«Non penso che arriverà il giorno in cui, quando si parla di Cruijff, la gente non saprà di cosa si stia parlando»
Se è vero che ogni rivoluzione ha un volto, anche il Sessantotto calcistico ebbe il suo “Che”. Niente barba, niente sigaro, faccia da beatle piuttosto, per il condottiero di una rivolta senza barricate: la rivoluzione arancione del calcio totale. Johan Cruijff fu l’alfiere del nuovo corso varato da Michels e proseguito da Kovacs all’Ajax degli ultimi anni Sessanta.
L’utopia di un calcio fatto di movimenti incessanti, di alternanza nei ruoli, di giocatori capaci di uscire dalle rigide classificazioni degli spartiti tradizionali, trovò in lui l’interprete capace di tradurla in realtà. In che ruolo gioca Giovanni il Grande? Impossibile spiegarlo secondo i vecchi criteri. È un attaccante, sì, ma senza fissa dimora: svaria, rientra, difende, imposta, conclude. Il tutto a velocità doppia rispetto a quella dei suoi colleghi.
Non esistono modelli a cui ricondurre un giocatore che si distingue anche dal numero: non gli bastano quelli dall’1 all’11 ; Cruijff per tutta la carriera indosserà il 14, intimo riferimento al primo successo. Aveva 14 anni quando vinse, con l’Ajax il suo primo titolo giovanile. Johan era un “lanciere” dalla nascita: i suoi genitori abitavano a due passi dallo Stadion De Meer, in cui lui entrò per la prima volta a 4 anni. Alla morte del padre ne aveva 12 e fu praticamente adottato dall’Ajax, che aveva assunto la madre come lavandaia.
Il ragazzino aveva talento e sgusciava tra gli avversari a una velocità sorprendente, ma era fragile come un cristallo. Fu addirittura Vìe Buckingham, allenatore della prima squadra, a prendersene cura, impostando per lui uno specifico programma di rafforzamento. Quando, nel 1966, Michels approdò ad Amsterdam, si ritrovò per le mani un campione dician-novenne che aveva già un posto stabile nell’Ajax e da poco si era affacciato alla Nazionale.
Il burbero Rinus non chiedeva di meglio: il suo progetto pretendeva giocatori giovani e di talento, il vivaio dei Lancieri gli mise sul piatto, oltre a Cruijff, gente del calibro di Krol, Haan, Keizer, Suurbier, Neeskens e Rep.
L’Ajax coglierà i frutti del nuovo corso nel giro di tre anni: il 28 maggio 1969 i Lancieri approdano per la prima volta alla finale di Coppa dei Campioni. Ma a Madrid l’eroe è Pierino Prati che con tre gol regala la coppa al Milan (4-1). L’Ajax però è una squadra giovanissima, il suo tempo deve ancora venire. E infatti, due anni dopo, si replica: nel 1971 il ventiquattrenne Cruijff è già un’attrazione nel panorama calcistico internazionale. A Wembley, contro il Panathinaikos, l’Ajax apre un ciclo irripetibile. Dopo il 2-0 ai greci, arriveranno il bis e il tris. Nel 1972 una doppietta del “Papero d’oro” piegherà l’Inter di Mazzola e Boninsegna; nel 73 sarà Rep, dopo appena 4′, a segnare a Zoff il gol decisivo: Ajax-Juve 1-0.
Nel frattempo, con l’Intercontinentale del 1972, era arrivata anche la consacrazione mondiale. Una serie di trionfi che aveva consentito a Johan di vincere per due volte il Pallone d’Oro, impresa riuscita fino ad allora solo al grande Di Stefano. Bella storia, quella dell’Ajax e del suo figlioletto cresciuto amorevolmente a pane e pallone. Storia breve, però, e senza lieto fine: il ragazzino cresce e non resta insensibile al richiamo della moneta sonante. Da Barcellona sparano una cifra all’epoca iperbolica: l’equivalente di tre miliardi di lire. Il 19 agosto 1973 Cruijff gioca la sua ultima partita con i Lancieri, saluta, ringrazia e parte per la Spagna. La Catalogna impazzisce: 55.000 abbonamenti vengono bruciati in pochissimi giorni.
Il Profeta non delude: quando al Nou Camp arriva l’odiato Real, simbolo del centralismo franchista, il Barga lo travolge con cinque gol e si avvia a vincere un titolo che sulle ramblas non festeggiavano da 14 anni. Il Mondiale tedesco è alle porte, il Mondiale di Cruijff e dell’Arancia Meccanica, dicono tutti. Ma Johan ha sempre avuto un rapporto difficile con la Nazionale. Orgoglioso e dispotico, il principe non ha mai digerito l’affronto che la Federazione gli aveva fatto otto anni prima. Alla seconda presenza in Nazionale, il 6 novembre 1966, era riuscito in un’impresa storica: primo giocatore espulso nel lungo cammino degli Orange. Il record gli costò un anno di squalifica, sanzione che peraltro venne immediatamente attenuata, ma che lasciò il segno sull’umore mai particolarmente stabile di Re Giovanni. Cruijff da quel momento in poi si sarebbe concesso con molta parsimonia alla Nazionale, soprattutto dopo il trasferimento in Spagna. Così il Mondiale della definitiva consacrazione in realtà consacrò soltanto il pragmatismo vecchio stampo della Germania Ovest di Beckenbauer e di Berti Vogts, mastino ringhioso che nella finalissima non concesse un centimetro all’estro di Cruijff.
La delusione fu ricompensata pochi mesi dopo dall’assegnazione del terzo Pallone d’Oro, un primato che sarebbe stato eguagliato più avanti soltanto da Platini e Van Basten. Il traballante matrimonio con la Nazionale si concluse dopo tre stagioni: questione di soldi, tanto per cambiare.
Nel 78, a 31 anni, Cruijff, che nel frattempo ha sposato la figlia di un ricco mercante di diamanti, non insegue più la gloria, ma gli ingaggi. Lascia anche il Barcellona e per tre stagioni gira in lungo e in largo gli Stati Uniti, il nuovo Eldorado. Torna nel vecchio continente nell’81 e gioca una partita – al Mundialito per club – col Milan. Cruijff, però, non è più il fulmine di guerra di un tempo e si deve accontentare di un contratto a gettone (dieci partite in tutto) con il Levante, seconda divisione spagnola.
A fine stagione, l’ultimo colpo di teatro: Cruijff torna all’Ajax. Giusto il tempo di vincere altri due titoli olandesi (in tutto fanno otto), prima di consumare, a 36 anni suonati, l’ultimo tradimento: chiudere la carriera con la maglia dei rivali di sempre, il Feyenoord. Anche come allenatore Cruijff ha tagliato traguardi molto prestigiosi. Ha guidato l’Ajax dal 1986 al 1988 e il Barcellona dal 1988 al 1996. Con gli spagnoli ha vinto quattro scudetti, una Coppa dei Campioni e una Coppa delle Coppe. Si ritirò dal mondo del calcio nel 1997 a causa di seri problemi di salute di natura cardiaca, tanto è vero che dovette sottoporsi ad un delicato intervento al cuore, dove gli furono applicati alcuni by-pass.