Immaginate l’Estadio Azteca gremito per una finale di calcio femminile nel 1971. Sembra impossibile? Eppure accadde. Questa è la storia di un torneo pionieristico che, seppur per un breve momento, fece tremare l’establishment del calcio mondiale.
Nel 1971, Città di Messico fu teatro di uno degli eventi più straordinari e sottovalutati nella storia del calcio. Non stiamo parlando dei Mondiali di calcio del 1970, dove Pelé raggiunse l’apice della gloria internazionale, né di quella del 1986, che vide la “Mano de Dios” di Maradona. No, ci riferiamo a un torneo che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del calcio femminile, ma che è stato quasi del tutto dimenticato: la Coppa del Mondo femminile non ufficiale del 1971.
Immaginate 110.000 spettatori che riempiono l’iconico Estadio Azteca per assistere alla finale tra Messico e Danimarca. Un evento di tale portata per il calcio femminile era inimmaginabile all’epoca, eppure accadde davvero. Questa è la storia di come un torneo non riconosciuto dalla FIFA, sponsorizzato da un’azienda italiana di bevande, sfidò le convenzioni e mostrò al mondo il potenziale del calcio femminile.
Le radici della ribellione
Negli anni ’60, la FIFA manteneva una posizione di totale indifferenza nei confronti del calcio femminile, nonostante le donne praticassero questo sport in modo organizzato da tanto tempo quanto gli uomini. Questa ostinata cecità della FIFA appariva sempre più anacronistica in un decennio caratterizzato da profondi cambiamenti sociali. Le donne stavano guadagnando terreno in molti ambiti precedentemente dominati dagli uomini, e il calcio non faceva eccezione. L’interesse per il calcio femminile stava crescendo, ma le istituzioni ufficiali rimanevano sorde a queste richieste di cambiamento.
Fu in questo contesto che alcuni appassionati e sostenitori del calcio femminile in Europa decisero di agire. Nel 1969, fondarono un’organizzazione chiamata FIEFF (poi abbreviata in FIFF) con l’obiettivo di organizzare tornei internazionali femminili per colmare il vuoto lasciato dalla FIFA.
La creazione della FIEFF rappresentava una sfida diretta allo status quo del calcio mondiale. Questi pionieri capirono che se volevano vedere un cambiamento, dovevano crearlo loro stessi. Non si trattava solo di organizzare tornei, ma di dimostrare che esisteva un pubblico per il calcio femminile, che le giocatrici meritavano gli stessi palcoscenici dei loro colleghi maschi e che il gioco femminile poteva essere altrettanto emozionante e tecnicamente valido.
Il calcio in rosa conquista l’Italia
Il primo passo significativo verso una Coppa del Mondo femminile fu compiuto nel 1970, quando l’azienda di bevande Martini & Rossi sponsorizzò un torneo di calcio proprio a casa nostra. Questo evento, chiamato “Coppa Martini & Rossi“, può essere considerato di fatto il primo campionato mondiale femminile “non ufficiale”.
Il successo del torneo fu sorprendente. Squadre da tutta Europa parteciparono, e persino il Messico attraversò l’oceano per competere. Fu in questa occasione che il calcio femminile messicano fece il suo debutto sulla scena internazionale, con una squadra assemblata in fretta e furia dalle neonate leghe amatoriali del paese.
Le giocatrici messicane arrivarono in Italia praticamente senza nulla: nessun finanziamento, nessun allenamento formale come squadra, nessun supporto logistico. Il loro equipaggiamento fu pagato dalla Martini & Rossi, con le ragazze che non avevano nemmeno una divisa da indossare per la cerimonia di apertura. In un gesto di improvvisazione creativa, presero in prestito una bandiera italiana e vi attaccarono al centro un calendario azteco al posto dello stemma nazionale.
Nonostante queste difficoltà, il torneo lasciò il segno sia sulle giocatrici che sui funzionari messicani. Una giocatrice in particolare, Alicia Vargas, si distinse come capocannoniere del torneo. Fu allora che nacque l’idea: l’anno successivo, il Messico avrebbe ospitato un evento ancora più grande e ambizioso, utilizzando gli stessi impianti del Mondiale maschile del 1970.
Il successo del torneo italiano aveva dimostrato che c’era un vero “appetito” per il calcio femminile di alto livello. Le giocatrici avevano mostrato abilità e passione sorprendendo anche molti osservatori scettici. I tifosi, attratti dalla novità dell’evento, scoprirono un gioco avvincente e competitivo. Per molte delle partecipanti, fu la prima volta che sentirono di essere trattate come vere atlete professioniste.
Il Messico si prepara per la grande sfida
L’annuncio che il Messico avrebbe ospitato una Coppa del Mondo femminile nel 1971 scosse il mondo del calcio. La FIFA, allarmata dal successo del torneo italiano, reagì prontamente vietando alla Federazione calcistica messicana di essere coinvolta in qualsiasi torneo femminile. Questa mossa obbligò gli organizzatori a utilizzare solo strutture private, e fortunatamente tra queste c’era l’Estadio Azteca, il tempio del calcio messicano.
Sei squadre accettarono l’invito a partecipare: Inghilterra, Italia, Danimarca, Francia, Argentina e Messico. L’evento fu promosso incessantemente in tutto il paese: era ovunque in TV e sui giornali. Le giocatrici della squadra inglese descrissero l’esperienza surreale di passare dall’essere delle sconosciute nel loro paese all’atterrare a Città del Messico come celebrità, venendo immediatamente portate in uno studio televisivo per delle interviste.
Gli organizzatori del torneo non badarono a spese nella promozione dell’evento, trattandolo con una serietà mai vista prima per una competizione femminile. Le partite furono trasmesse in televisione in Messico e gli stadi si riempirono rapidamente.
La preparazione per il torneo fu frenetica. Gli organizzatori dovettero superare numerosi ostacoli logistici e finanziari. La mancanza di sostegno ufficiale significava che molto del lavoro doveva essere fatto con risorse limitate e attraverso canali non convenzionali. Tuttavia, l’entusiasmo del pubblico messicano per l’evento superò ogni aspettativa.
Per le giocatrici, questa era un’opportunità senza precedenti. Molte di loro non avevano mai giocato davanti a folle così grandi o ricevuto tanta attenzione mediatica. L’eccitazione era palpabile, ma c’era anche la pressione di dover dimostrare che il calcio femminile meritava questo palcoscenico.
Il torneo prende vita
Alla fine di agosto e all’inizio di settembre del 1971, il torneo prese il via in un’atmosfera a dir poco elettrizzante. Le partite del Messico, in particolare, attirarono folle enormi. La squadra divenne un vero e proprio fenomeno locale mentre avanzava nella fase a gironi e si qualificava per la finale contro la Danimarca.
Il livello di gioco sorprese molti osservatori. Le squadre mostravano tattiche sofisticate e abilità tecniche che sfidavano gli stereotipi sul calcio femminile. Partita dopo partita, gli stadi si riempivano e l’entusiasmo cresceva. I media locali, dedicarono ampio spazio al torneo, raccontando le storie delle giocatrici e analizzando le partite con la stessa serietà riservata al calcio maschile.
Ma proprio quando sembrava che tutto stesse andando per il meglio, emerse una controversia inaspettata. Le giocatrici messicane, che avevano giocato gratuitamente per un anno intero, decisero di chiedere un compenso prima della finale. Questa richiesta non fu proprio ben accolta: la stampa messicana reagì con indignazione, chiedendosi “chi si credono di essere queste ragazze?“.
Con il passare delle ore in attesa della finale, divenne però chiaro che nessun pagamento sarebbe arrivato. Le giocatrici avrebbero potuto boicottare la partita, ma ciò avrebbe deluso un’intera nazione. Alla fine, decisero di scendere comunque in campo.
La finale che fece tremare l’Azteca
Il 5 settembre 1971, 110.000 tifosi si riversarono nell’Estadio Azteca per la finale. Per chi non ha mai vissuto l’esperienza di una partita all’Azteca, è difficile comprendere appieno la maestosità di questo stadio. Avvicinarsi all’impianto dopo un lungo viaggio attraverso la vasta città di Messico è come un atto di pellegrinaggio. Una volta all’interno, ci si sente minuscoli: così lontani dall’azione sul campo eppure assolutamente parte di essa.
Le giocatrici sul campo sentirono tutta la potenza di questo ambiente unico. La folla eguagliava i più grandi pubblici della Coppa del Mondo maschile. L’ingresso delle squadre in campo fu accolto da un boato assordante. Le giocatrici messicane, nonostante la delusione per la mancata retribuzione, erano determinate a dare il massimo per i loro tifosi. La Danimarca, d’altra parte, sembrava quasi intimorita dalla grandezza dell’occasione.
Il fischio d’inizio diede il via a una partita intensa e combattuta. Entrambe le squadre mostravano un calcio di alto livello, con passaggi precisi, tackle decisi e tiri potenti. Il pubblico reagiva a ogni azione con un’intensità che faceva tremare lo stadio.
Sul campo, la squadra messicana non riuscì però a esprimersi al meglio. Nonostante gli sforzi e il supporto del pubblico, le tricolores offrirono una prestazione poco ispirata. La Danimarca, più composta e clinica, prese il sopravvento. Alla fine, le danesi vinsero 3-0, conquistando il titolo di campionesse del mondo “non ufficiali”.
Nonostante la delusione per il risultato, c’era la sensazione che questo fosse l’inizio di qualcosa di grande, che dopo Città del Messico il calcio internazionale femminile sarebbe finalmente sbocciato. Le giocatrici lasciarono il campo tra gli applausi, consapevoli di aver partecipato a un evento storico.
Il sogno infranto
Ma le speranze e l’entusiasmo generati dal torneo del 1971 si spensero rapidamente, lasciando il posto a un lungo periodo di stagnazione per il calcio femminile internazionale. Contro ogni aspettativa, l’evento che avrebbe dovuto segnare l’inizio di una nuova era si rivelò invece un’opportunità mancata, destinata a rimanere isolata per decenni. La reazione dell’establishment calcistico fu, nella migliore delle ipotesi, tiepida, e in molti casi apertamente ostile. Invece di cavalcare l’onda del successo dimostrato in Messico, le istituzioni calcistiche scelsero di soffocare sul nascere questo potenziale movimento rivoluzionario.
Questa mancanza di supporto istituzionale ebbe effetti devastanti. Senza finanziamenti adeguati o strutture di sviluppo, il calcio femminile in molti paesi rimase a livello amatoriale. Le giocatrici continuavano a lottare per il riconoscimento e le opportunità, spesso dovendo bilanciare il loro amore per il gioco con la necessità di mantenere lavori a tempo pieno.
Ci vollero addirittura vent’anni prima che si tenesse la prima Coppa del Mondo femminile “ufficiale” nel 1991. Nel frattempo, il torneo del 1971 scivolò nell’oblio, diventando poco più di una curiosità storica. Le giocatrici che avevano partecipato a quell’evento storico videro i loro sogni di una carriera professionale nel calcio svanire.
Il calcio femminile di oggi deve molto a quel gruppo di coraggiose che nel ’71 sfidarono ogni convenzione. Grazie alla loro audacia, ora vediamo i frutti di quella battaglia: gli stadi si riempiono, i diritti TV crescono, le calciatrici diventano professioniste. C’è voluto mezzo secolo, ma quelle pioniere avevano visto giusto.