Euro 1960: L’anno del Ragno Nero

Sulle ceneri della Coppa Internazionale, nasce il Campionato Europeo per Nazioni. La prima edizione vede l’affermazione dell’URSS.

La sesta ed ultima edizione della Coppa Internazionale (1955-1960) è ancora in corso quando l’UEFA propone una manifestazione continentale alla quale possano partecipare tutte le Nazionali.

A volere la rassegna è soprattutto Henry Delaunay, Segretario della Federcalcio francese e primo Segretario generale della quasi neonata UEFA. Siamo agli inizi degli anni Cinquanta e il progetto di Delaunay, pur riscuotendo molti successi di stima, marca chiaramente il passo in quanto la maggior parte delle Nazionali europee considera il proprio calendario di impegni già sufficientemente pieno. Il francese però — come prima di lui Jules Rimet per i Mondiali e Gabriel Hanot per la Coppa dei Campioni — ha la testa dura e non molla l’osso: per lui, infatti, l’Europa ha bisogno di una competizione come questa, se non altro per stabilire quale sia la formazione migliore.

Nel ’55, Henry Delaunay muore ma a portare avanti la sua idea ci pensa il figlio Pierre che forma una Commissione di studio assieme a Sebes (Ungheria), Frey (Austria), Constantras (Grecia) e Pujol (Spagna). Il 27 febbraio 1957, a Colonia, i cinque presentano all’UEFA il primo progetto della competizione: il documento prende in considerazione il periodo ’58- ’60, che viene diviso in tre tronconi. Il primo è dedicato alle eliminatorie, il secondo agli ottavi di finale e il terzo ai quarti, alle semifinali e alle finali.

Henry Delaunay presenta la “sua” Coppa

Il programma viene considerato troppo farraginoso da molte federazioni, tra cui Inghilterra, Scozia e Germania Ovest che, infatti, non vi aderiscono. Tra le altre defezioni, da segnalare quella dell’Italia, ma per ragioni diverse: gli azzurri stanno attraversando uno dei periodi più bui della loro storia per cui è meglio evitare scontri al vertice che si concluderebbero con una serie inevitabile di brutte figure.

Delle 33 federazioni facenti capo all’UEFA, solo 17, ossia il minimo necessario, rispondono affermativamente. Il sorteggio della prima fase viene effettuato, nel più completo disinteresse, durante la fase dei Mondiali del ’58 in Svezia: in onore di chi aveva avuto per primo l’idea, la manifestazione viene chiamata «Coppa Delaunay».

Per la prima partita ufficiale del torneo, svoltasi a Mosca tra URSS e Ungheria, lo stadio Lenin presenta la folla delle grandi occasioni: oltre centomila spettatori affollano gli spalti e salutano la vittoria dell’undici di casa guidato da Kachalin, che propone in Lev Jascin e Igor Netto due dei giocatori più famosi nella storia del calcio sovietico. Il torneo dà subito l’impressione di essere partito col piede sbagliato: come si può, infatti, parlare di Europa in assenza del calcio britannico e di quello tedesco per non parlare del nostro, di quello belga, olandese e svizzero?

Bene o male, comunque, si supera il primo turno alla cui conclusione risultano qualificate Francia, URSS, Romania, Austria, Jugoslavia, Portogallo, Cecoslovacchia e Spagna. Le più forti del lotto appaiono URSS, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Portogallo e Spagna: quest’ultima, tra gli altri, schiera l’argentino di origine italiana Luis Di Stefano e l’apolide Ladislao Kubala, naturalizzato spagnolo dal generalissimo Franco in persona, che lo aveva visto e ammirato in un’amichevole disputata con la maglia del Barcellona.

Una formazione della fortissima Spagna 1960: si possono riconoscere Di Stefano, Kubala, Suarez e Gento

C’è già chi, in Spagna, sogna «dos orejas, ovación y mùsica» per le «furias rojas» campioni d’Europa ed un’eventualità del genere si potrebbe verificare se la sorte non ci mettesse lo zampino accoppiando spagnoli e sovietici in uno dei quarti. A quei tempi, tra i due Paesi non esistono rapporti diplomatici; c’è la guerra fredda e non si tenta nemmeno di superare l’impasse. Dal Palazzo del Governo, Franco dà l’ordine alla federazione di ritirarsi. L’URSS, quindi, si trova in semifinale senza colpo ferire insieme a Jugoslavia Cecoslovacchia e Francia.

Secondo regolamento, a questo punto una delle quattro superstiti riceve l’incarico di organizzare la fase finale della manifestazione e la scelta dell’UEFA cade sulla Francia anche perché, in quel momento, il calcio transalpino sta vivendo uno dei migliori periodi della sua storia come dimostra il terzo posto conquistato ai Mondiali del ’58, con una squadra che allineava, tra gli altri, il regista polacco Kopa (che, per la verità, si chiamava Kopaszewski) e quel Just Fontaine, algerino di nascita ma francese di nazionalità (l’Algeria era una delle province della madrepatria), che al posto dei piedi sembrava avere due cannoncini d’oro puro.

Il sorteggio delle semifinali accoppia Francia e Jugoslavia da una parte, URSS e Cecoslovacchia dall’altra. Le partite si svolgono a Parigi e a Marsiglia: al Parco dei Principi, l’incontro dei padroni di casa; sul terreno del l’antico» e glorioso «Velodrome», l’altro. Parigi, si sa, non ha mai amato molto il calcio per cui nessuno si meraviglia più di tanto se nemmeno per la semifinale dei «coqs» contro la Jugoslavia, il Parco dei Principi vede il tutto esaurito. Sono infatti soltanto 26.370 gli spettatori che acquistano il biglietto per il match arbitrato dal belga Grandain.

Jugoslavia-Francia 5-4: l’entrata in campo delle squadre

Certi della «grandeur» del proprio undici, i pochi presenti stanno già pregustando il successo dei loro beniamini, tanto più bello considerando che la Francia è scesa in campo priva di Kopa, Fontaine e Piantoni. Il 2-1 con cui termina il primo tempo e, soprattutto, il 4-2 di metà ripresa legittima i sogni più rosei per l’undici diretto da Thépot . Purtroppo per lui, nella porta della sua nazionale non gioca un calciatore ma una…sciagura e sono proprio tre errori consecutivi di Lamia e dei suoi compagni di reparto a consentire il recupero e il sorpasso degli uomini del Trio Tirnanic, Nikolic, Lovic 5-4 per gli jugoslavi è il risultato finale, che costringe i francesi a viaggiare verso Marsiglia per incontrare, terzo posto in palio, i cecoslovacchi di Masopust, travolti per 3-0 dai sovietici.

Il kappaò subito dalla Francia al Parco dei Principi è accolto con grande dolore da tutti i francesi, che disertano la «finalina». Arbitro l’italiano Jonni (guardalinee Gambarotta e Roversi), di fronte a meno di diecimila spettatori, Francia e Cecoslovacchia scendono in campo il 9 luglio del ’60. Per cercare di salvare almeno la faccia, Thépot (che, alla vigilia del match con la Jugoslavia si era detto certo del valore dei suoi «galletti») cambia alcuni giocatori e la loro disposizione sul campo. Ma inutilmente, in quanto la Cecoslovacchia appare subito nettamente superiore a quella che l’Equipe definisce «squadra fantasma». Pur non impegnandosi certamente allo spasimo, i cechi confezionano un 2-0 che forse ha un solo difetto: matura troppo in ritardo. Dagli spalti i fischi si sprecano, e a fine partita, Thépot si limita a dire: «Non ho nessuna scusante da accampare» subito aggiungendo: «è stata la più brutta partita degli ultimi trent’anni. Abbiamo sbagliato tattica, e siamo stati troppo presuntuosi».

La Finale

I capitani Igor Netto e Bora Kostic con l’arbitro inglese Ellis

E adesso Parigi: la vigilia della finale è tutta intessuta di pretattica. Gavriil Kachalin, allenatore dei sovietici, rimpiange l’assenza di Kesarev, il terzino colpito da un attacco di appendicite alla vigilia della semifinale con la Cecoslovacchia, e si affida ai soliti «vecchi draghi»: Jascin, Netto, Metreveli, Ivanov. Dall’altra parte, Tirnanic si dice sicuro dei…luminosi destini della sua squadra e delle capacità offensive del tandem SekularacKostic. Quando l’arbitro inglese Ellis fischia l’inizio della finale del primo Campionato d’Europa per nazioni, la sola cosa che manca è il pubblico: gli spettatori, infatti, sono solo 17.966.

Fin dal primo minuto, la partita mostra tutta intera la sua fisionomia: per la Jugoslavia giocano undici ragazzi che conoscono al meglio tecnica e tattica mentre dall’altra parte c’è il solito, potente ma anche ansimante, panzer che tutto potrebbe stritolare in virtù della sua forza ma che spesso appare lento e impacciato.

La partenza è per gli jugoslavi che però, quando è il momento di concretizzare, si trovano di fronte «Ragno» Jascin che para tutto il parabile e qualcos’altro ancora. Per di più gli slavi, la cui età media arriva a malapena ai 23 anni, avvertono terribilmente l’importanza dell’incontro e sembrano smarriti di fronte ad una formazione di veterani che propone una superstar in ogni reparto: oltre a Jascin che fa storia a sé, Krutikov in difesa; Netto a centrocampo e, fermato Ivanov, Metreveli in prima linea.

Il primo tempo è comunque tutto di marca jugoslava, ma bisogna attendere il 40′ per vedere Jascin, sino a quel momento assolutamente imbattibile, capitolare ad opera di Jerkovic, peraltro aiutato dal terreno reso viscido dalla pioggia. Sotto di un gol, nella ripresa l’URSS continua a macinare il suo gioco e al 5′ ottiene il pareggio ad opera di Metreveli che sfrutta abilmente una serie di rimpalli favorevoli. 1-1 al 50′; 1-1 al 90′, 1-1 alla fine del primo tempo supplementare.

Poi, finalmente! 2-1 per i sovietici al 7′ del secondo supplementare quando Ponedelnik, su cross di Meskhi, tocca di testa battendo l’ottimo Vidinic di fronte ad una difesa immobile. Di qui al triplice fischio di Ellis nulla cambia: alla fine, ad ogni modo, gli applausi più convinti vanno ai battuti; ai vincitori, invece, molti fischi.

L’intero torneo aveva richiamato solo 76.949 paganti, un insuccesso economico che pareva muovere nubi minacciose sul futuro della competizione. Restò invece un falso allarme.