DIRCEU: lo zingaro del gol

Una storia di pallone, di applausi, di miliardi, una catena di successi quasi inimitabile


Dirceu José Guimaraes nasce a Curitiba, città del Paranà, il 15 giugno del 1952. Suo padre ha il pallone nel sangue e di nome fa José Ribero Guimaraes, operaio, e sposato ad una giovane molto avvenente, Diva Delfina. Dirceu é un bambino dai capelli chiari, un po’ gracile e vivacissimo. José Ribeiro lavora in una conceria e gioca da terzino. È un difensore che riesce farsi apprezzare tra i dilettanti ma gli manca il tocco di classe necessario per emergere in un Brasile ricco di talenti calcistici. Il matrimonio é felice. Due anni dopo Dirceu arriva in casa Guimaraes anche il fratello Darci e successivamente le sorelline Dirce e Dirci anch’esse piuttosto vivaci. La famiglia è numerosa e papà José Ribeiro deve lavorare duramente per crescere bene i figli, per istruirli come si deve.

Dirceu é ancora traballante sulle gambe quando inizia a giocare con una palla. È portato al calcio e lo si vede dai primi tocchi. Il papà lo osserva ammirato e orgoglioso. Non impreca se quel figlio, dal viso minuto, dai capelli lunghissimi, frantuma vetri, sporca le pareti, sfascia le scarpe. La madre è invece meno tollerante e lo sgrida in continuazione. La palla infrange specchi e suppellettili e mamma Diva Delfina va su tutte le furie.
Il pallone mi procurava molta gioia – racconta Dirceu. – Vivevo di pane e pallone. Se non avessi avuto paura di buscarle mi sarei messo a giocare anche in chiesa. Mi divertivo a palleggiare per interminabili ore. Usavo anche la cabeza, la testa“. Il padre è convinto, convintissimo, ci scommetterebbe sopra tutti i risparmi, che quel figlio può riscattare i suoi insuccessi calcistici. José Ribeiro Guimaraes evita di fumare, non si concede neppure un drink per risparmiare i soldi coi quali comprare scarpe e magliette a Dirceu che è uno studente puntiglioso, portato alle materie scientifiche.

La madre apre un bar in cui si serve l’aguardente, la cachaca: un liquore chiaro fortissimo chiamato anche il “brandy dei poveri”, distillato sin dall’epoca coloniale. Dirceu, anche se ha solo dieci anni, aiuta la madre nel bar e sta alla cassa. Accanto al bar c’è un piccolo campo di calcio sul quale si allena assieme a tutti i ragazzini del quartiere. Gioca con la maglia n. 10 nella squadra dell’Internazionale, partecipa a tornei quadrangolari, organizzati dal padre, attivissimo. José Ribeiro fa tutto da solo: il segretario, l’allenatore, il magazziniere, il calzolaio, organizza gli incontri, acquista i trofei, affigge i manifesti.
Giocavo anche quattro partite in un giorno. Match di 35 minuti l’uno. Indossavo la maglia n. 10, la mia preferita. Con il sinistro, molto forte, segnavo gol a grappoli. Devo ammettere che ero popolare ed avevo un mio pubblico”.

Dirceu ha grandi riserve di energie. Corre in continuazione, il dribbling è efficace e già nel 1965, a tredici anni, entra a far parte delle squadre giovanili del Curitiba, formazione che milita in serie A.
Per due anni ho giocato nelle formazioni del Coritiba. Ero impiegato all’ala sinistra con la maglia n. 11, un centrocampista con le possibilità di puntare a rete da più posizioni. Benché giovane venivo utilizzato in formazioni in cui c’erano molti perticoni, ragazzi più vecchi, più robusti, lo ero astuto, m’ingegnavo. Riuscivo a farmi largo, a tirare a rete col sinistro. I miei compagni mi volevano bene, gli avversari mi temevano. Ero proprio una ‘formiga’ attivissima e produttiva“. Nel 1967 Dirceu conquista il suo primo titolo nelle squadre giovanili del Coritibaseguito nei due anni successivi da altrwettanti secondi posti. Nel frattempo prosegue gli studi di ragioneria. Gioca al pallone, aiuta la madre nel bar, scrive anche poesie.

Nel 1970, a 18 anni, Dirceu parte militare. É aggregato ad un reggimento di fanteria e partecipa ai campionati militari nei 1.000, 5.000, 10.000 metri stabilendo il record nei 1.000 metri. Prende la patente e diventa anche autista di fiducia del generale, comandante del reggimento. Guida e si allena quattro ore al giorno (oltre a corteggiare la figlia del generale…). Non beve, non fuma, si concede solo qualche Coca Cola. É allergico alle divise ma non reclama.
Nel 1972 partecipo alle Olimpiadi di Monaco e segno quattro gol. Nel 1973 mi trasferisco al Botafogo, a Rio De Janeiro. Il 15 giugno 1973, giorno del mio compleanno, prendo parte con la nazionale del Brasile al match contro la Germania, a Berlino. Un incontro di grande importanza seguito con molta ansia dai tifosi brasiliani. Quella partita rappresenta il più bel ricordo della mia vita. Il Brasile sconfigge la Germania per 1 a 0 con un mio gol, segnato di destro, da una trentina di metri. Un bolide che sorprende il grande Maier e permette al Brasile di conquistare la prestigiosa vittoria. Quel giorno compivo ventun anni, sufficienti per comprendere che il giorno della nascita aveva influssi decivisi sulla mia vita. Poi il Brasile lascia Berlino per compiere una tournée in Europa. Gioco anche in Italia e vengo sconfitto dagli azzurri per 2 a 0. Al rientro con la nazionale a Rio De Janeiro, sono accolto da uno stuolo di amici, di ammiratori, un piccolo esercito che mi stordisce con canti e musiche. All’aeroporto incontro Vania, la donna che doveva divenire mia moglie. Era bella e mi guardava con commozione. Mi ricordo che l’ho salutata distrattamente, frastornato dai festeggiamenti”.

Nel Botafogo resta tre anni. Indossa la maglia n. 11. Dorme in camera con Jairzinho, indimentacabile ala destra della nazionale.
Jairzinho è stato il mio maestro, era un amico, mi voleva bene. Un grosso talento. Mi ha insegnato certe astuzie calcistiche che in futuro mi sono state di grande utilità. Mi ha fatto capire l’importanza del dribbling, della finta, del passaggio di prima. Mi ha messo in testa la necessita di sviluppare un gioco veloce, facendo correre la palla seguendo la ragione, la logica del gioco. Un attaccante eccezionale, di grande fantasia, un po’ matto. Quand’era in giornata non c’erano ostacoli“.

Nel 1974 Dirceu partecipa ai campionati mondiali in Germania. È l’anno in cui il Brasile viene superato in semifinale dall’Olanda di Cruijff e di Krol.
A Monaco eravamo i mostri sacri. Lo si poteva avvertire da come la gente ci guardava, la maglia gialla faceva un grande effetto su tutti. Ci portarono a Dortmund a giocare contro l’Olanda dopo una preparazione massacrante. Ricordo come fosse oggi i tanti medici al seguito, i test psico-fisici, sembrava quasi che noi fossimo i nordici. E gli olandesi intanto… lasciamo perdere gli olandesi… se la spassavano, arrivarono con mogli e lattine di birra e la sera li trovavi sempre fuori. Sembravano brasiliani. Ci misero a giocare in un campo strettissimo, adatto al loro pressing e perdemmo. Anche il loro tifo in un catino così piccolo faceva paura. Sono sicuro che da noi li avremmo travolti, in un campo normale avrebbero finito la partita sfiatati. Dopo la partita mi misi a piangere, ci avevano abituato a considerarci i più forti, non sapevo accettare l’idea contraria. Pensavo ai milioni di brasiliani che avevo deluso, a quelli della mia città… Poi capii. Il Brasile che avevamo in testa noi non esisteva più. Era scomparso nel ’70, per sempre. Ora il calcio era diventato un’altra cosa: tantissimo agonismo, meno tecnica, meno fenomeni; era un calcio nato per distruggere, non per costruire. E per gente come noi, abituata a far correre la palla, non c’era più tanto spazio. Se facevi un bello stop di petto ora ti erano addosso in quattro, subivi raddoppi…

Nel 1975 si laurea campione nazionale nelle file del Botafogo. Nel 1976, passa al Fluminense, assieme a Rivellino, Edinho, Carlos Alberto. Nel Flu ci sono quasi tutti i giocatori della nazionale brasiliana e la vittoria in campionato non può sfuggire ad una squadra di tutte stelle. L’anno successivo Dirceu si trasferisce al Vasco De Gama e il Vasco si laurea campione nazionale. Con lui giocano Roberto “dinaminte” Orlando ed altri campioni: “I risultati raggiunti dalle squadre che mi ingaggiano mi convicono di essere un grosso portafortuna. Mi ritengo un giocatore-vincente. Molte feste vengono date in mio onore. La stampa brasiliana mi dedica ampi servizi“.

Si fidanza con Vania, che abita in un appartamento a Copacabana, la famosa spiaggia di Rio De Janeiro. Appena può, Dirceu è a fianco della sua ragazza. Gli impegni sono molti ma il tempo per coronare il matrimonio si trova nel 1977. L’anno più fortunato per Dirceu, il più bello, è però il 1978. Partecipa ai mondiali in Argentina e segna il gol importante, proprio contro Zoff: è il gol che vale il terzo posto. La stampa specializzata lo giudica uno dei tre più forti giocatori del mondo, con Kempes e Krol. Il 15 giugno 1978 nasce il figlio, e Dirceu lo chiama come lui: Dirceu José. Il giorno in cui diviene papà è impegnato contro il Perù, e segna due gol molto spettacolari. Al suo ritorno in albergo apprende d’essere padre; glielo annuncia Vania al telefono: “Vania mi raccontava che il figlio aveva i capelli neri e gli occhi color nocciola, ed a me scendevano le lacrime. Ero contento, emozionatissimo

“Mi reputavo un uomo fortunato. Ero divenuto uno dei giocatori più famosi del Brasile. Per di più ero padre, felice da non star più nella pelle. Sentivo attorno a me aumentare il tifo, la passione calcistica. Ero inciucchito dai lunghi festeggiamenti. La celebrità mi rendeva orgoglioso, però mi procurava anche dei fastidi. Purtuttavia in mezzo alla folla mi sentivo bene, sempre disponibile ad accontentare chi voleva da me un autografo, un sorriso, un segno di amicizia“.

Nel 1978 il Vasco De Gama cede Dirceu all’América di Città del Messico, una società sponsorizzata dalla più importante rete televisiva messicana: la Televisa. I giocatori sono molto ben pagati. L’América versa al Vasco De Gama 600.000 dollari e a Dirceu spetta il 15 per cento della cifra. Con questi soldi acquista il campo da gioco in cui ha mosso i primi passi, a Curitiba, e vi costruisce cinque palazzine. Una la tiene per sé e le altre le regala al padre, al fratello, alle sorelle.

Il tempo è ormai maturo per tentare anche l’avventura europea. Lo ingaggia l’Atletico di Madrid, con un contratto triennale dal 1979 all’82. Lo seguono anche Vania, il figlioletto, il suocero, il genero e saltuariamente la mamma e il papà.
L’ultima stagione in Spagna é stata molto sfortunata. Sono stato operato di tonsille ed ho riportato l’unico incidente muscolare della mia lunga carriera di calciatore: uno stiramento ai gemelli. Scaduto il contratto con l’Atletico ho ricevuto numerose offerte, dal Palmeiras, dal Vasco De Gama, dal Portogallo, dal Paris Saint Germain. Le ho rifiutate per disputare il mio terzo mondiale con il Brasile. Avevo fatto un programma in previsione della vittoria del Brasile, convinto soprattutto che il mio prezzo sarebbe salito molto se il Brasile avesse conquistato il titolo al mondiale. Tele Santana aveva modificato un po’ il mio ruolo, convergevo di più al centro. In pratica però sono stato sempre in panchina. Qualcuno, anzi molti, ci davano per favoriti. Questo ci ha pesato, anche perchè avevamo perso la voglia di vincere, al contrario dell’ Italia. Non avevamo più nè la sicurezza dei forti, nè la forza dei deboli. Eravamo qualcosa a metà strada e non è bastato, anche se tra noi c’era un buon affiatamento e nessuna polemica. Nessuno riesce a capire come l’Italia abbia potuto vincere, eppure veniva da una prima fase non bella, eppure era dilaniata dalle critiche. Ancor oggi il Brasile non vuole capire. La Spagna è rimasta un tabù”.

“Prima del mondiale mi aveva avvicinato Colombo, manager di Falcao, per chiedermi se ero disposto a trasferirmi alla società romana. Io chiedevo un contratto triennale; la Roma mi offriva un buon guadagno, ma solo per un anno. Finito il mondiale giudico l’Italia la vetrina del calcio ed opto per l’Italia. Pero il mercato era chiuso e potevo trasferirmi solo ad una società neo-promossa: il Verona”.

Con la squadra di Bagnoli gioca una discreta annata che gli vale per l’anno successivo l’ingaggio al Napoli dove mette in luce le sue formidabili doti calcistiche nonostante una delle annate più sfortunate della squadra partenopea che riesce a salvarsi solo alla penultima giornata. Con l’arrivo di Diego Armando Maradona, Dirceu si vide costretto a lasciare Napoli e si accasa con l’Ascoli e successivamente al Como, e infine all’Avellino stabilendo un vero record nel cambiare squadra ogni anno. Torna al Vasco, in Brasile, poi gioca negli Stati Uniti a Miami.

Nel 1989, a sorpresa, rientra in italia per accasarsi all’Ebolitana, serie D. A raccontare come arrivò a giocare per una realtà dilettantistica un così grande campione, è Armando Cicalese, all’epoca capo-ultras dell’Ebolitana 1925: “Dirceu arrivò ad Eboli grazie al Presidente di allora Luigi Cavaliere, con il quale aveva un rapporto di forte amicizia. Cavaliere era un imprenditore vivaistico che all’epoca conosceva bene Matarrese. Ci furono dei problemi burocratici per averlo con noi, ma vennero superati al volo”. L’insolito sodalizio Eboli-Dirceu si consolida immediatamente: ogni mancanza a livello organizzativo viene colmata seduta stante da tutti i cittadini. Il Presidente lo fa alloggiare in una delle sue più belle ville e lega moltissimo con la sua famiglia. Nelle sue due stagioni ad Eboli, Dirceu non riesce però a regalare alla sua squadra la C2 e così nel 1991 cambia nuovamente squadra, spostandosi di pochi chilometri per vestire la maglia del Benevento.

Quattro anni più tardi, dopo l’ennesimo cambio di squadra (prima nel campionato turco, poi in quello messicano) e a soli 43 anni, la tragedia: mentre viaggiava in compagnia di un amico italiano in un quartiere periferico di Rio de Janeiro, esce di strada con la sua Porsche oltre un cavalcavia, mentre cerca di evitare lo scontro frontale con un’altra auto. Negli ultimi mesi organizzava soprattutto tornei di calcetto, gare di beneficenza e partite d’ addio: la sua non è riuscita a prepararla nessuno.

Dirceu sulle figurine Panini