DE VECCHI Renzo: il Figlio di Dio

La storia del primo eroe del football italiano

Renzo De Vecchi nacque il 3 febbraio 1894. Fu ben presto attratto dalla passione paterna per il gioco del calcio e per il Milan in particolare. Iniziò prestissimo a giocare con i boys del Pro-Monforte (piccola squadra di rione) sulla «pelouse» (definizione del tempo per indicare il terreno di gioco) dell’Acquabella, l’ex campo del Milan. Papà Enrico, accanito tifoso rossonero, intuite le spiccate doti calcistiche del figlio, accollandosi le onerose (per quel tempo) quote sociali, lo iscrisse nel 1908 nei ranghi del Milan Football and Cricket Club.

La prima gara ufficiale disputata dal quindicenne Renzo, nel ruolo di mezzo sinistro (solo successivamente si trasformò in terzino), si svolse il 10 gennaio del 1909 sul campo del Milan di Via Fratelli Bronzetti, in un incontro vinto dalla seconda squadra rossonera sui coetanei dell’Internazionale per 6-0. L’esordio in campionato si verificò il 14 novembre 1909 in occasione di un acceso derby contro l’Ausonia, vinto dal Milan per 2-1.

Il giovanissimo De Vecchi divenne ben presto la bandiera della squadra, entrando nella mitologia sportiva con il nome di battaglia «Il figlio di Dio» (appellativo coniato da un dirigente rossonero: «ma quel li l’è el fieù del Signur»).

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1908, esordio di Renzo De Vecchi con il Milan, sul campo di Via fratelli Bronzetti, a Milano. Con lui Edoardo Mariani, Achille Brioschi, Lorenzo Gaslini, Giannino Camperio e Damaso (Magliarossonera.it – Archivio Luigi La Rocca)

Il 26 maggio 1910, esordi in maglia azzurra all’incredibile età di 16 anni 3 mesi e 23 giorni (record assoluto) in sostituzione dell’infortunato Cevenini I. Lo stesso De Vecchi ricordava di aver partecipato alla prima trasferta all’estero della Nazionale Italiana, in terra di Ungheria, indossando ancora i calzoncini corti tra tanti baffuti e nerboruti compagni. Con la maglia azzurra De Vecchi disputò 47 incontri, dei quali 4 non ufficiali, realizzando una sola rete su calcio di rigore, partecipando a tre Olimpiadi: Stoccolma (1912), Anversa (1920) e Parigi (1924). Le presenze in Nazionale sarebbero, certamente, state molte di più se non si fosse verificata l’interruzione bellica.

Sarebbe inutile elencare tutte le imprese del «Figlio di Dio» in maglia azzurra, ricordiamo soltanto la sua ultima apparizione nel 1925, quando capitanò i suoi compagni contro la Francia in una clamorosa vittoria per 7-0.

In un Milan così allo sbando, privo di qualsiasi ambizione di primato, con compagni di mediocre valore, a esclusione del centrattacco belga Louis Van Hege, non c’erano molte prospettive per un campione di tale levatura. Infatti, alla fine del campionato 1912-13, anche attraverso l’opera di convincimento dell’ex-compagno Dino Mariani, passato nel frattempo nei ranghi del Genoa, Renzo accettò, seppur a malincuore, il trasferimento in riviera.

De Vecchi lasciava il Milan anche per un puntiglioso risentimento nei confronti della dirigenza che aveva ripreso in squadra Attilio Trerè, nel quale vedeva un rivale non gradito, nonché per l’allettante prospettiva di un impiego ben retribuito presso la Banca Commerciale di Genova in contrasto con le modeste proposte della Pirelli. In rossonero rimase il cugino Carlo (nato nel 1895), che fece qualche apparizione con i titolari l’anno seguente, prima di trasferirsi anch’esso al Grifone di Genova (società satellite del Genoa). 

Tra i rossoblù genovesi incontrò il suo secondo maestro, che ne affinò la tecnica e il carattere: l’allenatore inglese Williams Garbutt (Mister Pipetta). Dopo un primo campionato di assestamento, nel 1914-15 il Genoa stava conducendo il torneo finale con due punti di vantaggio a una giornata dalla conclusione, quando l’Italia entrò in Guerra.

Ogni attività sportiva venne sospesa e molti atleti furono chiamati alle armi. Il titolo di campione nazionale venne successivamente assegnato ai genoani, creando un certo malumore nei rivali torinisti e interisti. De Vecchi, arruolato nel frattempo in fanteria nei pressi di Brescia (dove disputò alcuni incontri con la maglia delle Rondinelle), poteva pertanto gioire per la sua prima importante conquista.

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1/1/1923: Italia-Germania 3-1. Da sx Barbieri, Bergamino, Garbutt, Burlando, Santamaria, De Vecchi

Conclusasi la parentesi bellica, negli anni Venti, Renzo vinse, sempre con il Genoa, due altri campionati che vanno ricordati per alcune curiosità. Il primo (1922-23) venne concluso senza alcuna sconfitta (record eguagliato dal Milan nel campionato 1991-92) e il secondo (1923-24, ultimo titolo dei rossoblù) che comportò l’assegnazione per la prima volta dello scudetto, da apporsi sulle maglie, in sostituzione della medaglia del re.

Nella stagione ’26-27, partito Garbutt per altri lidi, De Vecchi assunse la carica di giocatore-allenatore che mantenne per tre anni, per diventare poi nel ’29-30 (nascita del girone unico) solo allenatore. Quest’ultimo campionato passò alla storia per il «gran rifiuto» di Felice Levratto. Il Genoa, con De Vecchi in panchina, era in lotta contro l’Ambrosiana di Meazza per la conquista del decimo scudetto. A tre giornate dal termine, i rossoblù, staccati di due punti, si recarono a Milano intenzionati a fare un boccone solo dei rivali.

L’avvio fu sfolgorante, tanto che i genovesi terminarono il primo tempo in vantaggio per 3-2. Nella ripresa Meazza si incaricò di persona di portare in parità il confronto, quando a pochi minuti dal termine venne assegnato un calcio di rigore al Genoa ridotto in nove giocatori (contro i dieci dei nerazzurri). Levratto, fromboliere principe della squadra e rigorista ufficiale, si rifiutò di calciare la massima punizione affidandola al compagno Banchero, che la fallì. Nel drammatico frangente l’allenatore non era stato in grado di imporre la propria personalità; sfumavano così la possibilità di vincere il decimo titolo della storia rossoblù nonché la carriera sportiva ai massimi livelli dello stesso De Vecchi.

Dopo una parentesi come allenatore alla Ruentes di Rapallo, Renzo tornò, nel ’34-35, a sedersi sulla panchina genoana contribuendo alla risalita in Serie A del vecchio Grifone. Un gustoso aneddoto contrassegna quest’ultima esperienza professionale di Renzo De Vecchi. In occasione della trasferta a Pisa, società rivale per la promozione, l’allenatore non fu visto rientrare in campo all’inizio del secondo tempo. Si narra che alcuni energumeni, in ossequio all’epoca fascista, lo abbiano segregato negli spogliatoi spaventati dal carisma di tale personaggio (per la cronaca la partita terminò in parità 0-0) con la speranza di veder vittoriosa la propria squadra. 

Dopo quasi trent’anni di intensa attività, si concludeva pertanto in gloria la carriera sportiva di Renzo De Vecchi, il quale successivamente rifiutò altri incarichi, preferendo legare il proprio nome indissolubilmente a due sole società: il Milan e il Genoa.

Terminata la carriera calcistica, De Vecchi diventò collaboratore de «Il Calcio Illustrato». Tramite il suo «Osservatorio» dimostrò la propria competenza calcistica con fondi di squisito giornalismo. Riprendendo un’idea di Baccani e Barlassina (due ex arbitri), assieme a Leone Boccali, promosse nel 1939 l’uscita dell’«Almanacco Illustrato del Calcio», vero vademecum dei calciofili, nonché preziosissimo libro da collezione. 

Il mito del «Figlio di Dio» si spegneva nella sua Milano il 14 maggio 1967 per riposare accanto all’amata moglie Eva nel cimitero di Vercurago (BG), cittadina sul lago di Lecco.