FERLAINO Corrado: l’ultimo dei Borboni

Gli uomini che fanno la Storia vivono intensamente il loro tempo, in prima fila, da protagonisti. Ferlaino non avrà fatto la Storia con la «esse» maiuscola, ma quella del Napoli si. Nel bene e nel male.


Entrato in carica il 18 gennaio 1969 spodestando il “monumento” Achille Lauro, Ferlaino dominerà incontrastato per 33 anni. Durante questo lunghissimo regno si allontanerà dalla guida del club azzurro per pochi mesi nel ’72 e nell’83 e per quasi due anni nel ’95. In tutte e tre le occasioni, comunque, Ferlaino si è guardato bene dal cedere il proprio pacchetto azionario, restando in pratica il padrone del Napoli anche quando non occupava il vertice dirigenziale.

Padre calabrese e madre milanese, discendente di una facoltosa famiglia di imprenditori edili, figlio unico. “Viziato e prepotente”, come riferiscono i suoi amici d’infanzia, Ferlaino nasce a Napoli il 18 maggio ’31. Vive agiatamente e può permettersi costosi hobby giovanili. Diventa pilota automobilistico, guida abilmente anche potenti motoscafi e prende pure il brevetto di pilota d’aereo. Inevitabilmente, per tradizione familiare, s’iscrive alla facoltà d’ingegneria, laureandosi soltanto a 30 anni. Si tuffa anche nel cinema diventando socio di una casa di produzione, la Inducine, che sforna un paio di film.

Ferlaino ha partecipato alla Targa Florio e a gare di Formula 3

Nel frattempo, Ferlaino si sposa. Lui non ha ancora vent’anni, lei appena 15. La moglie si chiama Flora Punzo, è una ragazza di ottima famiglia che gli darà due figli, Giulio e Tiziana, ma che 30 anni più tardi lo trascinerà in tribunale, svelando retroscena boccacceschi della loro unione. Le donne rappresentano un capitolo importante nella sua burrascosa esistenza. Separatosi da Flora, si risposa con Patrizia Sardo. Dal matrimonio nascono altri due figli, Luca e Cristina. Ma non è finita. Ferlaino lascia anche la seconda moglie per unirsi a Patrizia Boldoni, che ha 20 anni meno di lui e che gli dà una figlia, Francesca, e per quarta e ultima Roberta Cassol, milanese come sua madre.

La testa incassata tra le spalle, apparentemente pigro e indolente, ma capace di sprigionare un’attività frenetica, inaccessibile sul piano umano, lo sguardo sfuggente che qualcuno ha definito “da cerbiatto impaurito” e che contrasta singolarmente con la sua riconosciuta astuzia, all’inizio degli anni ’60 Ferlaino mette a segno un colossale e chiacchierato affare, acquistando a prezzo stracciato un vasto terreno non edificabile, salvo ottenere poco dopo l’autorizzazione a costruire una sessantina di palazzoni.

Appassionato di calcio sin da bambino e accanito tifoso del Napoli, Corrado mette piede nella società azzurra verso la fine del ’67, allorché l’amico Roberto Fiore, il presidente che ha sollevato entusiasmi con l’acquisto di Sivori e Altafini, gli cede una piccola quota azionaria. Ferlaino approfitta della bagarre tra Fiore e Achille Lauro per schierarsi dalla parte del vecchio comandante, che lo fa eleggere presidente il 18 gennaio ’69. “Traditore e bugiardo” è l’accusa lanciatagli dal amareggiato Fiore.

Una volta al comando, prima di raggiungere l’obiettivo che si era fissato (essere il presidente della squadra campione d’Italia) dovette aspettare diciotto anni. Lui che in auto ha sempre amato correre (ha partecipato alla Targa Florio e a gare di Formula 3, e si vantava di percorrere la Napoli-Roma in un’ora) capì presto che nel calcio la fretta non lo avrebbe portato lontano.

La prima stagione presidenziale di Ferlaino si conclude con un dignitoso sesto posto. Corrado si presenta per la prima volta all’hotel Gallia di Milano, all’epoca sede del calciomercato, polarizzando l’attenzione su di sé. Scortato da una mezza dozzina di persone, affitta per due settimane una lussuosa suite, vola ogni giorno da Milano a Napoli e viceversa per tenere d’occhio i propri affari, offre pranzi e cene. Gli operatori calcistici non lo amano. Lo scomparso Bruno Passalacqua gli urla pubblicamente «buffone» dopo il fallimento della trattativa per il passaggio di Juliano dal Napoli al Milan. «Quando tratto con lui – confessa Giussy Farina, lo spregiudicato ex presidente di Vicenza e Milan – sto sempre con le spalle appoggiate al muro. Non si sa mai».

Per saldare i debiti con Lauro impiegò sei anni. Poi cominciò con la politica dei colpi a effetto: nel ’75 acquistò Beppe Savoldi, il centravanti costato due miliardi. Lo attaccarono in molti per quell’operazione che oggi metterebbe i brividi. Lo paragonarono al «comandante», che a suo tempo non era stato da meno acquistando Hasse Jeppson. E proprio come lo svedese, l’attaccante arrivato dal Bologna servì soprattutto per smuovere la campagna abbonamenti. Ma il Napoli capace di competere con Juve, Milan e Inter era ancora un sogno lontano.

Volubile e permaloso, Ferlaino continuò a cambiare allenatori come ci si cambia la camicia, e ad alzare la voce ogni volta che riteneva di aver subito un torto dagli arbitri. Ma di contestazioni ben più dure l’ingegnere sarebbe diventato presto l’obiettivo. In una domenica del 1983, mentre il Napoli vivacchiava in un desolante anonimato, i tifosi del San Paolo videro passare sulle loro teste un aeroplano che trascinava uno striscione enorme. «Via Ferlaino, torna Juliano», c’era scritto. Aveva pagato tutto un commerciante che poi si scoprì essere anche un camorrista. Ferlaino decise di farsi da parte qualche giorno più tardi, quando davanti alla sua casa esplose una bomba. Affidò la società all’imprenditore Marino Brancaccio e aspettò che si calmassero le acque.

«Un giorno riuscirò a portare lo scudetto a Napoli» era stata la promessa iniziale di Corrado, che per quasi 30 anni si vanterà di aver sempre evitato al Napoli la retrocessione e che confida di considerarsi «l’ultimo dei Borboni». Soltanto sfiorato nel ’75, in effetti lo scudetto arriva nell’87 e tornerà tre anni più tardi. È l’epoca di Maradona, il fuoriclasse argentino che soltanto l’ostinazione di Juliano, l’ex capitano diventato manager, riesce a strappare al Barcellona. Ma il vanto di Ferlaino sfuma nel ’98, allorché il Napoli inciampa nella stagione più vergognosa della sua storia, racimolando appena 14 punti e sprofondando in B dopo aver cambiato ben 4 allenatori e tre manager nel corso della stagione.

Due campionati e una faticosa promozione targata Novellino. Poi una nuova retrocessione allontana sempre di più i tifosi da Ferlaino, che non è mai riuscito a stabilire un feeling con la città, che denuncia un paio di attentati dinamitardi alla sua bella villa in collina e che deve anche scontare qualche giorno di arresti domiciliari per una storia di tangenti legate alla sua attività di costruttore. Confessa, torna a casa, e un mese dopo lasciò a Ellenio Gallo la presidenza del Napoli dal 1993 al 1995.

Quando risale in sella, la situazione economica del club è disastrosa e lui è strangolato dai debiti. La salvezza sembra profilarsi con lo sbarco a Napoli di Giorgio Corbelli, il re delle televendite, che salda parte dei debiti di Ferlaino verso le banche. Tra i due, che si dividono a metà la proprietà del club, le incomprensioni sono però subito frequenti, sino a sfociare in una rissosa ostilità. Sempre più osteggiato dai tifosi, che non amano nemmeno Corbelli, Ferlaino capisce che è ormai giunto il momento di uscire definitivamente dal Napoli.

«Il Napoli non è mai stato il mio lavoro, ma molto, molto di più. Mi sono sempre sentito un imprenditore prestato al calcio. Io al Napoli davo più di ventiquattro ore al giorno… Oggi tanti si sono accorti della dittatura di quei due o tre grandi club del Nord. In realtà era così pure quando comprai la società, poco meno di quarant’anni fa. Quei pochissimi hanno sempre gestito mezzi e poteri negati a tutti gli altri. E a noi si chiedeva di essere competitivi, di strappar loro gli scudetti. Io ci ho provato tutte le volte in cui ho potuto. Con Vinicio in panchina, con l’acquisto di Savoldi, con Krol. Poi ho capito che bisognava fare altro. Molto altro. L’ingrediente decisivo delle vittorie è stato l’arrivo di Maradona, non c’è dubbio. Ma avrebbero neutralizzato anche lui se non avessi aggiunto tanta attività diplomatica. Ero arrivato al punto da non avere vacanze mie. Le trascorrevo con la famiglia nelle località preferite dai presidenti federali in carica. Estate o inverno, non importa. In Kenya, in Svizzera. Ho seguito tutti: Sordillo, Nizzola, Matarrese. Era fondamentale intrattenere col potere rapporti stretti, continui. E le necessità non si fermavano lì. Dovevi aver certi rapporti pure con De Mita, con Pomicino. Era il solo modo per esistere davvero»