Concetto Lo Bello – Intervista maggio 1974

  • Intervista di Candido Cannavò – Gazzetta dello Sport maggio 1974

Lo Bello lascia il mondo del calcio che per trentanni lo ha visto protagonista Ancora oggi gli sportivi si chiedono, chi è? Non un missionario, ma un uomo del suo tempo, abile, furbo, machiavellico, rigoroso, realista.

Non c’è nulla di struggente in questo addio. Concetto Lo Bello non tradisce emozioni, nè indulge alla retorica di «una parte della vita che entra negli scaffali di un archivio ». Trent’anni d’arbitraggio sono un’eternità, mezzo migliaio di partite — tra campi periferici e grandi stadi metropolitani — s’aggroviglierebbero persino nella memoria di un elefante. Forse ci vorrà del tempo perché Lo Bello si renda spiritualmente conto del distacco. Ma, per adesso, in questo vigoroso uomo di mezza età, tutto puoi scoprire tranne che le patetiche emozioni di un pensionato.

Un capitolo si chiude, altri se ne aprono: Lo Bello si è garantito una vita ricca di interessi, di passioni, di incertezze, di lotte al di là del calcio, anche se dal mondo dello sport non riuscirà mai a staccarsi «perchè con esso — spiega — c’è un legame di sangue».

Del resto, è difficile far coincidere in un unico fotogramma i tanti aspetti della personalità di Lo Bello. In Sicilia, e più particolarmente a Siracusa, le immagini del principe del fischietto, del divo degli stadi, del personaggio a tutti i costi, dell’arbitro esaltato e detestato, dell’uomo dalle molteplici avventure in tutto il mondo, del cosiddetto nemico di Rivera, giungono di riflesso. Ad esse si sovrappongono quelle di un Lo Bello che, forte di una popolarità calcistica sempre ben coltivata, ha lanciato una sfida a un ambiente ammalato di superficialità e di fatalismo. E l’ha condotta con ogni mezzo.

Non certo un missionario, ma un uomo del suo tempo, abile, furbo, machiavellico, rigoroso e soprattutto realista. S’è tuffato nella politica, ma non in quella delle parole. Le esperienze di giramondo non l’hanno guarito di una «siracusanite acuta» che si è espressa sempre non come un amore retorico, ma con fatti concreti. Il Lo Bello che diventa onorevole è il frutto naturale di questo rapporto con il suo ambiente. Il grande calcio ha fatto solo da sfondo, ha creato le premesse.

li più grande capolavoro “arbitrale” di Lo Bello, per i siciliani, non è legato a una partita di calcio, ma risiede, come un monumento vivo, sulla balza akradina, un bianco promontorio ai margini delle mura di Ortigia. Lo Bello, per realizzarlo, ha investito ingenti capitali di popolarità, di coraggio, di tenacia, di pazienza. La “Cittadella dello sport” — è di essa che stiamo parlando — non è soltanto un poderoso complesso di impianti in uno scenario naturale da favola, ma è nata ed è cresciuta come il simbolo di una nuova frontiera siciliana. Essa è famosa oggi quanto l’Orecchio di Dionisio. Migliaia e migliaia di giovani la frequentano, un cambio di mentalità si è creato, una benefica svolta di costume s’è avvertita laddove, sino a quindici anni fa, lo sport era un fatto di élite, un hobby per pochi, una stravaganza.

E’ questo — bisogna chiarirlo — l’unico Lo Bello che in Sicilia realmente interessi, non l’arbitro che tramonta dopo un trentennio di vita fascinosa e randagia. Ma l’immagine “siracusana” di Lo Bello non appartiene all’archivio dell'”arbitro principe” che va in pensione. Oggi è in quest’archivio che bisogna frugare.

Il nostro primo incontro avvenne intorno al 1950 su una automotrice diretta a Caltagirone. Lo Bello era un giovanotto magrissimo, la divisa gli scivolava giù dalle spalle. Aveva cominciato ad arbitrare nel 1944 con l’attività locale dell’ULIC, calcio dopo-lavoristico. Nel 1940 approdò alla Lega regionale, quindi, due anni dopo, alla Lega Sud che allora aveva sede a Napoli e amministrava le partite delia Quarta Serie che a quei tempi si chiamava Promozione.

«Quando cominciai avevo vent’anni. Facevo dello sport, avrei potuto giocare al calcio anch’io. L’arbitraggio mi attrasse non certo come motivo di evasione o per la speranza di arrivare lontano: semplicemente mi piaceva, mi esaltava, poter amministrare su un campo di calcio certi elementari principi di giustizia».

La grande paura

Fu nelle stagioni in cui dipendeva dalla Lega Sud che Lo Bello visse la prima grande paura — e forse l’unica — della sua carriera:

«Era il Natale del 1949 ed arbitravo Angri-Casertana. La sconfitta della squadra di casa fece imbestialire il pubblico, Allora attorno ai campi minori del Sud c’erano solo poche guardie giurate. Venni assediato, vidi anche balenare la lama di qualche coltello. Non so come sarebbe andata a finire, se un capitano dei carabinieri, Carlo Canger, non mi avesse salvato facendomi salire su una vecchia Balilla a tre marce. E poi via a tutto gas, tra la folla inferocita. Per uno strano caso della vita, lo stesso capitano del carabinieri, divenuto generale, salvò dal linciaggio, credo due anni fa, un altro Lo Bello: mio figlio Rosario, che s’era messo nei guai sul campo di Nocera».

Concetto Lo Bello viene ammesso nel 1950 al concorso per entrare nei ranghi della CAN. Si classifica primo nelle tre prove di scritto, orale e dimostrazione pratica. Da qui la sua carriera prende slancio: tre partite in C nel 1950-51; poi, quasi a chiusura della stagione successiva, la prima apparizione in Serie B nella partita Piombino-Modena. Il debutto in Serie A avviene nel finale del campionato 1953-54. La partita è Atalanta-Sampdoria. “Lo Bello o Lobello?”, si legge con un pizzico di ironia su un resoconto. “Lo sapremo — aggiunge il cronista — quando sarà più famoso…”.

Il Cairo, stagione 1958-59, si gioca Egitto-Germania. Lo Bello arbitra la sua prima partita internazionale. Nella squadra tedesca, dove ci sono ancora Rahn e altri eroi dei mondiali del 1954, debutta un giovanotto biondo: Karl Schnellinger. La via è splendidamente aperta. Nel 1960 Lo Bello viene designato addirittura per dirigere la finale olimpica di Roma.

E qui esplode il primo caso internazionale che peserà a lungo sulla carriera dell’arbitro siracusano. Lo Bello espelle dal campo l’attaccante jugoslavo Galic che, stizzito da un calcio di punizione a sfavore, gli ha gridato, nella propria lingua e quindi certo di non essere capito, “figlio di buona donna”. Lo Bello conosceva quell’espressione per un puro caso: gliela aveva insegnata il pallanotista jugoslavo Bonacic che da anni era allenatore dell’Ortigia di Siracusa. Potrebbe far finta di non capire. Ed invece è inflessibile. La Jugoslavia resta con un uomo in meno nella finalissima e, benché la vinca ugualmente, la decisione di Lo Bello provoca scandalo.

Il potente Andrejevic — che poi diventerà presidente della commissione arbitri della FIFA — si mostra particolarmente indignato. E Lo Bello paga: non viene convocato per i mondiali del 1962 in Cile. Lo chiamano quattro anni dopo per l’edizione inglese dei campionati del mondo e tutti pronosticano per lui la finalissima. Ed invece, all’ultimo momento, gliela soffiano, assegnandogli la terribile semifinale Germania-URSS, a Liverpool. C’è l’ombra del potente Andrejevic e di una sua antica vendetta in queste delusioni? Lo Bello rifiuta l’argomento:

«Cose vecchie, superate, non ha più senso rivangarle. Andrejevic ho potuto conoscerlo bene nella parte finale della mia carriera. E dico che è un gran signore. Forse gli sono state addebitate responsabilità che non sono sue…».

Ma quelle delusioni hanno lasciato il segno, in una carriera gloriosa, dove figurano dodici derby milanesi, finali europee e intercontinentali, una finale olimpica, uno spareggio per lo scudetto, finali di Coppa Italia, una valanga di partite internazionali, un record imbattibile di presenze in Serie A, oltre alla semifinale mondiale di Liverpool, nel 1966.

Tra gli smacchi, però, il più doloroso è quello del Messico. Lo Bello ha una prima reazione violenta alla sua esclusione dai mondiali del 1970. Sembra possa venirne fuori uno scandalo, le accuse sono pesanti, ma poi tutto finisce con l’essere assorbito dalle italiche capacità di accomodamento. Lo Bello riprende la sua attività senza passare per l’aula di nessun tribunale calcistico. Molti vedono in lui ormai non solo un grande arbitro, ma anche un uomo di potere nell’ambito dell’organizzazione calcistica.

L’elezione a deputato (quasi 70 mila voti di preferenza) esaspera questa immagine. Correnti bigotte insorgono: che la smetta di far l’arbitro! Lo Bello, invece, resiste, ne fa una questione di principio e dimostra che un onorevole può mettersi in pantaloncini la domenica in uno stadio senza offesa per la dignità del Parlamento e senza complicazioni per la categoria arbitrale. La gente si abitua all’arbitro-onorevole, non ci fa più caso. Sul plano del costume è una conquista…

Semifinali Mondiali 1966: Lo Bello tra i capitani di Germania Ovest e URSS

Ma è bene riportarsi sul binari dell’aneddotica. Può un arbitro estrarre da trent’anni di carriera la partita più difficile? Lo Bello risponde puntualmente:

«Per me fu senz’altro Germania-URSS a Liverpool. Una guerra, ricordo, non una partita di calcio. Rimasi in tensione dal primo all’ultimo minuto. Ogni intervento nascondeva una trappola feroce».

E’ storia non lontana: i tedeschi fecero fuori Szabo, Lo Bello espulse Cislenko per un plateale fallo di reazione, la Germania vinse netto. Uno strascico di polemiche di marca sovietica sull’operato dell’arbitro.

«Io feci esattamente il mio dovere e penso che le critiche del sovietici siano state solo frutto di stizza per una partita persa per scarso controllo di nervi. Del resto, qualche anno dopo, la mia figura venne abbondantemente riabilitata in Unione Sovietica da un profilo dedicatomi da “Sovietski Sport’’. Lo conservo tra le cose più care: si parla di me non solo come di un arbitro di sicuro valore, ma soprattutto di un vero sportivo…».

Gli aneddoti sulla carriera di Lo Bello sono sventagliati su campi diversi, in Italia e fuori. Episodi gustosi si accavallano ad altri drammatici. Fiorentina Inter 1960-61. I viola stanno vincendo per 1-0. C’è un corner per l’Inter. Petris, retrocesso in area, sposta di braccia un avversario prima ancora che la palla arrivi. Lo Bello fischia il rigore. Tribune in fermento, proteste in campo, Petris furente. Nulla da fare. Tira Lindskog e segna. Pochi minuti più tardi, nuovo corner per l’Inter. Petris si rivolge all’arbitro e gli dice: “Voglio vedere se ha il coraggio di darci un altro rigore”. Quindi dà seguito alla sua provocazione commettendo l’identico fallo di prima. Lo Bello non fa una piega. Secondo rigore. Lo stadio esplode come una polveriera. I fiorentini lincerebbero Lo Bello sul posto, se Lindskog — anima pia — non pensasse bene di… sbagliare il tiro dal dischetto.

Verità o fantasia

Ma il fatto più gustoso, anche se ancora velato da un certo mistero, risale al derby Milan-Inter del 24 febbraio 1963. I nerazzurri conducevano per 1-0 grazie a un gol di Mazzola. Ad un certo punto, David commette fallo in arca su Zaglio. Lo Bello, a quanto pare, giudica l’intervento semplicemente ostruzionistico e si appresta a decretare il “calcio a due”. Ma tutti pensano al rigore. E Ghezzi, portiere del Milan, preso dallo scoramento, calcia la palla lontano. Lo Bello gli si avvicina per richiamarlo energicamente. E, intanto, un altro milanista (David) per evitare che la situazione degeneri, piazza la palla sul dischetto. Quando Lo Bello finisce di parlare con Ghezzi, si rigira e trova tutto predisposto per l’esecuzione del calcio di rigore. E allora — cosi si dice — accetta il fatto compiuto. Tira Suarez e colpisce il palo.

Verità o fantasia? A distanza di tanti anni, Lo Bello potrebbe decidersi a regalarci la sua versione su questo paradossale episodio di “auto rigore”. Ed invece si diverte n scherzarci su, alimentando il mistero.

«Piuttosto in quello stesso derby annullai un gol di Benitez che, in un primo momento, avevo concesso per un’errata interpretazione del gesto fattomi dal segnalinee Caldirola di Genova, morto qualche anno addietro. Ero coperto e non avevo potuto controllare direttamente l’azione. Il gesto di Caldirola mi aveva indotto a far mettere la palla al centro del campo. Ma qualcosa non mi convinceva. Raggiunsi il guardalinee e appresi da lui che c’era Sani in fuorigioco. Gol annullato, in ritardo, ma annullato. Scena non gradevole, dimostrazione pubblica che un arbitro può sbagliare. Ma l’importante è che si arrivi, nei limiti del possibile, alla verità su un episodio. Io cosi l’ho sempre pensata».

Ferrara 1969, Spal-Napoli, tre rigori contro la squadra di casa, anche questo un record difficilmente battibile.

«Fu ampiamente dimostrato che c’erano tutti e trem quel rigori. Ho agito regolamento alla mano».

Qualche settimana dopo, per strana coincidenza, Lo Bello fu sottoposto a un’indagine fiscale. Le vie dei potentati calcistici sono infinite. L’indagine non svelò nulla che non potesse essere esposto alla luce del sole. L’episodio di Ferrara e i suoi strani strascichi ebbero un seguito, qualche tempo dopo, a Marassi. Lo Bello espulse dal campo, in maniera piuttosto teatrale, il presidente della Spai Mazza perchè, essendo dirigente federale, non aveva diritto di stare in panchina.

«Anche qui io il regolamento ho applicato. Cose vecchie, risapute, dimenticate. Del resto sono felice di poter dire che al commendator Mazza mi legano oggi rapporti di cordialità e di stima…».

Con l’amato/odiato Gianni Rivera, fuori dal campo

E con Rivera? Cos’è successo con Rivera perché si solidificasse l’impressione di una incompatibilità di pelle? Lo Bello chiede scusa. L’argomento è tabù, nessun rigurgito polemico, nessun chiarimento.

«Ho la coscienza tranquilla, ho considerato Rivera in campo un giocatore come tutti gli altri, ho sempre agito nei suoi confronti regolamento alla mano. Da sportivo, da appassionato, lo ammiro per il suo talento che ne fa il caposcuola di tutta una generazione calcistica».

Tra gli stati d’animo che Lo Bello nasconde, forse c’è il cruccio di non poter chiudere la sua carriera in pace e in allegria con tutti. Ma fa parte della vita. Quello di Buticchl, In fondo, è l’unico nome che suona male in questa tranquilla e dignitosa atmosfera di commiato.

  • Intervista di Candido Cannavò – Gazzetta dello Sport maggio 1974