una volta in Canada: il calcio prima di Giovinco e gli altri italiani

Si può tranquillamente parlare di Toronto come della culla del calcio nordamericano. Si, perché i primi rilievi di una partita di soccer – così viene chiamato oltreoceano – si hanno nella città dell’Ontario già nel 1876 – alcuni sostengono addirittura dal 1852 – precisamente in Parliament Street.
Le temperature rigide dell’America del Nord hanno obbligato a trovare dei passatempi che fossero al chiuso o che si potessero praticare sul ghiaccio. Il pallone era, o meglio, è stato, tagliato presto fuori. Motivo semplicissimo: non è mai stato pensato come uno sport professionistico, bensì solo come semplice evento ricreatorio. Eppure di spazi in Canada ce ne sarebbero per allestire centri di allenamento in quantità industriale, utili allo sviluppo dei calciatori.

Nonostante tutto, qualche buon prodotto calcistico è venuto fuori. Basti pensare all’ex attaccante di Everton e Anderlecht Tomasz Radzinski o a Paul Stalteri, terzino di Werder Brema e Tottenham. Senza dimenticarsi del portiere Craig Forrest, per anni al West Ham, fino ad arrivare a Julian de Guzman – fratello del napoletano Jonathan -, centrocampista del Deportivo La Coruña, o Atiba Hutchinson, reso famoso da un paio di partite in Coppa dei Campioni con il Copenaghen e ora ala del Besiktas. Per carità, tutta gente che non avrà conquistato Champions League o per il quale i tifosi dei rispettivi club si possano strappare i capelli vedendoli ma che, comunque, hanno avuto una carriera ad alto livello.


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In un paese nel quale si iniziò a giocare per strada, non deve stupire che molti paisà siano nella Hall of Fame del calcio canadese. Uno di loro è tale Martino “Tino” Lettieri, nato a Bari nel 1957, professione portiere. Si trasferisce, ancora bimbo, in Canada e inizia a giocare, però, negli States. Nella terra dell’acero è considerato il più grande guardiano della porta che abbiano mai avuto. Lo hanno soprannominato “The Bird Man of Minnesota”, perché legò la sua carriera alla franchigia dei Minnesota Kicks prima e Strikers poi ma, sopratutto, per la sua passione per i pappagalli. Tino ne aveva due, Lulu e Ozzie. Li adora entrambi, ma Ozzie un po’ di più. Lo porta, sotto forma di pupazzo, con lui in ogni porta che difende e quando capita un rigore contro, gli parla. Dopo numerosi episodi di violenza al povero – seppur finto volatile – la NASL (la Lega professionistica nordamericana) gli intima di non portare più il suo peluche con sé durante le partite. Difese la porta del Canada alle Olimpiadi del 1980 e ai Mondiali del 1986 in Messico, unica rassegna iridata a cui presero parte i canadesi. Dopo il Messico, decise di dedicarsi solo al football indoor e smise con quello all’aperto. Se adesso volete farvi due discorsi di soccer e vecchi tempi, lo potete trovare a Shorewood, Minnesota. Qui gestisce il “Tino’s Cafè Pizzeria”, bar-ristorante, di recente divenuta una catena sparsa per il Nord America.


Altra storia è quella dei fratelli Robert Italo, detto Bob, e Silvano, detto Sam, Lenarduzzi. Il più anziano è Sam, nato ad Udine ed emigrato a Vancouver molto presto. La sua famiglia era molto appassionata di calcio e si stabilì vicino all’Empire Stadium, lo stadio dei Whitecaps, locale squadra di soccer. Nel 1955 nacque Bob e insieme i due fratelli iniziariono a giocare a calcio sin da piccoli. A 15 anni entrambi ebbero una grande opportunità, quella di andare a giocare in Inghilterra. Li volle entrambi il Reading. Sam giocava difensore centrale, anche bene e con i Royals totalizzò più di sessanta partite in cinque anni. Nel 1974 tornò definitivamente a Vancouver, dove già trascorreva le vacanze tra una stagione e l’altra, entrando a far parte dei Whitecaps. Spese dieci anni nella franchigia e rappresentò il suo Paese per 29 volte, partecipando alle Olimpiadi del 1980 di Mosca. Per tutti, però, lui è “The Legend”, uno dei migliori difensori del Paese e, di sicuro, il miglior giocatore della storia dei Vancouver Whitecaps.

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Adesso Lenarduzzi lavora per il club canadese, come responsabile di programmi giovanili, che vanno da stage sul campo, a visite nelle cliniche e nelle scuole. Il suo ricordo più bello? A suo dire, la maglia dei Cosmos di Pelé, che conserva gelosamente sulla parete del salotto di casa. Bob, invece, rimase fino al 1976 in Inghilterra e giocò circa lo stesso numero di partite del fratello, anche se più giovane di sei anni. Nel 1974 tornò anch’egli a Vancouver, giocando, così, in Canada d’estate e a Reading in inverno. Con i Whitecaps giocò 312 partite – record di presenze – segnando 31 gol. Con la Nazionale collezionò 47 presenze condite da 4 gol. Fu lui il capitano della selezione che affrontò il suo unico Mondiale, in Messico nel 1986 e le Olimpiadi di Los Angeles, nel 1984. Da allenatore, tra il 1988 e il 1989, stabilì il record continentale di imbattibilità nella Lega, con 42 partite consecutive senza sconfitte. Fa parte anche della Hall of Hame degli Stati Uniti ed è Membro dell’Ordine della Columbia Britannica. Altro? No, apposto così.


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Ben altra fine ebbe, invece, un altro giocatore di origine italiana, introdotto nella Hall of Fame. Si tratta di Domenic Mobilio, nato a Vancouver da famiglia italiana. Spese tutta la sua carriera nei Vancouver 86ers, diventando il secondo goleador della storia della NASL (North-American Soccer League), dietro solo a Giorgio Chinaglia. Marcò 167 reti in 280 incontri. Considerando anche gli anni indoor, Mobilio può vantare 625 gol in 661 matches. Roba da capogiro. Il suo compagno di squadra, Carlo Corazzin, disse che il Paese non avrebbe mai conosciuto un attaccante del genere, capace su dieci occasioni di capitalizzarne nove. Attaccate le scarpette al chiodo, si dedicò ai giovani, allenando le giovani promesse della cittadina di Coquitlam. Un attacco di cuore, a soli 35 anni, nel 2004, lo portò via da questo mondo. Da allora, però, nacque il mito.


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Robert Iarusci, invece, rappresenta quello che, nell’immaginario collettivo è “The American Dream”. In questo caso, Canadian. Dopo aver concluso la sua prima stagione nella squadra della sua città, Toronto, con la quale conquistò sia il titolo della NASL sia il premio individuale di Matricola dell’anno, Bob venne venduto ai New York Cosmos. Correva l’anno 1977. Da un giorno all’altro si ritrovò a dividere lo spogliatoio con Pelé, Carlos Alberto – che Iarusci raccontò di aver incontrato in ascensore mentre scendeva a pranzare con l’allenatore dei Cosmos, Eddie Firmani – e, poco più tardi, Giorgio Chinaglia. Di ruolo era difensore centrale. Vicino a lui giocava Carlos Alberto, capitano del Brasile campione del mondo a Messico ’70, e davanti a lui, come mediano/regista/totem Franz Beckenbauer. Mica male direi. Vinse quattro titoli della North-American Soccer League, di cui tre con i Cosmos, difendendo i colori del Canada in 27 partite internazionali. Adesso è commentatore delle partite interne dei Toronto FC e presidente del Toronto Azzurri Soccer Club, che altro non è che la prima squadra del Westwood Young Generation Soccer Club, ossia il club dove Iarusci si è formato da giovane.


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Nella stessa “primavera” giocava anche Carmine Marcantonio, nato nel 1954 a Castel di Sangro. Anche lui poi passò per i Toronto Metros-Croatia come Iarusci, vincendo il titolo del 1976. Non ebbe la fortuna del connazionale, anche se ebbe una degna militanza nei Washington Capitals, una delle formazioni più forti dell’epoca. E come chiusura di carriera, un anno ai New York Cosmos, dove giocò solo sei partite, nel 1984. Non la più brutta situazione e città per dire basta. Di ruolo centrocampista, può vantare due presenze in Nazionale maggiore canadese, tra il 1976 e il 1980. Adesso, più che mai legato alla sua terra natia, commenta le partite della nostra Serie A.


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Finiamo con due attaccanti che hanno scritto la storia del calcio canadese. Il primo – e più famoso dei due – è Paolo Pasquale Peschisolido, più noto come Paul Peschisolido. La sua carriera aleggia tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni 2000, sostanzialmente in Inghilterra. Prima di arrivare nella terra d’Albione, Paul spende un anno nelle giovanili della Juventus. Al termine del campionato, non trovando un accordo con la società bianconera, fa le valigie. Oltremanica diventa un beniamino delle serie minori con le maglie di Birmingham, Stoke, WBA, Fulham, Queen’s Park Rangers, Sheffield United, Norwich e Derby County. In totale sono 118 le marcature realizzate in più di 400 matches nella Football League. In Premier non riuscì ad arrivare ma, dopo Mobilio, è stato il più prolifico attaccante del Paese. In Nazionale vanta 53 presenze e 10 gol tra il 1992 e il 2004.


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La storia di Giancarlo Michele Corazzin, invece, è legata a doppio filo alla Gold Cup del 2000. In quel torneo, infatti, il Canada raggiunse il primo – e unico – grande successo internazionale della sua storia calcistica. Carlo fu il capocannoniere del torneo con quattro gol, tutti decisivi. I più importanti sono quello al Messico nei quarti, quando i Canucks erano sotto di un gol a dieci minuti dalla fine, grazie ad una poderosa zuccata nell’angolino e il rigore della sicurezza in finale, che inchiodò il risultato sul 2-0 definitivo, dando il trionfo al Canada. Con la selezione nazionale vanta 11 gol in 59 presenze, 13 delle quali valide per le qualificazioni mondiali. La sua carriera si sviluppò, quasi come Peschisolido, fuori dal proprio paese, eccezion fatta per l’inizio e la fine della carriera.
Corazzin cominciò a giocare a Winnipeg per poi passare ai Vancouver Whitecaps. Qui rimane una sola stagione, prima di volare a Cambridge – ai tempi in League One – dove, in due stagioni e mezzo segna 43 gol in 117 partite. Altre quattro stagioni tra Plymouth e Northampton e poi due anni all’Oldham Athletic, dove segna anche quattro gol in una partita (contro il Wrexham, nel 5-1 finale), festeggiandoli tutti con la sua celebre capriola, la “Carlo Spin”, come la chiamarono in Inghilterra.
Il gesto non era dissimile da quello effettuato fino a qualche tempo fa di Miroslav Klose. La variante Corazzin prevedeva l’uso delle mani per darsi la spinta in avanti.

Avendo promesso alla moglie che, non appena suo figlio avesse iniziato la scuola, sarebbe tornato a casa, rientrò in Canada nel 2003, ai Whitecaps, smettendo dopo due anni. Pensare che a sedici anni si trasferì per un periodo in Italia assieme alla famiglia. Venne notato da un osservatore del Giorgione, squadra di Castelfranco Veneto, all’epoca in C2, mentre palleggiava sul sagrato di una chiesa. Gli venne proposto un provino. Lui accettò ed entrò nelle squadre giovanili. Giocò un paio d’anni tra Giorgione e Pievigina Calcio. Facendo due conti, nel 1987 arrivò in Veneto, quindi l’anno successivo potrebbe aver incrociato in campo un certo Francesco Guidolin, sulla panchina del Giorgione dall’86 al ’89.


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Il calcio, oramai, non è solo maschio. E, infatti, anche una calciatrice di origine italiana – Silvana Burtini – è stata introdotta nell’Arca della Gloria canadese. L’atleta rappresentò il paese della foglia d’acero per tre volte, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000. Ha messo a segno 38 gol in 78 partite internazionali, giocando dal 1987 al 2001 per la nazionale.
Ha giocato in Canada fino al 1999 quando si trasferì nella USL W-League, serie professionistica minore nordamericana (fino al decennio scorso, il calcio femminile era un’attività semi-amatoriale) corrispondente alla NASL attuale maschile. Il meccanismo delle serie nordamericane è veramente complesso e meriterebbe una storia a sé. Vi gioco tre anni prima di appendere gli scarpini al chiodo.


Quello che non verrà mai appeso ad un chiodo, però, è il fatto che il Canada e l’Italia hanno molto in comune, specialmente dal punto di vista calcistico e dello sport in generale. Il fatto che siano ben nove gli italo-canadesi nella Hall of Fame, fa capire come abbiano contribuito alla crescita di questo sport a quelle latitudini. Chissà che – dopo Bettega, Corradi, Ferrari, Di Vaio e Nesta – un altro italiano, Giovinco, da giugno 2015 e per un monte d’oro, non faccia fare, al soccer, il passo decisivo verso la definitiva consacrazione nel continente nordamericano.

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