CINESINHO Sidney Colônia Cunha

Arrivato in Italia nei primi anni Sessanta e rimastoci per quasi trent’anni, è stato uno dei pochi brasiliani non oriundi del calcio italiano prima della chiusura delle frontiere: storia di Chinesinho, l’uomo che ha portato lo spirito del Brasile nella fredda Torino.


Juventus e Brasile storicamente sono andati sempre poco d’accordo: sono pochissimi i calciatori venuti dallo Stato sudamericano ad aver lasciato un ricordo positivo del proprio passaggio. Quello ad esservi riuscito forse meglio è stato Sidney Cunha, detto Chinesinho (o anche, più italicamente Cinesinho), mezz’ala gaúcha protagonista di uno scudetto e una coppa Italia a metà anni Sessanta. Tanto per cominciare, un mistero: non è dato a tutt’oggi, e probabilmente non lo sarà mai, sapere la data di nascita dell’uomo che guidò la Juventus di Heriberto Herrera alla conquista dello scudetto 1966/67.

Sidney Colônia Cunha, colui che sarebbe diventato famoso come Chinesinho, era nato il 28 giugno 1935, come riportato dalla carta d’identità? O il primo gennaio, come lui stesso dichiarò, facendo cambiare addirittura l’album delle figurine Panini? Oppure il 13 gennaio, come riportava il suo patentino di allenatore? Cose non troppo strane nel Brasile degli anni Trenta, paese ancora poverissimo ed estremamente arretrato, che però stava per partorire forse la più forte generazione calcistica di ogni tempo.

Tra questi anche Pelé, l’uomo destinato a diventare il Re del calcio indossando la maglia del Santos. Lungo la strada per l’immortalità non mancarono tuttavia gli ostacoli, e tra questi c’era proprio Chinesinho: già noto al pubblico paulista, titolare di un forte Palmeiras, strappò il titolo del Paulistão nel 1959, battendo in finale proprio il Peixe dell’ancor giovane Perla Nera. Con i biancoverdi visse quattro stagioni da urlo, conquistando anche la Taça Brasil e con essa la maglia della Seleção, indossata diciassette volte.

Proprio ai grandi del suo tempo, Pelé e Garrincha, soleva paragonarsi: «Io possiedo il riflesso del campione» diceva «il mio riflesso è il tempo impiegato per direzionare il pallone. Io, come Pelè e Garrincha, ho il riflesso molto veloce. Il mio compagno smarcato riceve subito il pallone». Ed era certamente un regista di ottima caratura, che piacque all’Inter che lo portà in Italia nell’estate del 1962. Passò in prestito al Modena perché i nerazzurri avevano già il limite degli stranieri (gente del calibro di Angelillo, Suarez, Peirò e Jair). Debuttò con la maglia gialloblù il 23 settembre del ’62, segnando subito al debutto durante Modena-Genoa, partita teminata 1 a 1. E da lì Cinesinho diventerà un beniamino di quel Modena che la stagione successiva, senza il suo talento, retrocedette dopo lo spareggio di San Siro contro la Sampdoria. Venti presenze e 3 gol per lui in un’unica stagione.

Salvati i canarini, su di lui posa gli occhi il Catania di Ignazio Marcoccio che riesce a strapparlo all’Inter. Cinesinho, 28 anni, nell’estate del 1963 diventa così rossazzurro. Un acquisto che si rivela subito azzeccato. Cinesinho incanta la platea del Cibali, che si esalta di fronte alle giocate del brasiliano ex Palmeiras. In terra etnea disputa due campionati ad alto livello, con 59 partite e 4 reti realizzate. Grazie anche al talento del Cina, la formazione di Carmelo Di Bella conquisterà due ottavi posti consecutivi. Da segnalare, inoltre, il grande contributo offerto dal brasiliano nella Coppa delle Alpi del 1964 (torneo disputato al termine della stagione), dove trascina i rossazzurri nella finale, poi persa, con il Genoa (il Cina fu anche autore di una tripletta nella gara contro la Roma, vinta dagli etnei 4-2).

Su di lui posa gli occhi la Juventus, dove arrivò, già 30enne, nel corso del primo mercato a frontiere chiuse: un mercato movimentato e costoso, in cui Sivori e Altafini lasciarono Torino costringendo la società a cercare un rimpiazzo. A Chinesinho si chiese il compito più duro: quello di ereditare il 10 lasciato vacante dal Cabezón, oltretutto rimettendosi in gioco, già sul viale del declino fisico, nel modulo tutto corsa pensato da Heriberto Herrera. L’inizio fu bagnato dal successo addirittura prima di iniziare, con la conquista della Coppa Italia (a spese dell’Inter campione europea e mondiale) già nel mese di agosto. Riarrangiato nel ruolo di mediano, lui nato mezz’ala, si mise in luce per il grande rigore tattico e per un gioco estremamente preciso. Trentuno le presenze nel primo anno, quattro gol e una buona posizione in classifica per la squadra valsero la riconferma.

La stagione successiva fu quella della consacrazione: nonostante i trentadue anni (quasi un ottuagenario, calcisticamente parlando, per l’epoca) Cinesinho, nel frattempo ribattezzato il Cina, si mostrò ancora in grado di correre e reggere i novanta minuti bene quanto i compagni più giovani, per la grande soddisfazione di Herrera; salito definitivamente in cabina di comando, guidò la squadra alla vittoria del campionato con una serie di prestazioni regolarmente sopra la media. Abbastanza per avere ancora un’oppurtunità, anche se sarà l’ultima: i tifosi ingolositi dall’ultimo titolo iniziarono a chiedere un gioco più veloce, e per il Cina – pure uno dei migliori della stagione – non si trovò più spazio. Salutò il suo pubblico con un gol al Napoli, una traiettoria che Zoff definì «diabolica»,

Nell’estate calda del ’68 Giussi Farina firmò un assegno di 56 milioni di lire per portare dalla Juventus al Lanerossi Vicenza un giocatore brasiliano che gli esperti già bollavano come finito. «Era una nostra strategia precisa – ricordava il Presidente biancorosso – quella di prendere vecchi campioni dati per finiti, come Vinicio o Sormani, per poi rigenerarli. Quella volta toccò a Cinesinho. E, come sempre, andò benissimo».
A Vicenza il Cina non arriva certo da primadonna, anzi con grande umiltà contribuisce a quattro memorabili salvezze biancorosse nella massima serie facendo da chioccia ai tanti giovani del vivaio.
Conclude nel 1972 dopo 254 partite in serie A con le maglie di Modena, Catania, Juventus e Lanerossi, e 25 gol (90 presenze e 10 gol in maglia biancorossa). La sua ultima stagione, per la cronaca, fu l’ultima in cui le figurine Panini si dovevano attaccare «con la colla o con la cellina». Dal 1972-73 divennero tutte autoadesive. Con quelle nuove “figu” e senza Cinesinho sull’album, il calcio genuino cominciò lentamente a sbiadire.

Passato velocemente nel continente americano (prima negli States, poi in patria) per due fugacissime presenze nelle fila di NY Cosmos e Nacional, Chinesinho tornò ancora in Italia per iniziare la sua carriera di allenatore. A differenza della vita in campo però quella in panchina diede meno soddisfazioni: Vicenza, Foggia, Forlì, un continuo calando, mentre già iniziavano a vedersi i primi segni della malattia che l’avrebbe stroncato dopo trent’anni di battaglia; un’ultima esperienza al Palmeiras nel 1985 quindi l’addio. Non definitivo: tornato a vivere in Italia, nel mestiere di consulente per il Modena, fu chiamato nel 1991 ad un’ultima avventura alla guida della squadra giovanissimi. Da quella squadra è uscito poi un giocatore capace di lasciare il segno fino ai giorni nostri: Luca Toni.

Sidney Cunha ha lasciato questo mondo sabato 16 aprile 2011, all’età di 76 anni. Nonostante i lunghi anni trascorsi nell’anonimato (venti dall’ultimo lavoro legato al calcio, quasi trenta dall’ultimo incarico di allenatore) il ricordo si è risvegliato immediato nei tifosi delle squadre cui ha militato e che l’hanno lungamente ricordato il giorno dopo, una domenica di calcio come tante, in cui tutto scorre pacifico: e per un giorno è sembrato ancora come fosse lì, a dettare i tempi ai compagni con quel riflesso che solo i campioni avevano.

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