DADA’: la vita è una Maravilha

Dicevano che non sapeva giocare, eppure Dadà segnava a raffica. Tanto da stabilire il record di reti in una sola partita: ben dieci.

Certe favole possono nascere soltanto in Brasile, in particolare nel futebol. Quella di Dada Maravilha, all’anagrafe Dario José dos Santos, ne è uno degli esempi più convincenti. Nato a Guanabara, vicino Rio de Janeiro, il 4 marzo 1943 (come Lucio Dalla…), Dario prima di fucilare a suon di reti i portieri avversari aveva dovuto masticare la polvere della rua dribblando i temuti poliziotti addestrati a dovere dal duro regime della dittatura militare.

Perché prima di sfondare come goleador, Dario ha vissuto ai margini della legalità, qualche volta sconfinandovi come tanti ragazzi brasiliani che non hanno la fortuna di essere figli della locale borghesia. Fu proprio con piccoli furti che Dario riuscì a comprarsi la prima sfera di cuoio dopo aver allenato la rapidità attraverso corse affannose per sfuggire alla polizia.

Il primo approccio con il vero calcio Dario lo ebbe a 21 anni nel Campo Grande, modesto club del panorama carioca, ma fu l’Atlético Mineiro a rivelarlo al Brasile intero, che in poco tempo lo elesse Rei Dada. Tanto irriverente in campo quanto fuori, Dario collezionò un mare di soprannomi nel corso dei suoi diciannove anni di carriera. Oltre a “Dada Maravilha” anche “Beija Fior” (dal nome del noto volatile, per la capacità di rimanere in cielo quando saltava per colpire di testa) e “Peito de Aqo” (Petto d’acciaio).

Dada stupiva in campo a suon di reti e stupiva fuori con le affermazioni stravaganti, entrate nella storia e nel folclore del calcio brasiliano. Non è mai stato un tipo convenzionale né nella vita, dove ha sempre detto ciò che pensava, né in campo, dove segnava gol a raffica con un stile del tutto personale. Uno stile povero di attributi tecnici e di qualsiasi forma d’eleganza. Uno stile sgraziato eppure redditizio. Non sapeva giocare al calcio come intendono in Brasile («Ho segnato talmente tante reti che non ho avuto il tempo di imparare a giocare» dichiarò a carriera finita), ma conosceva a perfezione l’arte del goleador.

Con le sue prodezze ha fatto esplodere suoni e ha acceso colori in tutti gli stadi dove si è esibito, vestendo le maglie di diciassette club. Oltre a quelle del Campo Grande e dell’Atlético Mineiro, Dario ha indossato le divise di Flamengo, Sport Recife, Internacional di Porto Alegre, Ponte Preta, Paysandu, Nautico, Santa Cruz, Bahia, Goiàs, Coritiba, América di Belo Horizonte, Nacional Amazonas, XV Piracicaba, Douradense.

Per capire Dadà Maravilha vale la pena ricorrere a uno dei tanti aneddoti che ne hanno contraddistinto la carriera. Risale all’inizio della sua avventura con l’Atlético Mineiro. Il “Galo” di Belo Horizonte, su precisa richiesta del tecnico Lustrich, stava per dargli il benservito. Ma Dario, che non era ancora Rei Dadà, cambiò la storia della propria vita e in parte anche quella del club, spinto dall’istinto, un po’ folle e irriverente. «Con te non so proprio cosa fare visto che qui non trovi spazio e che nessun club si interessa al tuo cartellino» gli disse Lustrich. Dario fu rapido nella risposta e sfidò il tecnico dicendogli: «Come fa a dirmelo se non mi ha mai messo alla prova? Mi dia una chance, le chiedo di darmi fiducia almeno nella partita di allenamento».

Lustrich, quasi con compassione, accettò, senza sapere a cosa andava incontro. A metà della sfida in famiglia, le riserve conducevano 2-0 sui titolari: doppietta di Dario. Lustrich sgranò gli occhi e gli chiese cosa stava accadendo visto che non lo aveva mai visto giocare così bene. Ma Dario non era soddisfatto e lo sfidò ancora dicendogli che se lo avesse schierato fra i titolari avrebbe capovolto il risultato. Lustrich accettò e i titolari si affermarono 3-2 con altri tre gol di Dario.

Fu l’inizio dell’epopea dell’attaccante con la maglia dell’alvinegro mineiro. Con l’Atlètico vinse due titoli regionali (nel 1970 e nel 1978) e uno nazionale nel 1971, segnando in finale contro il Botafogo e laureandosi capocannoniere con 15 reti, impresa ripetuta nel 1972 con 17 come Pedro Rocha del Sào Paulo. Con l’Internacional di Porto Alegre vinse il titolo gaucho nel 1976, con il Bahia il bahiano nel 1981 e con il Goiàs il goiano nel 1983.

Sempre con l’Internacional vinse nel 1976 un altro titolo nazionale, diventando con 16 reti per la terza volta capocannoniere: un record assoluto nel calcio brasiliano. Inoltre fu il leader dei bomber in altri otto tornei “estaduais” (regionali): quattro con l’Atlético Mineiro, due con lo Sport e uno rispettivamente con Flamengo e Nacional di Manaus.

Anche la sua avventura in nazionale fu alquanto controversa e bizzarra. La leggenda narra che la sua convocazione per Mexico 70, dove peraltro non giocò neppure un minuto, non venne decisa dal Ct Zagallo (all’epoca ancora Zagalo) ma venne piuttosto imposta – o fortemente consigliata – dall’allora presidente della Repubblica Emilio Garrastazu Mèdici, grande estimatore del centravanti. Versione che Dario ha sempre smentito. Malgrado non sia sceso mai in campo. Dada considera la vittoria di quel mondiale (il terzo per il Brasile) come il fiore all’occhiello della propria carriera.

Dario diceva che correva solo per sfinire i suoi marcatori e che soltanto tre cose si fermavano in cielo: l’elicottero, il Beija Fior e lui. Si autocelebrava affermando che con Dada in campo non ci sarebbe mai stato un risultato in bianco. A chi gli chiese quale fosse stato il gol più brutto della carriera rispondeva che non esistevano gol brutti, perché brutto era solo non segnare.

La sua fantasiosa megalomania lo condusse persino a dichiarare che esistevano tre poteri: Dio in cielo, il Papa nel Vaticano e Dada dentro le aree di rigore. Coniava continui slogan e manteneva sempre ciò che prometteva. Alla vigilia di un derby contro il Cruzeiro disse che avrebbe realizzato un «gol olocausto» e in campo segnò dalla linea di fondo. Suo il record di reti in una gara: ben dieci in Sport Recife-Santo Amaro terminata 14-0 il 7 aprile 1976. Complessivamente ha lasciato al calcio brasiliano un bottino di 539 reti, anche se sono state soltanto due, in dodici gare, quelle firmate con la Selecao.

Una volta, dopo che l’Atlético Mineiro passò 4-1 a Porto Alegre sul campo dell’Internacional con tre reti sue, un gruppo di tifosi locali lo attese all’uscita degli spogliatoi per regolare i conti. Ma Dario anche quella volta fu imperturbabile: calmo e sorridente affermò che fare gol era la sua professione, l’unico modo per guadagnarsi il pane quotidiano. Parole che fecero perdere ogni proposito bellicoso alla torcida biancorossa, che fini per applaudirlo e osannarlo.

Appese le scarpette al chiodo, Rei Dada ha tentato la carriera di allenatore ma subito dopo si è dedicato al giornalismo sportivo a Belo Horizonte. Lo stile è sempre il solito, pungente e irriverente. Dada, il re dei gol minori, non dimentica mai di autocelebrarsi. In fondo, si è incoronato da solo e il suo trono non ha mai dato fastidio all’entusiasta tifoseria brasiliana.

Andrea Colacione