DE SISTI Giancarlo: Picchio per sempre

Simbolo di un calcio pragmatico, ha fatto delle sue giocate geometriche la dote migliore. Ha debuttato nel 1961 con la Roma, per poi passare alla Fiorentina, dove ha vinto uno scudetto. Con la maglia azzurra è stato campione d’Europa e vicecampione del Mondo

E’ giusto raccontare della mirabolante carriera agonistica di Picchio De Sisti, 19 anni e 478 partite in Serie A, sempre all’insegna della classe e della discrezione, ragazzo prodigio della Roma e poi uomo-scudetto della Fiorentina, regista della Nazionale campione d’Europa 1968 e vicecampione del mondo 1970, una Nazionale che aveva bizzosi ed epocali fuoriclasse come Rivera e Mazzola, nonché insuperati cannonieri come Gigi Riva, ma che solo al piccolo, inappuntabile geometra del suo centrocampo concedeva le chiavi del gioco.

È giusto, perché De Sisti è stato uno dei grandi del nostro dopoguerra calcistico. Perchè, oltre che giocatore di altissima categoria, è stato anche l’allenatore che ha portato la Fiorentina a sfiorare lo scudetto ’82, alla sua primissima esperienza in panchina, e avrebbe probabilmente dato una svolta importante alla società viola senza un brutale intervento del destino. E dunque andiamo a condensare la Picchio-story.

Giancarlo De Sisti nasce a Roma il 13 marzo 1943. Quando comincia a tirare i primi calci, la capitale è molto diversa da oggi, più tranquilla, più borghese. Non sono ancora cominciati i grandi lavori per le Olimpiadi del Sessanta, i ragazzi giocano nelle borgate. Si fa luce nella squadra della parrocchia, il suo idolo è Bronée, un danese di classe purissima, passato dal Palermo alla Roma. La famiglia è tutta romanista, un amico del padre lo porta un giorno a fare un provino per la Roma, Giancarlo entra nelle giovanili giallorosse. Diventa presto «Picchio», per il suo moto perpetuo. Picchio, a Roma, è la trottola di legno, messa in movimento da uno spago che le è avvolto attorno. E come una trottola, incessantemente su e giù per il campo, si muove col pallone il giovane De Sisti.

La Roma vive giorni romantici, poca organizzazione, alti e bassi, entusiasmi e delusioni. Ruotano presidenti e allenatori. A diciott’anni, De Sisti entra nell’ambito della prima squadra, ma balbetta quando deve rivolgersi al grande Schiaffino. «Un personaggio formidabile. Arrivava al campo e si metteva a lavare la sua Seicento. Tutti scherzavano sulla sua tirchieria, ma lui diceva: ragazzo, la fortuna può girare, bisogna essere pronti ad affrontare anche i momenti bui».

Alfredo Foni, l’ex campione del mondo del ’38, è il tecnico che lo fa debuttare in Serie A, il 12 febbraio 1961, non ancora diciottenne. UdineseRoma 2-1, la critica stronca il ragazzino. È il solo italiano in un attacco formato tutto da grandi nomi stranieri. Picchio non si perde d’animo, la sua qualità di paziente costruttore di gioco emerge gradualmente. De Sisti diventa un punto fermo attorno al quale il presidente Marini Dettina vuole costruire la grande Roma da scudetto.

Arrivano altri tecnici, Carniglia, Lorenzo, Mirò. Picchio ricorda Lorenzo: «Mi diceva: ragazzo, di quello che ti dico taglia sempre il cinquanta per cento». E Carniglia: «Faceva giocare la squadra come anni dopo inventarono gli olandesi».

Nella seconda stagione di Serie A arriva il primo gol, proprio alla Fiorentina e serve a tarpare le ali alla squadra viola in lizza per il primato. Ma i sogni della Roma si infrangono presto. Marini Dettina fallisce, Lorenzo porta la squadra sul palcoscenico del Sistina per avviare una colletta popolare, il solo modo di racimolare i soldi per tirare avanti.

Così Evangelisti, subentrato a Marini Dettina, non può sottilizzare quando il presidente della Fiorentina Baglini si dichiara disposto a tutto per avere De Sisti, uno dei giovani più promettenti del calcio italiano.

Nello Baglini è un pisano che ha fatto fortuna a Milano con gli inchiostri da stampa. Ha rilevato una Fiorentina piena di debiti e ha cominciato subito a risanarla, puntando risolutamente sui giovani. Il suo programma è: un solo acquisto all’anno, ma determinante. E il primo nome della lista è Picchio De Sisti. Evangelisti spara grosso: 250 milioni, per un ragazzo di ventidue anni, un’enormità. Siamo nell’estate 1965.

Roma insorge. Antonio Ghirelli, direttore del Corriere dello Sport, raccoglie e infiamma la rivolta dei tifosi. Ma Evangelisti tiene duro, il bilancio prima di tutto. Giancarlo riceve la notizia della cessione mentre è al Car, allora non c’era la firma contestuale. È un colpo mancino, Roma non si lascia a cuor leggero. E malgrado cinque anni di serie A, è ancora legatissimo alla famiglia e il distacco gli sembra insopportabile.

Baglini gli spiega i suoi piani. Gli dice che non avrebbe speso quei soldi per nessun altro. Perché di talenti e di solisti in giro ce ne sono tanti, ma di un giocatore giovane, capace di incollarsi intorno la squadra e di guidarla con mano sicura, ce n’è uno solo in giro ed è lui. De Sisti.

Picchio si cala stupendamente nella parte. Comanda senza darlo a vedere. La sua apparente mansuetudine, la sua discrezione proverbiale, nascondono in effetti una leadership assoluta e incontrastata. La Fiorentina gli nasce intorno e caratteri difficili, come il brasiliano Amarildo, l’altro romano Claudio Merlo, l’incontenibile Chiarugi, trovano nella granitica serenità di Picchio un argine invalicabile.

Quando a Firenze approda uno scaltro uomo di calcio come Bruno Pesaola, è subito scudetto. La stagione 1968-69 esalta una Fiorentina compatta, intelligente, non la più dilagante, ma la più equilibrata squadra del torneo. L’equilibrio di De Sisti.

Intanto è arrivata anche la consacrazione azzurra, auspice Ferruccio Valcareggi, grande estimatore di Picchio, da lui già chiamato nella rappresentativa B e nella Giovanile ai tempi della Roma. De Sisti diventa un punto fermo della squadra che nel giro di due anni raccoglie i primi grandi allori del dopoguerra, campione d’Europa e vicecampione del mondo. Rivera e Mazzola sono obbligati alla staffetta, ma nessuno contesta il diritto al ruolo di Picchio De Sisti, l’ago della bilancia, l’insostituibile architetto del gioco.

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Si è scritto che senza De Sisti non sarebbe mai nata la Fiorentina scudetto, né la Nazionale di quei trionfi: ed è probabilmente vero. Perché grandi talenti ce n’erano stati anche prima, ma nessuno era riuscito a fonderli e a sintonizzarli in modo così perfetto come quel silenzioso, diligente costruttore di equilibri.

Alla Fiorentina vive lunghi anni felici. In Nazionale chiude il suo ciclo con la partita che sancisce la dolorosa eliminazione dagli Europei 1972, l’1-2 in Belgio. È già pronto il suo sostituto in cabina di regia, Fabio Capello. Picchio ha giocato ventinove partite, segnato quattro gol, non pochi, considerati il ruolo e la compagnia.

Quando alla squadra viola arriva un giovane e ambizioso tecnico emergente, Gigi Radice, per De Sisti la vita si fa dura. C’è un nuovo astro che sta conquistando la piazza, si chiama anche lui Giancarlo, Antognoni. Radice non ama i giocatori simbolo, con un forte potere sulla squadra. Emargina progressivamente De Sisti. Racconta Giancarlo: «Per la prima volta fui tentato di far polemica, perché stavo fuori e io sapevo di poter essere ancora utile. Ma Radice aveva le sue idee e il diritto di scegliere. Perciò stetti zitto».

Giancarlo De Sisti – Roma

Alla fine della stagione 1973-74, onorata con sole diciannove presenze, De Sisti lascia la Fiorentina e torna a Roma. Sembra arrivato al capolinea, invece nel campionato successivo la Roma trascinata da De Sisti arriva terza, a stretto contatto di Juve e Napoli, mentre la Fiorentina, orfana del fosforo di Picchio, precipita al nono posto. È una delle sue tante, silenziose, rivincite.

Alla Roma gioca altri cinque campionati ad altissimo livello, i primi anni con Liedholm allenatore. Nils e Picchio si capiscono con un’occhiata. Poi arriva Giagnoni, è un altro calcio e cominciano le critiche. «Quando sbagli una partita a vent’anni dicono che sei fuori forma, ma se la sbagli a trentacinque scrivono che sei finito. Magari non è vero niente, ma poi ti passa anche la voglia di contraddire tutti».

Decide di lasciare proprio quando la Roma riprende Liedholm, che invano tenta di convincerlo a ripensarci. Su De Sisti cala un momento di silenzio, sin quando, siamo nel gennaio del 1981, la Fiorentina gli affida la panchina con un colpo di teatro. La società viola è passata ai Pontello, grandi programmi, grandi investimenti, ma risultati terra terra. Cosi, dopo una sconfitta ad Ascoli che fa precipitare la squadra in zona retrocessione, i Pontello licenziano Carosi e, su suggerimento di Tito Corsi, decidono di offrire alla piazza un personaggio amato e rimpianto. De Sisti non ha retroterra, arriva e debutta con una sconfitta interna di fronte alla Juve, ma poi infila una portentosa serie positiva e conduce la squadra al quinto posto finale, avendola ereditata terzultima.

L’anno dopo, pur dovendo rinunciare ad Antognoni per il terrificante impatto col portiere del Genoa Martina, la Fiorentina sfiora lo scudetto. Alla penultima giornata è prima, in parità con la Juve. Negli ultimi novanta minuti, la Juventus vince a Catanzaro con un rigore di Brady, i viola pareggiano a Cagliari, malgrado un palo di Graziani.

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De Sisti è sulla cresta dell’onda, ma nell’estate dell’84 è colto da malore alla vigilia di una partita di Coppa Italia a Pescara. La corsa all’ospedale di Ancona, l’intervento chirurgico alla testa in piena notte. È salvo per miracolo, dopo aver tenuto tutti col fiato sospeso. Senza di lui la Fiorentina annaspa, imprudentemente Picchio anticipa il suo ritorno in panchina e lo paga con un esonero che gronda ingratitudine.

Sarà soltanto il primo di una serie. Sembra ritrovare la sua vera dimensione quando entra nello staff azzurro. Preso a pesci in faccia anche lì. Dimostra la sua correttezza guidando al titolo mondiale la Nazionale militare, con il benservito già in tasca. Rozzi lo chiama all’Ascoli, Picchio accetta senza considerare l’assoluta mancanza di competitività della squadra. Gli mettono una bomba sotto casa e poi gliene fanno una colpa: troppo impressionabile.

Forse per il nostro calcio, Picchio è stata una persona troppo per bene. Valeva assolutamente la pena ricordarlo: per il grande e sottovalutato giocatore che è stato è una piccola, doverosa, riparazione.

Giancarlo De Sisti – Italia