1977: l’ultimo successo del Paron

Un anno e mezzo prima della sua scomparsa, datata 20 febbraio ‘79, Nereo Rocco conquistava la Coppa Italia alla guida del Milan, battendo l’Inter di Chiappella. Il commiato dalla panchina di uno dei più grandi allenatori nella storia del calcio italiano


La conquista della Coppa Italia da parte del Milan, al termine della stagione 1976/77, rappresentò l’ultimo titolo conquistato da Nereo Rocco. Il Paron raddrizzò la stagione dei rossoneri che, in campionato, rischiarono di retrocedere in B, salvandosi solo nel finale. Sull’annata milanista pesò il fallimento della gestione di Pippo Marchioro, il tecnico del Cesena dei miracoli che in rossonero andò incontro ad un flop inatteso. Naufragò malamente la sua idea di costruire una squadra “socialista”, termine usato da Marchioro in un’intervista alla Gazzetta durante il ritiro estivo, ovvero un gruppo in cui tutti i reparti dovevano aiutarsi a vicenda.

La prima novità apportata dal nuovo allenatore fu il cambiò di sede del ritiro estivo, scegliendo la più fresca Nebbiuno, sul Lago Maggiore, all’afosa Milanello. Alcune operazioni di mercato lasciarono i tifosi piuttosto perplessi. Ceduti Benetti (il giocatore era a capo di una sorta di corrente anti-Rivera) e Chiarugi, erano arrivati Capello e Braglia, oltre a Silva, Boldini e Giorgio Morini. Acquisti effettuati senza interpellare Nereo Rocco che ricopriva la carica di “consigliere tecnico” del presidente Duina.

Una campagna acquisti che una larga parte della tifoseria non esitò a bollare “di piccolo cabotaggio”. Dal vivaio, approdò in prima squadra il difensore Fulvio Collovati, destinato a diventare, tre anni dopo, uno dei pilastri del Milan che conquistò lo scudetto della stella. A metà stagione, con la squadra sull’orlo della zona retrocessione, eliminata in Coppa Uefa dall’Athletic Bilbao, la società rossonera affidò, in tutta fretta, la panchina a Rocco.

Il richiamo del Paron

Marchioro venne esonerato dopo il pari interno contro il Cesena, all’ultima di andata, un risultato che collocava il Milan al quintultimo posto in classifica, con la miseria di due vittorie all’attivo. Con il Paron nuovamente in panchina, partiva l’operazione “salvataggio della stagione”. Ai tifosi, che allo stadio esposero lo striscione “Siamo disperati”, Rocco rispose con la solita abnegazione e dedizione al lavoro e alla causa rossonera. Non poche le difficoltà trovate in un ambiente che andava rivitalizzato dopo aver respirato a lungo i miasmi ammorbanti della zona retrocessione. Il ruolino di marcia fu piuttosto anoressico: una sola vittoria, alla seconda di ritorno, contro la modesta Sampdoria, tanti pareggi e qualche sconfitta di troppo. A 180’ dal termine, il Milan era terzultimo e con due scontri diretti da disputare contro Catanzaro e Cesena.

La vera sfida salvezza fu quella contro i calabresi che schieravano la giovane promessa Massimo Palanca. Per evitare guai seri all’ultima di campionato occorreva vincere e vittoria fu. Al tifoso del Catanzaro che sperava di gettare il malocchio nella metà campo milanista, il Paron abbozzò un mezzo sorriso, avviandosi in panchina. Silva sbloccò le marcature con un gran gol dopo 25’ (rovesciata), Rivera ispirò gran parte delle azioni di gioco, propiziando il raddoppio di Morini. Quando Bigon insaccò il pallone del 3-0, San Siro tirò un sospiro di sollievo. Il finale veemente del Catanzaro seminò il panico allo stadio ma non bastò per togliere la vittoria ai rossoneri. Al triplice fischio dell’arbitro Menicucci, la squadra milanista sembrò Ulisse dopo essere approdato nella terra dei Feaci. La salvezza giunse sette giorni dopo, grazie ad una doppietta di Rivera contro il Cesena fanalino di coda. Si concludeva bene uno dei campionati più assurdi della storia del diavolo.

Dalla salvezza alla Coppa

Dal tomento all’estasi il passo fu breve. Un mese e mezzo più tardi, infatti, i rossoneri conquistarono la Coppa Italia battendo l’Inter. Era il 3 luglio del ’77. Nella ripresa la svolta del match. Una prodezza di Maldera su imbeccata magistrale di Rivera ed un gol di Giorgio Braglia allo scadere decisero la finale. Il Paron aveva mantenuto fede alla promessa fatta ai tifosi: salvare la stagione.

Davanti a 70 mila spettatori, in un’atmosfera da “tempi d’oro”, miglior epilogo non poteva avere la tribolata annata del Milan. L’Inter di Chiappella, con Bordon, Facchetti, Oriali e Mazzola, alla sua partita d’addio al calcio giocato, alzava bandiera bianca. L’ultimo Milan targato Rocco fu il seguente: Albertosi, Sabadini, Aldo Maldera, Giorgio Morini (12′ Boldini), Bet, Turone, Bigon, Biasiolo, Calloni, Rivera e Giorgio Braglia. Uno schieramento nettamente offensivo. L’allenatore triestino, accantonata la prudenza della vigilia, optò per la coppia Braglia-Calloni, escludendo dall’undici titolare Fabio Capello.

Il commiato di Rocco

Quella sera d’inizio luglio, mentre Rivera alzava al cielo la Coppa Italia, l’allenatore rossonero sorrideva, lieto di aver portato a termine nel migliore dei modi la sua missione. «È il mio ultimo trionfo», affermò Nereo Rocco negli spogliatoi mentre i tifosi rossoneri inneggiavano a Rivera che aveva appena alzato al cielo la Coppa Italia soffiata ai nerazzurri. Dopo tanto penare, l’epilogo fu trionfale. Il Paron mostrò una gioia contenuta. «Questa è la mia quarta Coppa Italia. Ho perso la panchina ma ho trovato l’ultimo trionfo. Me ne vado del tutto soddisfatto. Abbiamo rischiato di retrocedere ed invece ci ritroviamo a dover ricominciare la prossima stagione in campo internazionale con la partecipazione alla seconda Coppa, dopo quella del Campioni. Non fatemi dire che faccio i complimenti ai ragazzi, non fatemi apprezzare la retorica. Ho detto a loro grazie e basta».

Di fatto fu il commiato di Rocco, allenatore del primo trionfo italiano in Coppa dei Campioni nel 1963 e di altri allori d’altissimo prestigio alla guida dei rossoneri. Con il Paron in panchina, il Milan aveva ritrovato equilibrio, voglia di soffrire e fluidità di manovra, raddrizzando una stagione che sembrava volgere inopinatamente al peggio. La società rossonera, però, aveva già fatto le scelte per la stagione successiva, puntando sul barone Nils Liedholm. «Dobbiamo essere tutti contenti – concluse Nereo Rocco – perché Inter e Milan rimangono a galla in campo internazionale: l’Inter parteciperà alla Coppa Uefa, noi alla Coppa delle Coppe. Io ho perso la panchina, lascio il mio posto a Liedholm. Penso però di aver fatto il mio dovere: ho contribuito a salvare la squadra dalla Serie B, siamo riusciti a vincere una Coppa Italia. Mi pare, considerate le condizioni in cui era la squadra al mio arrivo da Trieste, che i miei piccoli soldi me li sia guadagnati».

Epilogo

Meno di due anni dopo, il 20 febbraio ’79, il Paron si spegneva all’ospedale Maggiore di Trieste, diventando da quel momento la “Grande Anima Rossonera”. Non aveva ancora compiuto 67 anni. Esponente di spicco di un football schietto e pulito, fiero della sua parlata dialettale che esibiva senza alcuna remora, amando ripetere “a Milano sono el Comendator Rocco, inveze a Treiste sono quel mona de becher!”. «Era un uomo, il Paron, – scrisse il suo grandissimo amico Gianni Brera – di quelli che mancano al calcio di oggi. Di quelli che non ti fanno venire il mal di testa con gli schemi, perché il calcio è uno sport assai più semplice di quello che talvolta si vuol far credere».

Testo di Sergio Taccone, Autore dei libri «Quando il Milan era un piccolo diavolo» (2009) e «La Mitropa Cup del Milan» (2012)

Il Tabellino del match

Milano, Stadio San Siro – Domenica, 3 luglio 1977
MILAN – INTERNAZIONALE 2-0
Reti: 64′ Maldera III, 89′ Braglia
Milan: Albertosi, Sabadini, Maldera III, Morini (12′ Boldini), Bet, Turone, Bigon I, Biasiolo I, Calloni, Rivera, Braglia – DT: Rocco
Inter: Bordon, Canuti (70′ Guida), Fedele, Oriali, Gasparini, Facchetti, Pavone, Merlo (76′ Grosselli), Anastasi, Mazzola I, Marini – All.: Chiappella
Arbitro: Gussoni