Sandro Ciotti: Bordon e la forza dei nervi distesi

Aprile 1978: dalle colonne del Guerin Sportivo Sandro Ciotti racconta il timido Ivano Bordon, all’epoca numero uno dell’Inter e numero due della Nazionale, alle spalle del sempiterno Zoff


Si dice, sia nelle grazie di Lady Renata cui molto garberebbero il buon senso e l’intelligenza della signora Bordon (avallati da un diploma magistrale). La verità è che Lady Renata ha molta simpatia per tutti quei giocatori che fanno vincere — o quanto meno non perdere — l’Inter e Ivano fa certamente parte della categoria. Lo rese chiaro in una partita rimasta nella leggenda nerazzurra: la gara di ritorno contro il Borussia Moenchengladbach nel maestoso quanto sinistro stadio olimpico di Berlino.
Ricorderete i fatti, con il 7-1 di Moenchengladbach cancellato dall’episodio della famigerata lattina che andò a planare sul cranio di Boninsegna e il successivo riscatto a San Siro con Netzer annullato rudemente da Bedin e un favoloso gol di Bellugi a dare smalto stilistico al trionfale 4-2 per l’Inter.

A quel punto il ritorno in Germania diventava «il fatto» dell’Europa pallonara e, in particolare, una questione d’onore per il calcio tedesco che dopo la finale messicana del ’70 e le romanzesche vicende che lo avevano privato del 7-1 borussico non poteva consentire agli italiani un’ulteriore beffa. Più che previsto; il catenaccio interista a Berlino (dove il Borussia aveva trasferito la sede dell’incontro allo scopo poco romantico di estrarne il massimo beneficio economico) era scontato. Ma il catenaccio presuppone prima di tutto un grande portiere e Lido Vieri si era reso indisponibile proprio alla vigilia. Dentro Bordon, allora, e che Dio ce la mandi buona. Ammesso che Dio abbia tempo e voglia per occuparsi di calcio, la mandò buonissima: il giovanissimo Ivano parò l’imparabile grazie ad un repertorio che, parve stupefacente a chi non lo aveva mai visto all’opera e che andò da fantastici voli tra i pali a temerarie sortite sui bulloni teutonici, da uscite volanti calibrate al centesimo di secondo a deviazioni miracolose anche sui tiri più ravvicinati di Netzer e la sua orchestra. Proprio nello stadio che vide Hitler negare la stretta di mano al «colored» Owens che aveva strappato l’applauso anche agli spettatori più razzisti Bordon ebbe dunque il suo battesimo di campione in una serata che Vide tra i protagonisti anche un altro giocatore sino ad allora trascurato dai critici (Frustalupi) e che gratificò l’Inter di uno 0-0 che valeva il passaggio del turno.

Fu più o meno in quei giorni che il trono di Vieri cominciò ad essere insidiato da Ivano. Al quale i tecnici più petulanti rimproveravano qualche lacuna legata soprattutto alla giovanissima età (e cioè una presunta ritrosia ad uscire dai pali e scarsa vocazione a «comandare» la difesa) ma al quale già andavano le simpatie di una larga parte della tifoseria e, quel che più conta, la fiducia della maggioranza dei compagni (ivi compresi i «senatori», che all’Inter hanno sempre contato più che altrove). L’uomo aveva tuttavia meno convinzione nei propri mezzi di quanta ne avessero le altre tessere del mosaico interista: anche quando le sue apparizioni tra i pali della prima squadra erano diventate pressoché prammatiche continuava ad essere suggestionato dall’ombra di Vieri e a paventarne l’autorevole concorrenza sicché sembrò dolorosa ma ragionevole la decisione dell’Inter di lasciare libero il bellissimo Lido (che trasferì il suo magistero alla Pistoiese portandola in «B» insieme ad un altro ex-interista, Bolchi) per consentire ad Ivano di esprimersi senza tremore.

E Ivano ha confermato la saggezza delle decisioni con anni di rendimento tanto convincente da indurre Bearzot a patentarlo per Baires. Una circostanza tanto esaltante non si sarebbe tuttavia prodotta senza la collaborazione di Terraneo che, chiamato da Radice a sostituire l’indisponibile Castellini (da tempo officiato come vice-Zoff), ha pensato bene di giocare in modo tale da farsi preferire al titolare.
A mettere «out» il simpatico «Castello» non è stato quindi tanto Bordon quanto Terraneo giacché, nonostante la sua simpatia per il portiere granata, Bearzot non può certo portare in Argentina un elemento che fa panchina nel proprio club. Era del resto ora che Ivano avesse un po’ di fortuna perché sinora non ne aveva avuta molta, prima avendo dovuto fare «il secondo» ad un mostro sacro come Vieri e poi arrivando in prima squadra proprio nel periodo meno felice dell’Inter.

Di lui piacciono soprattutto le grandi risorse acrobatiche, la classicità dello stile, la compostezza che ne governa gli atteggiamenti fuori dal campo. E’ raro che sia lui ad avviare una polemica o a favorire quei pettegolezzi di cui l’Inter ha troppo spesso dovuto pagare lo scotto. E’, insomma, il classico tipo tranquillo, come molti calciatori di ceppo veneto, e del resto la vita quieta di Trezzano sul Naviglio lo ha aiutato, a dare al proprio temperamento stabilità ed equilibrio.

La dimensione familiare è, dal punto di vista calcistico, abbastanza singolare: mentre la moglie avverte assai poco il fascino del calcio la cognata al contrario lo adora sottraendo alla sorella la patente di prima tifosa di Ivano che ormai si affida più al parere della cognata che a quello della consorte per sapere se le sue prove sono state soddisfacenti. Non gli si conoscono hobbies particolari: un po’ di TV, qualche libro giallo, qualche film che faccia pensare quel tanto che basta. Con i giornalisti cerca di parlare il meno possibile, in questo allineandosi con gli atteggiamenti del suo predecessore rimasto famoso, come Boniperti, per l’abitudine di rispondere con dei larghi quanto imperscrutabili sorrisi anche alle domande più banali dei cronisti. Dopo aver tentato di dare una interpretazione plausibile al sorriso di turno il cronista finisce per trovare troppo ardua l’operazione orientandosi alla svelta verso altri interlocutori.

Nel frattempo è grandemente migliorato il suo peso tecnico, in compenso. Le uscite non sono più un problema e la scomparsa dalla difesa nerazzurra dei veterani che lo intimidivano ne rende più spavaldo il comportamento quando si tratta di comandare il reparto suggerendone il piazzamento sui calci da fermo o orientandone le marcature sullo sviluppo dell’offensiva avversaria. Con i vari Canuti, Bini, Baresi, Orlali, Fedele ecc. la sua intesa è ormai quasi perfetta e l’andamento del campionato lo sta confermando: fare gol all’Inter è tornato ad essere un grosso problema come ai tempi dei Sarti e dei Picchi, dei Burgnich e dei Guarneri. Fu su quella difesa che la squadra innestò il suo destino di formazione di statura mondiale e la circostanza induce ovviamente da tifoseria nerazzurra a sperare che la faccenda dei corsi e ricorsi storici non sia una panzana.

Frattanto Ivano continua a parare e a credere in se stesso, a parare e a credere nell’Inter, a parare e a credere che prima o poi quella irriducibile Vecchia Signora possa distrarsi, perdere qualche colpo e lasciare spazio agli altri.
Per il momento si accontenta di fare il n. 3 in Argentina. Ma una zingara gli ha detto che quando si tratterà di rilevare il n. 1 lui sarà nei paraggi. Che poi la zingara assomigliasse maledettamente a Bearzot sono pure illusioni…

Sandro Ciotti