Fiorentina 1956: la prima cosa bella

Per la prima volta lo scudetto scende sotto l’Appennino. La Fiorentina di Fulvio Bernardini travolge tutti gli squadroni del Nord e si veste di un insperato tricolore…

Indimenticabile, come tutte le prime volte. Indimenticabile, perché fu il successo di una formazione che riuscì, contro ogni pronostico, a portare lo scudetto al di sotto dell’Appennino per la prima volta dalla fine della guerra. Indimenticabile per la qualità del gioco espresso e per le sistematiche batoste rifilate a tutte le grandi del Nord. Fu il trionfo della squadra dei sogni, nata dalla fantasia e dal coraggio di una coppia di personaggi entrati nella leggenda del calcio fiorentino: Enrico Befani, assurto alla presidenza nell’estate del 1952, e Fulvio Bernardini.

Befani era un industriale tessile di Prato, provvisto di denaro e ambizione ma anche di grande senso organizzativo; i criteri manageriali cui ispirò la sua gestione furono decisivi nella scalata verso il vertice. Bernardini era un allenatore “emergente”, come si direbbe oggi, ma soprattutto era un uomo dotato di cultura e personalità spiccatissime. E dire che quando lui, il dottor “Fuffo”, era stato ingaggiato, all’inizio del 1953, la squadra viola si trovava in pessime acque, a un passo dalla B. Ebbene, al termine di quella stagione i gigliati si classificarono settimi e il tecnico romano si guadagnò a pieni voti la conferma per la stagione successiva.

Da sinistra Julinho, Gratton, Virgili, Montuori e Prini

Aveva pochi capelli, Bernardini, ex fuoriclasse del pallone che Pozzo aveva escluso dalla Nazionale perché troppo bravo (gli altri azzurri non riuscivano a capirne il gioco), ma in testa si era messo un’idea meravigliosa: vincere e convincere su una piazza ambiziosa ma ancora all’asciutto come Firenze. Aveva trovato una difesa solidissima, provvista di uomini di grande qualità ed eclettismo; si trattava di inventare un attacco altrettanto forte. Il suo pallino erano i “piedi buoni”: solo con il gioco e con la classe dei singoli, sosteneva, si poteva programmare il successo.

Lentamente, ma inesorabilmente, cominciò a prendere corpo la formazione che di lì a poco avrebbe atterrito lo Stivale. Il tassello mancante per fare di quel collettivo uno squadrone venne individuato ai Mondiali svizzeri del 1954, durante i quali si mise clamorosamente in luce un’ala destra brasiliana tutta guizzi e serpentine, Julio Botelho detto Julinho. Bernardini amava il calcio, ma non lo stile fine a se stesso e in quel fuoriclasse della fascia destra, grande ispiratore del gioco, aveva intuito una completezza vicina alla perfezione, che gli fece stilare un giudizio straordinario: «Un’ala può arrivare fino a Julinho. Non oltre».

Di ritorno dalla Svizzera, mentre tutti parlavano di Puskas e Hidegkuti, Bernardini stupì i suoi interlocutori esprimendosi senza mezzi termini: «Se riusciamo a prendere Julinho, vinciamo lo scudetto…». Ma per avere il brasiliano i tempi di attesa sarebbero stati lunghi ed estenuanti le trattative, volte a convincere prima lui, il campione dal carattere chiuso e attaccatissimo alla sua terra, e poi la moglie. Solo alla vigilia della stagione 1955-56 fu ufficializzato il suo ingaggio, che suscitò entusiasmo tra i tifosi di Firenze ma non abbastanza – nonostante le sue ottime referenze – da autorizzare sogni di scudetto. Anche perché ad affiancarlo era stato scelto Michelangelo Montuori, argentino di origini italiane, proveniente dal campionato cileno.

Un signor nessuno, insomma, consigliato a Befani da un sacerdote dalla vista lunga, padre Volpi. Centravanti figurava Giuseppe Virgili, un ragazzo appena ventenne, grezzo e potente, che ancora doveva dimostrare il suo valore. In porta, una vera scommessa, Giuliano Sarti, promosso titolare a soli ventidue anni, con appena quattro partite (senza infamia né lode) all’attivo nella stagione precedente. E un segno caratteristico: l’antispettacolarità. L’avrebbero chiamato “il portiere di ghiaccio” perché, in spregio ai tempi, non amava gli interventi per la platea, ma studiava i tiri degli attaccanti per trovarsi sulla traiettoria. Solo Bernardini ne aveva intravisto le eccezionali qualità, la gente un po’ storceva la bocca, non era facile vederlo come erede del grande Costagliola. Ben presto, unitamente al pacchetto arretrato costruito da Ferrero, il portierone bolognese sarebbe diventato uno dei punti di forza di una squadra imperforabile.

Fiorentina-Inter 0-0: uscita di Ghezzi su Montuori

Julinho a parte, insomma, non era lecito sperare in un piazzamento molto migliore del quinto posto conquistato da Bernardini nella stagione precedente, tormentata dall’assenza di riserve all’altezza. Di quella squadra era partito tra qualche polemica il “professore”, al secolo Gunnar Gren, per cui, valutati i pro e i contro, si sperava in qualche colpaccio e nella conferma nelle posizioni di immediato rincalzo al vertice. Non esistendo ancora il piazzamento Uefa, non si poteva pretendere di più. Ma i tifosi toscani non avevano fatto i conti con l’oste, cioè col geniale Bernardini.

La sua formazione tipo si ispirava all’imperante sistema, detto anche WM. Ma l’allenatore, pur predicando un calcio aperto e offensivo, non aveva dimenticato la lezione di Alfredo Foni, capace di vincere due scudetti consecutivi (1953 e 1954) con l’Inter ispirandosi al vituperatissimo “catenaccio”, in cui un’ala (Armano) retrocedeva a dar manforte alla difesa, ove il relativo terzino (Blason) poteva arretrare a mo’ di libero ante litteram. Di quella lezione avrebbe fatto tesoro a campionato avviato, approfittando di… un colpo di sfortuna.

Il suo schieramento base iniziale, infatti, era improntato allo schema classico allora imperante. In difesa, davanti a Sarti, i tre difensori puri di prammatica, i fortissimi terzini Magnini e Cervato e lo stopper Rosetta; a centrocampo il quadrilatero contemplava i due mediani Chiappella e Segato e gli interni Montuori e Gratton. In avanti, Julinho, Virgili e Bizzarri. Montuori si rivelò subito un attaccante nel senso pieno del termine, perfetto complemento, grazie ai propri virtuosismi, dello sfondatore Virgili. Mentre Julinho, ala classica, era un grande inventore di gioco.

Julinho

L’avvio di torneo fu all’insegna della normalità, con un pareggio sul campo della Pro Patria. Accadde tuttavia che in quella partita si infortunasse Bizzarri, il terzo attaccante. Bernardini per l’impegno successivo, in casa col Padova, lo sostituì con l’interno di punta Mazza, spostando Gratton all’ala sinistra. Ma il gioco non decollava, anche se i primi bagliori cominciarono a lampeggiare il 2 ottobre, terza giornata, con il fragoroso 4-0 ai danni della Juventus di Boniperti e Praest. La domenica dopo, però, il modesto nulla di fatto casalingo con l’Inter indusse lo scontento Bernardini a cambiare strada.

Il 16 ottobre era in calendario il derby dell’Appennino, a Bologna, e il dottor Fulvio ne pensò una delle sue, anche se non è ben chiaro fino a che punto il disegno tattico fosse già chiaro nella sua mente. Inserì Prini, un attaccante di fascia molto più propenso ai rientri rispetto a Mazza, e studiò il modo per valorizzare l’eclettismo e l’intercambiabilità dei suoi formidabili difensori. Due le chiavi fondamentali. La prima chiamava in causa le doti di Cervato, antesignano dei grandi fluidificanti (come solo anni dopo sarebbero stati chiamati) del nostro calcio, un terzino vocato alle incursioni offensive e provvisto di un tiro micidiale, non per niente infallibile dal dischetto del rigore.

Orbene, quando Cervato si sganciava, partiva un movimento a scalare, che portava lo stopper Rosetta a coprire la fascia sinistra, l’altro terzino Magnini ad accentrarsi a stopper, sostituito sulla fascia da Chiappella. Era quest’ultimo un formidabile atleta, nato interno e poi retrocesso a mediano difensivo con eccellenti risultati, abile com’era nel “mordere” le caviglie, da consumato mastino, agli attaccanti avversari, così come a ripartire col suo esuberante atletismo. A quel punto intervenne Bernardini, convincendo Gratton, tipico interno d’attacco, a sacrificarsi in copertura, giocando stabilmente a centrocampo per retrocedere in luogo di Chiappella quando questi arretrava.

Giuseppe Virgili

A questo schema se ne aggiungeva un altro, che poi sarebbe stato molto più reclamizzato. Prini, l’abbiamo detto, non era punta pura, ma amava svariare e soprattutto retrocedere in aiuto del centrocampo. Bernardini istituzionalizzò questa sua propensione facendone un’ala “tornante” alla Armano: grazie alla sua copertura, Chiappella poteva retrocedere accentrandosi a marcare il centravanti avversario, così liberando Rosetta da compiti di pura marcatura e facendone il leader della difesa, un libero ante litteram ancorché non codificato. In pratica, dunque, Rosetta e Chiappella divennero due “centrali” intercambiabili, come nelle odierne difese a zona, dotati di grande mobilità. Attenzione, però.

Si parla di schemi, ma il gioco della Fiorentina che dalla fatidica domenica di Bologna prese il volo verso lo scudetto era tutt’altro che ingabbiato nelle linee di geometrie studiate a tavolino. In realtà, Bernardini potenziava ulteriormente la già forte retroguardia, proteggendola con Gratton e Prini, proprio per lasciare le briglie sul collo agli uomini d’attacco. Segato, raffinato costruttore di gioco, poteva così dedicarsi assieme all’irresistibile Julinho a inventare per l’ariete Virgili e lo sgusciante trequartista Montuori, in un meccanismo che nelle giornate di grazia (e tante ce ne furono, quell’anno) funzionava come un orologio svizzero.

Il Bologna cadde in casa sotto i colpi di Virgili e Cervato su rigore, entrambi accesi da folgoranti colpi di genio di Julinho e da quel momento la Fiorentina avrebbe offerto a più riprese il più bel calcio dai tempi del Grande Torino. Montuori, superate le difficoltà iniziali, si rivelò per il grande campione che era, e l’intesa con Julinho e Virgili andò affinandosi di giornata in giornata. Stupendo tutti, il giovane centravanti friulano, celebre fino a quel momento soprattutto per i gol che riusciva a fallire, a fine torneo avrebbe segnato la bellezza di ventun reti, gran parte delle quali ispirate dal geniale brasiliano. Perché la specialità di Julinho era sparare dal fondo velocissimi palloni verso il centro, che consentivano micidiali inserimenti da parte degli avanti viola.

La varietà di schemi era tale, e talmente imprevedibili gli sganciamenti dalle retrovie, che apprestare contromisure adeguate per gli avversari era quasi impossibile. L’armata di Bernardini amalgamava alla perfezione gregari e primedonne in un cocktail efficacissimo.Tutti i difensori (alla fine solo 20 reti subite!) erano nel giro della Nazionale, il generoso Chiappella come il tecnico Rosetta, lo splendido Magnini e l’implacabile Cervato. All’azzurro approdarono anche l’elegante Segato, celebre per i suoi perentori stacchi aerei, l’eclettico Gratton e, nelle vesti di “oriundo”, Montuori, il mago del gol.

Al termine della stagione il vantaggio sulla diretta inseguitrice, il Milan, sarebbe stato di ben dodici lunghezze. Memorabile fu lo scontro diretto a Firenze, il 15 aprile 1956. Fu tre a zero per i viola, reti di Prini e Virgili (2). L’Italia era ai piedi dello squadrone di Bernardini, che nello stupore generale stava infrangendo ogni record. I gigliati conquistarono lo scudetto addirittura con cinque giornate di anticipo, il 6 maggio 1956, col pareggio a Trieste per 1-1. Un unico neo macchiò quella stagione, togliendo alla squadra l’imbattibilità e fu l’ultima di campionato, in casa del Genoa, dove si consumò il piatto freddo della vendetta di Gunnar Gren. Dopo trentatrè giornate senza sconfitta, complice l’arbitro Jonni di Macerata, i ragazzi del dottor Fuffo furono pesantemente bastonati dai liguri, nonostante il vantaggio iniziale di Gratton. Il tre a uno finale per i rossoblù, tuttavia, poco importava, ormai. Il vessillo viola garriva dall’alto della Torre d’Arnolfo, mentre Firenze attendeva i propri eroi per tributare loro il giusto trionfo…

Gli uomini di Bernardini

GiocatorePres.Reti
GRATTON G.343
SEGATO34
CERVATO335
CHIAPPELLA32
MAGNINI321
MONTUORI3213
VIRGILI3221
JULINHO316
PRINI266
SARTI G.25-16
ROSETTA20
ORZAN A.18
TOROS R.9-4
BIZZARRI61
MAZZA4
BARTOLI2
CARPANESI21
SCARAMUCCI2

La corsa allo scudetto

1Pro Patria – FIORENTINA 2-2 (Virgili, Julinho)
2FIORENTINA – Padova 1-0 (Cervato (rig.))
3Juventus – FIORENTINA 0-4 (Montuori, Virgili, Magnini, Virgili)
4FIORENTINA – Inter 0-0
5Bologna – FIORENTINA 0-2 (Virgili, Cervato (rig.))
6FIORENTINA – Atalanta 4-1 (Julinho, Montuori, Julinho, Virgili)
7L.R. Vicenza – FIORENTINA 1-1 (Prini)
8FIORENTINA – Torino 2-0 (Montuori, Montuori)
9Novara – FIORENTINA 1-1 (Cervato)
10Milan – FIORENTINA 0-2 (Montuori, Virgili)
11FIORENTINA – Roma 2-0 (Virgili, Losi (aut.))
12FIORENTINA – Triestina 1-0 (Julinho)
13Napoli – FIORENTINA 2-4 (Montuori, Virgili, Montuori, Virgili)
14FIORENTINA – Spal 0-0
15FIORENTINA – Sampdoria 0-0
16Lazio – FIORENTINA 2-2 (Virgili, Julinho)
17FIORENTINA – Genoa 3-1 (Virgili, Cervato (rig.), Montuori)
18FIORENTINA – Pro Patria 4-1 (Cervato, Virgili, Bizzarri, Virgili)
19Padova – FIORENTINA 0-1 (Gratton G.)
20FIORENTINA – Juventus 2-0 (Montuori, Prini)
21Inter – FIORENTINA 1-3 (Virgili, Virgili, Prini)
22FIORENTINA – Bologna 0-0
23Atalanta – FIORENTINA 0-0
24FIORENTINA – L.R. Vicenza 2-0 (Prini, Virgili)
25Torino – FIORENTINA 0-1 (Montuori)
26FIORENTINA – Novara 4-2 (Montuori, Montuori, Virgili, Montuori)
27FIORENTINA – Milan 3-0 (Prini, Virgili, Virgili)
28Roma – FIORENTINA 1-1 (Virgili)
29Triestina – FIORENTINA 1-1 (Julinho)
30FIORENTINA – Napoli 0-0
31Spal – FIORENTINA 0-1 (Carpanesi)
32Sampdoria – FIORENTINA 0-0
33FIORENTINA – Lazio 4-1 (Lo Buono (aut.), Gratton G., Prini, Virgili)
34Genoa – FIORENTINA 3-1 (Gratton G.)