WILKES Faas: l’olandese volante

Esistono miti sepolti sotto la polvere del tempo, giocatori di classe enorme che hanno avuto come unica sfortuna quella di nascere in un’epoca in cui non esistevano immagini che rendessero giustizia al loro talento. Uno di questi è Faas Wilkes, il primo giocatore olandese professionista nel campionato italiano. Il suo acquisto fu opera del presidente dell’Inter Carlo Masseroni, che nell’estate del 1949 lo soffiò a suon di milioni di lire al Milan, il primo ad accorgersi del talento oranje nato a Rotterdam il 13 ottobre 1923; quando però un talent scout dei rossoneri lo avvicinò per proporgli un incontro, i dirigenti dell’Inter giocarono d’anticipo invitando Wilkes a Milano e definendo, nel corso di una cena in un ristorante gestito da un olandese (il quale, guarda caso, fece anche da interprete), tutti i dettagli del contratto.

E’ un’Inter orgogliosa e ambiziosa quella che si presenta al via nella stagione ’49-50. Orgogliosa per aver messo i bastoni tra le ruote al mercato dei cugini milanisti, ambiziosa in virtù dell’ottimo secondo posto raccolto la stagione precedente e di una squadra che comprende Benito “Veleno” Lorenzi, Amedeo Amadei, il fuoriclasse apolide Istvan Nyers e appunto Faas Wilkes, i cui dribbling sulle fasce non tardano ad esaltare il pubblico di San Siro.
A dispetto però delle grandi individualità e di un leggendario derby giocato il 6 novembre del 1949 e vinto dai nerazzurri 6-5 dopo essere stati in svantaggio per 4-1, la squadra non riesce ad andare oltre un deludente terzo posto finale.

Wilkes chiude il campionato con 17 reti realizzate in 34 partite (l’esordio era avvenuto l’11 settembre 1949 in Inter-Padova 1-1); 25 saranno invece i gol la stagione successiva in una squadra che, con l’arrivo dello svedese Lennart Skoglund, mostra un calcio di grande qualità ma finisce un punto dietro il Milan frustrando nuovamente le speranze dell’irrequieto Masseroni. Nemmeno la terza stagione in nerazzurro regala a Wilkes la soddisfazione di mettere un trofeo in bacheca, e sebbene qualcuno lo critichi per la scarsa continuità che caratterizza le sue prestazioni, quando lascia Milano sono in molti a rimpiangere le giocate sopraffine di colui che la stampa italiana aveva definito “il tulipano volante”.

Nato e cresciuto nella città di Rotterdam, Servaas Faas Wilkes può essere considerato il capostipite di quella grande dinastia di ali olandesi che nel corso del tempo ha sfornato elementi quali Moulijn, Swart, Keizer, Overmars e Robben. Le squisite capacità tecniche unite all’ottima capacità realizzativa e all’incredibile gioco di gambe sono doti che Wilkes ha manifestato fin dalla giovane età, quando ancora calcava i campetti spelacchiati di Rotterdam nord vestendo la maglia della squadra giovanile dell’Hion e il pensiero di diventare un calciatore professionista non lo sfiorava neppure, in primo luogo perché nell’Olanda degli anni Trenta la gente comune ignorava che in Europa ci fosse qualcuno che si guadagnava da vivere tirando calci al pallone, quindi perché il piccolo Faas voleva seguire le orme del padre e dello zio nella gestione della Wilkes & Zoonen, azienda a conduzione familiare specializzata in traslochi. La strada che da mobiliere lo ha portato a diventare calciatore professionista non è stata né breve né agevole, visto che tra il suo esordio nella Eredivisie olandese (avvenuto con la maglia dello Xerxes Rotterdam il 14 aprile 1941 all’età di 17 anni in un Xerxes-CVV 6-0) e il suo primo stipendio da calciatore (percepito con l’Inter) passeranno otto anni, una guerra mondiale ed una squalifica dalla nazionale olandese.

Per Wilkes il calcio è una passione, e fin dai primi tempi di militanza nello Xerxes (un club che amava moltissimo e del quale è stato il giocatore simbolo) il suo desiderio è quello di poter guadagnare dei soldi con lo sport che più ama. Non è però facile, soprattutto nell’Olanda fiera paladina del dilettantismo di quel periodo, dove qualche anno prima era stato sollevato un polverone attorno al caso-Bep Bakhuys, “bandito” dai campi di calcio di tutta Olanda per aver accettato dei soldi per giocare nel Vvv Venlo. I

Il primo approccio di Wilkes con i pagamenti è invece più soft, e si concretizza sotto forma della cessione di due autocarri Bedford all’azienda Wilkes & Zoonen da parte della squadra di calcio dell’Mvv Maastricht quale compenso per l’ingresso nei propri ranghi dei giocatori dello Xerxes Faas e Leen Wilkes, quest’ultimo fratello del nostro nonché portiere del club di Rotterdam. L’escamotage però non funziona, il contratto viene annullato e i fratelli Wilkes sono costretti a ritornare nello Xerxes, pagando per di più di tasca propria i due mezzi acquistati.

L’ostracismo della Knvb (la Federcalcio olandese) non fa che aumentare le frustrazioni di Wilkes e di altri giocatori che, come lui, cominciano a non poterne più della cupa atmosfera proibizionista che imperava nel campionato olandese; i contatti con lestero sono però estremamente limitati, se non inesistenti, e la situazione appare senza via duscita.

Il 10 maggio 1947 arriva per Wilkes la grande chance, ovvero la convocazione in una selezione di giocatori continentali che avrebbe dovuto affrontare a Glasgow una sorta di nazionale del Regno Unito. La sua popolarità era in ascesa dopo che, poco più di un anno prima, aveva fatto il suo esordio con la nazionale olandese siglando quattro delle sei reti con le quali i tulipani avevano affossato il Lussemburgo a domicilio, e nelle partite successive aveva messo a segno rispettivamente una tripletta (in Olanda-Belgio 6-3) e una doppietta (in Belgio-Olanda 2-2) mettendo in mostra anche in maglia oranje tutto il suo repertorio di numeri d’alta classe, tanto da meritarsi dalla stampa olandese l’appellativo di “Monna Lisa di Rotterdam”.

A Glasgow le cose vanno decisamente meno bene, con la selezione continentale travolta 6-1 dai britannici, ma per Wilkes quella tappa risulta fondamentale perché gli consente di entrare in contatto con un nuovo mondo, quello dei giocatori professionisti del campionato inglese, di quello francese e della Serie A italiana, e quello degli osservatori, che i grandi club del continente sguinzagliavano in tutta Europa alla ricerca di talenti da importare. Nel ’48 lo cerca il Charlton, ma l’affare non va in porto; l’anno successivo arriva l’Inter con la proposta di un sontuoso contratto da sessantamila fiorini l’anno, e Wilkes diventa nerazzurro venendo nel contempo squalificato dalla Knvb. Ritornerà in maglia oranje solamente nel 1954, l’anno in cui anche l’Olanda si convertirà al professionismo.

Oltre a quello con l’Inter l’altro momento clou nella carriera internazionale di Faas Wilkes ha luogo nella Liga Spagnola con il Valencia, club al quale giunge nel 1953 dopo un anno tribolato (subisce anche un’operazione al ginocchio) tra le fila di un Torino ancora pesantemente scosso dalla tragedia di Superga. La squadra spagnola opta per l’acquisto immediato di quello che sarà il primo giocatore straniero della sua storia dopo averlo visto in azione con la maglia granata il 30 giugno 1953 al Mestalla in un incontro amichevole in onore di Antonio Puchades, formidabile centrocampista considerato il più forte giocatore del club iberico degli anni Cinquanta.

“Esto es un autèntico malabarista” (“questo è un vero giocoliere”) è il commento del presidente del Valencia Luis Casanova Giner quando lo vede esordire con la casacca bianca al Sardinero contro il Racing Santader (che vincerà l’incontro 3-1). In Spagna saranno tre stagioni ricche di reti (18 il primo anno, 8 il secondo, 12 il terzo), numeri d’alta scuola ma anche di botte e pestoni di vario genere, gentile omaggio lasciato da quei difensori che avevano capito l’importanza di una marcatura bella stretta come unica soluzione possibile per limitare gli sguscianti movimenti di quest’ala olandese a cui erano bastati poco di più di sei mesi per vedere le proprie foto appese sui muri dei bar e delle cantinas di tutta Valencia.

In Spagna arriva anche il suo primo e unico trofeo vinto in carriera, la Copa del Generalìsimo (l’attuale Copa del Rey) nel 1954, quando il Valencia regola in finale il Barcellona 3-0; un successo che però a Wilkes appartiene poco in quanto impossibilitato a scendere in campo negli incontri di tale manifestazione causa il divieto per i giocatori stranieri di giocare le partite di Coppa di Spagna. Come a Milano anche a Valencia il giocatore riceve, nel 2003, un riconoscimento da parte della città per le prestazioni offerte con la squadra locale e, si legge sul sito del Valencia, per “le grandi doti umane mostrate”.

All’età di trentatre anni Faas Wilkes torna in Olanda con l’idea di lasciare il calcio a causa dei numerosi problemi fisici che continuano a tormentarlo; gli fa cambiare idea l’ambizioso VVV Venlo mettendo sul piatto un contratto da cinquantamila fiorini l’anno. Il club del Limburgo non intende badare a spese nel tentativo di diventare una delle big d’Olanda, dimenticandosi però che senza adeguate infrastrutture e un sistema di gioco quantomeno accettabile i soldi possono fare ben poco, e il risultato sono due deludenti settimi posti.

Wilkes decide di tornare in Spagna; la meta è ancora Valencia, ma la mancata nazionalizzazione di uno dei giocatori stranieri presenti nella rosa del club iberico gli sbarra la strada e lo fa optare per la seconda squadra della città, il Levante, Segunda Divisiòn spagnola, gruppo Sud. L’obiettivo di Wilkes è la promozione in Primera Divisiòn, non solamente per riportare il club nell’elite del calcio spagnolo ma anche per poter proseguire la sua avventura con esso, alla luce di una norma introdotta proprio in quella stagione dalla Federcalcio spagnola in cui veniva vietato alle squadre delle divisioni inferiori di schierare in campo giocatori stranieri. Il Levante giunge secondo alle spalle dell’Elche, ma ai play-off si deve arrendere al Las Palmas, e all’oramai 36enne Wilkes non resta che fare le valigie e ritornare in patria dove, dopo tre stagioni con il Fortuna’54 Geleen, chiude la sua carriera dove tutto aveva avuto inizio, allo Xerxes, giocando la sua ultima partita alletà di 40 anni il 26 maggio 1964 nella Tweede Divisie gruppo B, lequivalente della Serie C italiana.

Il 4 luglio del 1998 Dennis Bergkamp realizza a Marsiglia contro l’Argentina il suo 36esimo gol con la nazionale olandese, diventando il miglior marcatore in maglia oranje e battendo un record che durava da 36 anni abbondanti. Tale primato apparteneva a Faas Wilkes, il cui score personale al momento della sua ultima apparizione con i tulipani (14 maggio 1961, Germania Est-Olanda 1-1) registrava 35 reti (delle quali 12 ai malcapitati cugini del Belgio) in 38 partite; per arrivare a superarlo Bergkamp ne aveva dovute giocare quasi il doppio, così come Patrick Kluivert, l’attuale bomber in assoluto della nazionale olandese.

“Il calcio era la mia professione, non la mia vita”. Un motto al quale Faas Wilkes è sempre stato fedele negli anni successivi all’abbandono dell’attività agonistica. Niente panchine, niente ruoli dirigenziali o di staff, niente che avesse a che fare con il pallone; solo un negozio di moda, il Monisima, gestito con la moglie Mona-Yvonne nei pressi dell’Hotel Hilton a Rotterdam.

Un piede su un campo da calcio Wilkes l’ha rimesso nel 2004 (due anni prima della sua morte avvenuta il 15 agosto 2006) ai festeggiamenti per i 50 anni di calcio professionistico in Olanda, premiando Johan Cruijff quale miglior giocatore olandese di sempre. “Ricevere un simile premio da colui che negli anni Cinquanta era il mio idolo assoluto”, ha dichiarato Cruijff, “è un qualcosa di indescrivibile”. Indescrivibile come i dribbling della Monna Lisa di Rotterdam, ovvero quando il calcio riusciva ancora a diventare arte.