Pep Guardiola e Brescia: una storia d’amore decisamente inaspettata. Dal blitz di mercato che lo portò in Lombardia al legame indissolubile con la città, passando per l’amicizia con Baggio e il carisma di Mazzone.
Blitz. Un termine che, altrove, richiama immagini di guerra e distruzione, ma che in Italia ha assunto un significato tutto particolare nel mondo del pallone. È l’arte del colpo a sorpresa, della trattativa segreta conclusa quando nessuno se lo aspetta. I blitz hanno i loro maestri indiscussi: Adriano Galliani del Milan, Luciano Moggi della Juventus, Corrado Ferlaino del Napoli. Virtuosi dell’improvvisazione che hanno trasformato il calciomercato in un’arte delle ombre. I loro colpi di teatro si consumano in hall d’albergo deserte, a bordo di jet privati che atterrano nel cuore della notte, in stanze avvolte dal fumo dove le valigette si aprono al momento giusto per svelare contratti pronti alla firma.
Settembre 2001: il presidente del Brescia Luigi Corioni e il direttore sportivo Gianluca Nani sono in piedi in un aeroporto del Nord Italia. Stanno per imbarcarsi su un volo per Barcellona. I loro planning non ne fanno menzione, nessuno crederebbe ai loro veri intenti. Ma nella città catalana li attende Josep Maria Orobitg, agente di Josep Guardiola, capitano del Barcellona. È l’inizio di uno dei blitz più romantici e improbabili nella storia del calciomercato italiano: portare Pep Guardiola, stella del calcio mondiale, in una piccola squadra di provincia.
Un matrimonio impossibile

Come convincere uno dei migliori centrocampisti al mondo a lasciare il Camp Nou per una squadra che non ha mai alzato un trofeo? Il Brescia del 2001 è una realtà modesta del calcio italiano, una squadra che lotta per la salvezza senza grandi ambizioni. Eppure, il presidente Corioni e il ds Nani hanno un piano audace.
Il primo asso nella manica è la Serie A, all’epoca indiscutibilmente il campionato più prestigioso del pianeta. Guardiola lo sa bene: qualche anno prima, il suo Barcellona era stato umiliato in finale di Champions League dal Milan con un sonoro 4-0. L’Italia è la terra del calcio tattico, della difesa perfetta, del calcio più evoluto. Per un purista del gioco come Pep, è una tentazione irresistibile.
Ma c’è di più: a Brescia gioca Roberto Baggio. Il Divin Codino, il genio ribelle del calcio italiano, il numero 10 che ha fatto sognare una generazione intera. Per qualsiasi calciatore, l’opportunità di giocare al fianco di Baggio è un richiamo impossibile da ignorare. E Guardiola non fa eccezione.
L’incontro con Orobitg, l’agente di Pep, si svolge lontano da occhi indiscreti. Le discussioni sono intense ma costruttive. Quando Guardiola entra nella stanza e stringe la mano a Corioni, il blitz è compiuto: uno dei trasferimenti più sorprendenti della storia del calcio italiano sta per diventare realtà. Il capitano del Barcellona vestirà la maglia del Brescia.
Benvenuto nel caos

Il 26 settembre 2001 segna l’inizio di un’avventura surreale. Guardiola atterra a Brescia indossando una camicia hawaiana e jeans a zampa d’elefante, un look che fa sorridere i suoi nuovi compagni di squadra. Siamo pur sempre in Lombardia, a meno di cento chilometri da Milano, capitale della moda. Nessuno si veste così da anni, e questo è solo il primo segnale di un choc culturale destinato a lasciare il segno.
Il quartier generale del Brescia è un hotel che sembra più adatto a incontri clandestini che alla sede di un club professionistico. Il centro d’allenamento è ancora più spartano: due campi spelacchiati accanto all’albergo, niente di più. È il regno di Carlo Mazzone, allenatore sessantaquattrenne dalla personalità vulcanica, romano doc incapace di esprimersi se non nel dialetto della Capitale.
Mazzone è una leggenda del calcio italiano, l’uomo che ha lanciato Francesco Totti nella Roma e che ha convinto Baggio a venire a Brescia. Durante l’estate ha fatto di tutto per ottenere Federico Giunti dal Milan, promettendogli un posto da titolare. L’arrivo improvviso di Guardiola, di cui non è stato informato, lo mette di fronte a un dilemma morale.
La sera del primo giorno, quando Pep si avvicina per presentarsi, Mazzone va dritto al punto: “Non volevo che venissi“. Parole che colpiscono come un pugno allo stomaco. Quella notte, il catalano consuma la cena in silenzio e poi si ritira in camera per piangere. Un inizio che nessuno avrebbe potuto immaginare per il capitano del Barcellona.
Il derby della follia

Quattro giorni dopo il suo arrivo, il 30 settembre 2001, Guardiola viene presentato ai tifosi in occasione di una partita che è molto più di una semplice sfida di campionato: il derby con l’Atalanta. Le due città, Brescia e Bergamo, sono rivali da quasi mille anni, dal lontano 1156. La parola “derby” quasi non basta a descrivere la tensione che pervade lo stadio Mario Rigamonti.
Pep fa il suo ingresso in campo per il saluto iniziale indossando un curioso gilet beige, poi prende posto in tribuna tra Nani e Corioni. Lo stadio, che potrebbe stare interamente dentro una tribuna del Camp Nou, sembra una struttura precaria pronta a crollare da un momento all’altro. L’atmosfera è carica: fumogeni, cori, una coreografia degna delle grandi occasioni.
La partita è un crescendo di emozioni: Baggio porta in vantaggio il Brescia, l’Atalanta ribalta il risultato segnando tre gol prima dell’intervallo. I tifosi bergamaschi provocano Mazzone con canti offensivi verso sua madre. L’allenatore risponde con una promessa che entrerà nella storia: “Se pareggiamo, vengo sotto la vostra curva.”
Al 92′, quando Baggio realizza il 3-3 su punizione, Mazzone mantiene la parola: parte come un razzo verso la curva ospite, ignorando chi cerca di trattenerlo. Insulta in romano tutti i bergamaschi, viene espulso, alza le mani al cielo come un bandito che si arrende, mentre lo stadio lo acclama come un eroe. A fine partita, un Guardiola incredulo si gira verso Nani con due domande: “Qui sono tutti così pazzi? Mazzone è sempre così?“
L’idillio interrotto

Le settimane successive trasformano radicalmente il clima. Mazzone, conquistato dal talento e dalla personalità di Guardiola, fa pubblica ammenda davanti alla squadra: “Ho voluto Giunti, ma come posso non far giocare uno così forte?” È l’inizio di una metamorfosi che vede il catalano diventare rapidamente un punto di riferimento per l’intero gruppo.
Per i giovani del Brescia, Pep diventa un fratello maggiore che dispensa perle di saggezza calcistica: “Non sei tu che devi sudare, è la palla“, una di quelle frasi che un calciatore si porta dietro per tutta la carriera.
Sul campo, Guardiola è esattamente ciò che tutti speravano. La sua visione di gioco, i passaggi corti, il carisma tranquillo trasformano il Brescia in una squadra che gioca un calcio di qualità e ottiene risultati sorprendenti. Quando Baggio è costretto a fermarsi per i problemi ai ginocchi, è Pep a indossare la fascia da capitano.
Ma il 4 novembre 2001, dopo una sconfitta contro la Lazio all’Olimpico, arriva la notizia che spezza l’incantesimo: Guardiola viene trovato positivo alla nandrolone. Non è la prima volta: due settimane prima, lo stesso risultato era emerso dopo una partita contro il Piacenza. Il tasso nel sangue è di nove nanogrammi, ben oltre i due consentiti.
Inizia una battaglia legale fatta di contro-analisi non riconosciute e incomprensioni. Guardiola viene squalificato per quattro mesi. Solo otto anni dopo verrà completamente scagionato, ma ormai il danno è fatto: il sogno bresciano si è trasformato in un incubo.
Il ritorno e l’eredità

Dopo la squalifica, Guardiola cerca nuovi stimoli alla Roma, sognando un ritorno in Champions League. Ma nella capitale nulla va come previsto: Capello lo ignora, il catalano si sente fuori posto. A dicembre 2003, dopo soli quattro match disputati, ecco un nuovo blitz: Corioni, spinto da Mazzone e Baggio, riporta Pep a Brescia.
Questa seconda avventura è breve ma intensa. La coppia Guardiola-Baggio torna a incantare: dei 15 match giocati insieme, ne perdono solo due. Uno contro l’Inter all’ultimo secondo, l’altro contro la Juventus a tre minuti dalla fine. Numeri che raccontano una storia di calcio puro, di intesa perfetta tra due geni del pallone.
Ma non sono solo le statistiche a renderla speciale. È il modo in cui Guardiola si integra nella vita della città: le cene all’Osteria dell’Orologio sul lago di Garda, le pizze alla Piedigrotta di fronte allo stadio, le passeggiate nel centro storico dove può muoversi liberamente, senza l’assedio dei tifosi. Brescia gli offre quello che Barcellona non ha mai potuto dargli: la normalità.
Nell’estate 2003, Pep parte per il Qatar. L’anno successivo, il 16 maggio 2004, Baggio si ritira a San Siro tra gli applausi di tutto lo stadio. È la fine di un’epoca irripetibile. Ma l’eredità di quel periodo rimane viva: Guardiola, diventato il più grande allenatore del mondo, continua a citare Brescia come il momento più felice della sua carriera. Nel 2023, alla morte di Mazzone, si presenta in conferenza stampa con una t-shirt che immortala la corsa del mister sotto la curva dell’Atalanta. Un omaggio che dimostra come certi legami non si spezzano mai.
Il sogno impossibile

Oggi i protagonisti di quell’epoca d’oro non ci sono più: Corioni è scomparso nel 2016, Mazzone nel 2023. Il club lombardo vive ormai di ricordi e di un presente fatto di anonime stagioni in Serie B.
Eppure, nei bar del centro storico, tra un bicchiere di Franciacorta e un tagliere di salumi, continua a circolare una domanda: “E se un giorno Guardiola tornasse ad allenare il Brescia?” Un’utopia, certo. Stipendio, strutture, ambizioni: nessun tassello del puzzle potrebbe combaciare. Ma il solo fatto che questa domanda continui a esistere racconta molto del legame speciale tra Pep e la città.
Lo stesso Guardiola gioca con questa idea. Non perché ci creda davvero, ma perché rappresenta un’alternativa romantica al calcio dei petrodollari che oggi lo circonda. Quando torna a Brescia – e lo fa regolarmente – mangia nei suoi ristoranti preferiti, saluta vecchi amici, si muove come uno del posto. Nessuno lo disturba, tutti lo rispettano: fa parte della famiglia.
È una storia che parla di calcio ma soprattutto di autenticità. Di come Brescia abbia permesso a uno dei più grandi campioni di riscoprire l’essenza più pura del gioco: amicizia, passione, libertà. Valori che Guardiola, diventato il più vincente allenatore della storia, porta ancora con sé. Il “sogno impossibile” di un suo ritorno è forse l’ultimo romanticismo rimasto in un calcio che ha smesso di sognare.