Ezio Luzzi: Mister Serie B

Una delle voci storiche di “Tutto il calcio”: “Maradona e la bomba di Atlanta i miei scoop oltre le urla. In radio noi creiamo mondi da raccontare”


Ezio Luzzi, quanti minuti ci sono in sessant’anni di Tutto il calcio minuto per minuto?
«I minuti che formano una vita intera: la mia. Il primo giorno di Tutto il calcio io già c’ero. I radiocronisti fissi erano Ameri e Ciotti, e prima ancora soltanto Carosio. Poi si formò la squadra, nella formula che inventò Guglielmo Moretti».

E lei come finì in Serie B?
«Un bel giorno arriva Moretti in riunione di redazione e fa: cari amici vi do una notizia, Ezio ha deciso di fare la B. Ma io non ne sapevo niente! Non la presi benissimo ma dissi vabbè, se devo farlo lo farò a modo mio».

Da quel momento in avanti, “scusa Ameri” come se piovesse. E pioveva da Catanzaro, da Ferrara, da Catania. Lei urlava alla grande.
«I colleghi che seguivano abitualmente la Juventus mi chiamavano il disturbatore. Per scherzare, ma mica tanto».

Quant’è durata?
«Moretti mi disse: tranquillo Ezio, sarà solo per tre mesi. Ed è andata avanti per quarant’anni».

Ma lei c’era già prima.
«Prima Olimpiade, Roma 1960, un sogno. Paolo Valenti fa la radiocronaca della maratona e mica ci sono i monitor. Allora, circola questa voce dell’etiope senza scarpe, così Paolo mi manda a vedere da vicino se è vero, io che sono l’ultima ruota del carro parto spedito e alla fine gli dico sì, Abebe Bikila sta proprio correndo scalzo, e scalzo trionferà».

Cos’era, Tutto il calcio?
«L’Italia, semplicemente. Uno spaccato di costume, le domeniche della brava gente. Era, ed è, la radio, cioè l’immaginazione. Io parlo e tu giochi la partita come se stessi leggendo un romanzo. Non la vedi soltanto: la giochi proprio».

Il più bravo di tutti?
«Enrico Ameri, che aveva il ritmo dentro. Invece Ciotti era più tecnico, più aulico ma meno trascinatore. E la sua voce roca negli ultimi anni era diventata francamente inascoltabile».

Luzzi, lei ha dato dei buchi mondiali a tutti i colleghi. Per esempio, Maradona al Napoli.
«Lo intervistai al Torneo del Bicentenario e mi disse: paisà, tra poco vengo a giocare in Italia, nel Napoli. Mi chiamava paisà perché anch’io sono nato in Argentina: mio padre Cesare era il guardiano dello stadio del Colón di Santa Fe, però noi siamo di Terni. Nelle giovanili della Ternana ho anche giocato portiere».

Altro scoop: la bomba ai Giochi di Atlanta 1996.
«Mi trovavo lì, coordinavo la spedizione Rai e l’esplosione avvenne mentre stavo attraversando la piazza. La botta mi scaraventò a terra senza ferirmi. Mi rialzai pensando solo di tornare in studio e raccontarlo: arrivai prima della Cnn, prima di tutti».

Senza offesa, altro che Serie B.
«Il giornalismo è tutto di Serie A oppure non è».

Che ne pensa del linguaggio del calcio di oggi?
«Agli ascoltatori non frega niente delle statistiche. A noi insegnarono a raccontare dove sta il pallone, tutto il resto è ghirigoro».

Sessant’anni di Tutto il calcio: cosa c’è dentro quel tutto?
«I ricordi, gli amici, la voce dei cari Beppe Viola e Piero Pasini che in pratica morirono sul lavoro allo stadio, Piero addirittura accasciandosi sul microfono. Perché la radio è corpo, è voce, è passione, la radio è viverne e talvolta anche morirne».

Difatti lei lavora ancora.
«Ma certo! A ElleRadio, la mia radio, dove elle sta per Luzzi. Pensiamo anche ai giovani con High School Radio, una specie di gara tra studenti dei licei italiani impegnati in 50 minuti di programma tutto loro».

Cosa vede nel futuro della radio?
«Ci vedo la radio, l’eternità della radio. Noi non ci ammazza nessuno perché creiamo mondi, e perché tutti vogliono ascoltare una voce che racconta una storia».

Intervista di Maurizio Crosetti – La Repubblica