ELKJÆR – FACCIO – FALCÃO – FIRMANI – FRIONE
Ma il campione che giunse a Verona era un’altra persona. Era uno degli undici eroi che avevano trascinato la Nazionale danese fino all’ingiusta eliminazione in semifinale agli Europei del 1984. In patria la sua effige compariva persino sulle scatole dei cioccolatini. Lasciare il Belgio non fu facile per Preben, che in quel Paese aveva trovato moglie e felicità, ma fu la sua stessa compagna a convincerlo a indossare la maglia del Verona. E mai scelta si rivelò più oculata: ben presto divenne il terrore delle difese e le sue furiose galoppate a rete trascinarono gli scaligeri nella corsa verso il loro primo storico titolo tricolore. Le immagini della rete segnata alla Juventus senza una scarpa hanno fatto il giro del mondo. Dopo l’incredibile stagione dello scudetto, altre due belle annate in maglia gialloblù. Poi, a causa dei problemi di bilancio dei veneti, l’addio all’Italia.
Il suo calcio era danzato eppure privo di orpelli: appostato nel cuore del gioco, il Divino (così lo soprannominarono) faceva magicamente girare tutto il meccanismo. Regalò alla società giallorossa due Coppe Italia, lo scudetto 1982-83 e la sfortunata finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool, col suo “gran rifiuto” di calciare dal dischetto nella serie finale. Cinque stagioni in giallorosso, l’ultima maledetta: solo quattro incontri disputati, un gravissimo infortunio, l’operazione al ginocchio negli Stati Uniti, l’interminabile rieducazione e il licenziamento da parte della società, per il rifiuto del giocatore di sottoporsi a una visita fiscale. Spiacevole epilogo nelle aule di tribunale per un autentico campionissimo.
Un giocatore del suo calibro e di tali origini non sfuggì agli osservatori dei nostri club: fu la Sampdoria ad aggiudicarsi quel campione dai nonni abruzzesi, strap- pandolo al Charlton per la cifra record di 35mila sterline. Anche in Italia il ventiduenne Firmani riscosse immediato successo: attaccante atipico, era capace di coniugare il rigore del calcio inglese con la fantasia e l’agilità tipicamente latine. Normale che a questo centravanti, che faceva della rapidità la sua arma micidiale, non tardasse ad arrivare la convocazione in Nazionale. Lasciò il segno anche nella storia azzurra, Eddie Firmani: tre presenze e due reti. Dopo tre belle stagioni in blucerchiato fu ceduto all’Inter, dove confermò le sue doti di bomber per altrettanti campionati. Infine il passaggio al Genoa, in B, che grazie alle sue reti riconquistò immediatamente la serie maggiore. Complessivamente, otto anni in Italia, 227 partite e 125 reti. Davvero un gran bel bottino.
A diciannove anni è già titolare della Nazionale uruguaiana, ma in Italia fatica ad adattarsi e sotto la Madonnina i giudizi dei tifosi si dividono: c’è chi lo idolatra e chi lo vedrebbe volentieri relegato in tribuna a favore dell’ala Visentin. Fatica a trovare un posto in squadra, all’inizio, ma, una volta collocato nel suo ruolo naturale, all’ala destra, diventa un punto di riferimento imprescindibile per i nerazzurri. E conferma la fama di portafortuna che lo aveva accompagnato: le uniche sconfitte del girone d’andata subite dalla sua squadra maturarono in sua assenza. Come tanti altri oriundi, entra nel giro della Nazionale italiana, ma la sorte gli impedirà di calcare il campo con la selezione maggiore: alla sua terza stagione all’Inter, a soli ventidue anni e in piena ascesa, la sorte gli volta le spalle. Il giovane si ammala, i medici non trovano la cura giusta: in poco tempo, Francisco Frione si spegne a causa di una malattia di cui nessuno conosce nome nè rimedi, e la sua morte resta avvolta in un alone di mistero.