Per il Generalissimo, la vittoria delle “Furie Rosse” è una occasione politica. Il viaggio verso la gloria non è semplice e l’esclusione delle stelle Real da parte del Ct Villalonga è una scelta criticata. Ma vincente…
SI FA SUL SERIO
La prima edizione è un mezzo successo (o un mezzo fallimento, fate voi): il pubblico ha partecipato con distaccato entusiasmo e le partite hanno messo in mostra solo alcune delle potenzialità del calcio continentale. L’Unione Sovietica campione contribuisce come stimolo per tutte le grandi d’Europa, infatti nel 1962 ai nastri di partenza delle qualificazioni si presentano 28 formazioni, tra le quali Italia e Inghilterra. Ancora assente la Germania Ovest, che esclude la propria nazionale per volere del tecnico Seep Herberger, contrario a ogni manifestazione ufficiale che non siano i Campionati del Mondo. Ci sono numerosi campioni da ammirare, primi fra tutti Suarez ed Eusebio, poi Asparukov, Hamrin, Ole Madsen e il grande Di Stefano, silurato prima della fase finale. Ci siamo anche noi, in un primo turno abbastanza agevole: gli azzurri partono con un netto 6-0 ai danni della Turchia, il Ct è Fabbri, lo stadio quello di Bologna. Al ritorno in Turchia, un gol di Sormani decide la partita che dopo la goleada dell’andata non ha più senso. Le altre qualificazioni registrano sorprese come l’eliminazione degli inglesi ad opera della forte Francia, ma anche l’esclusione di Jugoslavia e Cecoslovacchia.
I DUBBI DI FABBRI
Negli ottavi, l’Italia si gioca la fase finale contro l’Urss campione in carica: la formazione azzurra è squadra di tutto rispetto, ma l’espulsione di Pascutti per reazione dopo un rude intervento spaccagambe di un difensore sovietico e l’infortunio a Sormani complicano il corso dell’incontro. I sovietici ne approfittano e si presentano per il match di ritorno a Roma col bagaglio non indifferente di due reti di vantaggio. Sotto accusa viene messa la difesa, in particolare Maldini e Facchetti, coppia male assortita secondo la maggioranza dei critici, ma anche la giornata opaca dei cervelli di centrocampo Rivera e Bulgarelli, che non trovano mai lo spunto per creare pericoli alla retroguardia sovietica. Una Nazionale sfasata, con le gambe molli.
Il più criticato, riconosciuti i meriti dei sovietici, sarà proprio Pascutti, a cui erano state affidate le sorti del nostro attacco. «Quando l’arbitro mi ha fatto capire che me ne dovevo andare sono caduto nella disperazione. Poi, finita la partita, nessuno mi guardava in faccia, i compagni non mi parlavano; un tifoso si è avvicinato e mi ha dato del cretino, in aereo ho avuto una mezza crisi…». Impulsivo, sventato, ma anche il solito cuore da lottatore che questa volta è andato fuori dalle righe. A onor del vero, il comportamento dei giocatori sovietici era stato tutt’altro che corretto, con intimidazioni continue e interventi molto duri, che l’arbitro non aveva punito con le giuste misure. «L’espulsione di Pascutti non è stata un modello d’imparzialità» sostenne Edmondo Fabbri. «I giocatori sovietici alla fine hanno usato tacchetti in duralluminio, e questo non è consentito dal regolamento». Anche Sormani, costretto dopo la partita a rimanere a riposo per una decina di giorni, si lamenterà del trattamento dei rudi difensori sovietici.
Lo spirito di rivincita domina nelle parole degli italiani, e il tecnico sovietico, forse per scongiurare una clamorosa rimonta azzurra, prepara la partita di ritorno con tutte le attenzioni del caso; italiani e sovietici, dopo la gara di andata, ripetono le stesse parole («a Roma sarà un’altra cosa…»), lasciando intendere che i giochi non sono ancora decisi. All’Olimpico si segnala l’esordio di Domenghini, ma gli azzurri non vanno oltre l’1-1 siglato da Rivera e Gusarov. Mazzola sbaglia un rigore, l’impressione è che i sovietici siano superiori sul piano della velocità, soprattutto se liberi di partire in contropiede.
Gli azzurri giocano al di sotto delle loro potenzialità, Menichelli e Domenghini sono avulsi dagli schemi, Mazzola è un rifinitore e non il realizzatore che manca all’Italia, Rivera si danna l’anima ma perde troppi palloni, anche a causa di una precaria condizione fisica. Una volta eliminati, in Italia scende in campo il “partito degli “oriundi, che vuole veder convocati Altafini e Sivori per rimediare alla sterilità dell’attacco azzurro, però Mondino Fabbri difende le proprie scelte: «Certo, Sivori e Altafini avrebbero potuto potenziare il nostro attacco, ma la Nazionale ha impostato un programma che ci deve portare in Inghilterra ai Mondiali da protagonisti, quindi vado avanti con Mazzola, Corso, Rivera e Orlando, in difesa ripropongo il blocco dell’Inter più Salvadore e Trapattoni». I fatti non lo sosterranno: la delusione della Corea rimarrà segnata nella storia del calcio italiano.
SORPRESA DANIMARCA
Il torneo va avanti senza di noi e mette in mostra il danese Madsen, la brillante Spagna e le solite Urss e Ungheria, squadre solide e di grande rendimento. Le sorprese si chiamano Lussemburgo e Danimarca, che danno vita a uno spareggio interessantissimo dopo il 3-3 dell’andata e il 2-2 del ritorno. Passa (1-0) la Danimarca di Madsen, autore di tutti e sei i gol della sfida.
L’atmosfera in Spagna per la fase finale è eccitante e coinvolgente, gli stadi scelti sono il Camp Nou e il Bernabeu, quanto di meglio per un’occasione del genere. La Spagna, formazione rivoluzionata dal nuovo tecnico Villalonga e impreziosita dall’estro dell’interista Suarez, conquista ai supplementari la finale ai danni di una coriacea Ungheria. Sono quindi necessarie due ore di gioco, con i magiari che nei supplementari sfiorano più volte il gol negato dal bravo Iribar, presunto erede del grande Zamora (anche se la sua carriera non lo confermerà), ma quando la freschezza e la convinzione dei fuoriclasse ungheresi Albert e Tichy viene meno, sono proprio i padroni di casa a passare con Amancio.
Ma in seno alle “furie rosse” le polemiche non mancano, a causa delle scelte dell’allenatore, che ai grandi campioni del Real Madrid (Puskas, Di Stefano, Gento e Del Sol) preferisce ragazzi con muscoli d’acciaio e una voglia matta di correre. Solo Amancio e Suarez rispettano le aspettative degli esteti del pallone, ma alla fine la spunterà il tecnico, col suo gioco di corsa e tutta grinta.
Dall’altra parte del tabellone l’Urss ha la meglio sulla Danimarca, che vive ancora un genuino semidilettantesimo, con un’indiscutibile 3-0, frutto del calcio metodico, prevedibile ma efficace di Jascin e compagni.
SPAGNA, UN SUCCESSO… FRANCO
Finalmente arriva il grande giorno. La Spagna conquista il suo primo titolo continentale davanti a 125.000 spettatori, in un clima torrido che esalta le “furie rosse”. I sovietici, contrariamente a quanto si pensava, appaiono assolutamente fuori condizione. Subiscono gol all’inizio della gara da Pereda, ma recuperano subito con Schussanov; reggono un tempo, poi crollano nel finale al gol di Marcelino, dopo un’iniziativa del terzino Rivilla in combinazione con il centravanti Pereda. Cedono all’afa, più che agli stessi avversari. L’Urss paga la scarsa vena di Ivanov e della difesa, che non riesce ad arginare le folate improvvise dei veloci “delanteros” spagnoli.
Vittoria meritata, contro l’opinione pubblica che non approva assolutamente l’esclusione dei cinque volte campioni d’Europa del Real Madrid, ma anche vittoria di Franco e della Falange, che trova un ulteriore spunto per esaltare una propagandistica superiorità politica nazionale. L’aspetto più incisivo è, oltre al risultato sportivo, il disgelo della tensione tra le due nazioni che solo quattro anni prima non avevano disputato l’incontro che li opponeva per motivi politici; questa volta, alle note dell’inno sovietico, il pubblico ha rispettosamente applaudito, dando forse vita alla prima vera manifestazione europea del mondo calcio.
FASE FINALE – SPAGNA, 17 – 21 Giugno 1964
SEMIFINALI |
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Madrid, 17 giugno 1964 Spagna – Ungheria 2 – 1 dts Reti: Pereda 35′, Bene (U) 84′, Amancio 115′ Arbitro: Blavier (Belgio) Spagna: Iribar, Rivilla, Calleja, Zoco, Olivella, Fusté, Amancio, Pereda, Marcelino, Suárez, Lapetra Ungheria: Szentmihalyi, Mátrai, Mészöly, Sárosi, Nagy, Sipos, Bene, Komora, Albert, Tichy, Fenyvesi |
Barcellona, 17 giugno 1964 URSS – Danimarca 3 – 0 Reti: Voronin 19′, Ponedelnik 40′, V.Ivanov 87′ Arbitro: Lo Bello (Italia) URSS: Yashin, Chustikov, Shesternev, Mudrik, Voronin, Anichkin, Chislenko, V.Ivanov, Ponedelnik, Gusarov, Khusainov Danimarca: L.Nielsen, J.Hansen, K.Hansen, B.Hansen I, Larsen, E.Nielsen, Bertelsen, Sørensen, O.Madsen, Thorst, Danielsen |
FINALE PER IL TERZO POSTO |
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Barcellona, 20 giugno 1964 Ungheria – Danimarca 3 – 1 dts Reti: Bene 11′, Bertelsen (D) 81′, Novák 107′ (rig), Novák 110′ Arbitro: Mellet (Svizzera) Ungheria: Szentmihalyi, Novák, Mészöly, Ihász, Solymosi, Sipos, Farkas, Varga, Albert, Bene, Fenyvesi Danimarca: L.Nielsen, Wolmar, K.Hansen, B.Hansen I, Larsen, E.Nielsen, Bertelsen, Sørensen, O.Madsen, Thorst, Danielsen |
FINALE PER IL PRIMO POSTO |
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Madrid, 21 giugno 1964 Spagna – URSS 2 – 1 Reti: Pereda 6′, Khusainov (U) 8′, Marcelino 84′ Arbitro: Holland (Inghilterra) Spagna: Iribar, Rivilla, Olivella, Calleja, Zoco, Fusté, Amancio, Pereda, Marcelino, Suárez, Lapetra URSS: Yashin, Chustikov, Shesternev, Mudrik, Voronin, Anichkin, Chislenko, V.Ivanov, Ponedelnik, Korneev, Khusainov |