Beve vini bianchi per dimenticare (i rossi, infatti, gli ricordano… Pablito) e si affida ai fanghi per ritrovare la grinta e i gol dell’anno dello scudetto. Per se stesso, per i tifosi ma soprattutto per il Toro
La rabbia in corpo
CASTIGLIONE DELLA PESCAIA. Beve vini bianchi per dimenticare (i rossi gli ricordano… Paolo) e si cuoce al sole al bagno «il Granchio». Già, il granchio l’ha preso quando ha pensato – ma lo pensavano tutti – che il centravanti azzurro era lui e non altri che lui. Invece è successo che in campionato la sua stella (assieme a quella del «Toro», per la verità) s’è parzialmente offuscata; è successo che con la Jugoslavia ha fatto cilecca, ma soprattutto è successo che dietro lui (ecco la sfortuna) incalzava il terribile Paolino da Prato. Così, per la prima volta, Francesco Graziani è finito a sedere su una panchina. Come un pensionato.
Ma proprio in questa versione inedita il centravanti granata si è rivelato un campione. Campione come uomo che sa tenersi tutto dentro, senza abbandonarsi a polemiche miti o roventi, a chiassose rivolte, ad accuse giuste o gratuite. Ha vinto il Mondiale, insomma, della virile sopportazione. E non è un successo platonico, in tempi in cui la contestazione è il pane quotidiano e sfiora l’inflazione. Qui, a Castiglione della Pescaia, vede ore di pace con la sua troupe familiare quasi al completo (c’è sua moglie Susanna, suo figlio Gabriele, i suoceri, la mamma, i fratelli: manca solo il padre che non ha potuto lasciare il lavoro dei campi, a Subiaco) e medita sani propositi di rivincita. Le uniche divagazioni che si concede sono rappresentate da qualche cenetta con gli amici del posto che lo portano a gustare carne di cinghiale.
«Sì, certo è stata dura – attacca con un sorriso malinconico – buttar giù la pillola amara dell’Argentina, ma ci sono riuscito. E sai perché? Perché mi sono convinto che, nella vita, non si può essere sempre primi. Eppoi, francamente, spero tanto di tornare ad essere il Graziani di una volta diciamo quello di appena un anno fa».
«Motivi oscuri non ce ne sono. Diciamo che ho avuto il colmo della sfortuna di incontrare la stagione storta proprio nell’anno dei campionati del mondo. E diciamo, inoltre, che la mia sfortuna è stato anche quella di avere alle mie spalle un tipo come Paolo Rossi. Perché io sono convinto che con la Jugoslavia giocai male, malissimo, ma un po’ tutti facemmo pena. Causio, forse, in quella dannata partita che mi fece perdere il posto, si espresse meglio di me? Però Graziani, dietro, aveva Rossi…».
– Quindi cambiare Graziani con Rossi è stato un atto automatico, non ci sono stati complotti…
«Non lo credo e non lo voglio credere».
– Si è scritto che Bearzot, come tanti altri tecnici della Nazionale, non avesse (in tema di formazione) completa autonomia.
«Io penso che Bearzot, almeno al novanta per cento, ha deciso sempre da solo. E’ un allenatore che possiede le sue idee e le mette in pratica magari sbagliando, come succede a tutti. Ma non è prevenuto con nessuno, dialoga e dà spiegazione anche a quelli che tiene fuori. Vuoi che ti faccia un esempio? Io e Claudio, all’Hindu Club, abbiamo chiesto a lui, frequentemente, dei colloqui in privato perché ci fornisse delle delucidazioni sulla nostra esclusione. E’ sempre stato disponibile, adducendoci delle tesi, che, almeno dal suo punto di vista, avevano una base logica».
– Quindi escludi lo zampino di Carraro o del clan Juventino e della stessa stampa…
«Andiamo per ordine. Io ritengo che Carraro non si sia permesso di suggerire formazioni a Bearzot. Può avere avuto, al massimo, qualche scambio di opinioni. Per quanto riguarda la stampa, è chiaro che i giornalisti esprimono le proprie idee che possono anche determinare certi orientamenti. Sul clan juventino anch’io ho letto (e sentito dire) che Bettega “faceva la formazione”. Posso dirti, in proposito, che Bearzot parlava spessissimo con Bettega, Causio, Benetti e gli altri juventini, ma sono dell’avviso che questi colloqui non avvenissero per scegliere la squadra da mandare in campo. Semmai, essendo juventini in formazione otto o nove, il mister li interpellava e li ascoltava per preparare la partita, cosa normalissima che accade anche nelle squadre di club».
– Eppure i tifosi del «Toro» continuano ad indirizzare a «Tuttosport» lettere di fuoco in cui si accusa Bearzot di essere filo-juventino e di avere strapazzato i giocatori granata, in particolare te e Claudio Sala.
«Queste lettere le leggo anch’io e dimostrano quanto i nostri tifosi ci vogliano bene. Il che, veramente, mi fa molto piacere. D’altro canto, però, mi dispiace per Bearzot: io dico ai nostri tifosi che l’allenatore della Nazionale ha una sua autonomia e, soprattutto, è un uomo onesto ed un tecnico in gamba. Le sue scelte, lo ripeto, non derivano mai da prevenzione. Al massimo, si può discuterne le convinzioni tecniche. Prendiamo Claudio Sala. Per me è bravissimo, per i tifosi del ‘Toro” lo stesso, ma Bearzot, in base a dei precisi convincimenti tecnici, stima Sala e preferisce Causio. E del resto, considerando quanto il “Barone” ha fatto in Argentina, non gli si può dar torto».
– Respingi anche certe voci di malumore esistenti tra il clan juventino e gli altri giocatori, in particolare voi torinisti?
«Senz’altro. Magari in Argentina succedeva che io mi mettessi a tavola sempre vicino a Zaccarelli o Pulici o Claudio Sala con cui ho più intesa. E lo stesso, del resto, facevano gli juventini. E’ successo anche che, se dovevo parlare di un mio problema, mi rivolgevo, che so, a Zaccarelli con cui ho più confidenza e non a Gentile che conosco e frequento di meno. Ecco, ma fratture precise non ci sono mai state, assolutamente».
– Ritorniamo a Graziani. A livello ufficiale hai mantenuto un atteggiamento esemplare. Ma sotto sotto qualche dissapore con Bearzot non c’è stato?
«Ripeto che con il mister, in Argentina, ho avuto spesso dei colloqui in quanto fare la riserva non mi entusiasmava. Dopo la partita con la Germania, ad esempio, mi sono un po’ risentito perché pensavo davvero di giocare (i tedeschi li ritenevo avversari giusti per i miei mezzi). Ebbene, Bearzot mi ha dato delle spiegazioni che, in parte, mi hanno convinto. Quando si parla di calcio, in linea tecnica, dico, non sempre si può essere d’accordo, trovi?».
«…Io penso che Bearzot, almeno al novanta per cento, ha deciso sempre da solo. E’ un allenatore che possiede le sue idee e le mette in pratica magari sbagliando, come succede a tutti…»
– Si è detto che una grossa sconfitta, in Argentina, l’ha rimediata una parte della stampa italiana che ha espresso, se non altro, giudizi troppo frettolosi. Che ne pensi?
«In effetti molti giornalisti hanno avuto il torto, dopo il deludente pareggio di Roma con la Jugoslavia, di considerarci una specie di “Armata Brancaleone”. Ma la partita con la Jugoslavia – e lo abbiamo abbondantemente dimostrato – era un test di importanza secondaria: i giornalisti non avrebbero dovuto dimenticare tutto quanto di buono avevamo fatto in precedenza, soprattutto in fase di qualificazione, eliminando l’Inghilterra, Comunque, devo dire che le sparate (a salve) della stampa, un lato positivo l’hanno avuto ugualmente: sono servite da stimolo, per caricarci, per prenderci una rivincita».
– Il nostro quarto posto ti soddisfa? O non pensi che, impiegando il materiale in maniera più razionale, potevamo ottenere di più magari il titolo mondiale?
«Diciamo che il quarto posto è un abito su misura che ci sta a pennello in quanto fotografa in maniera esatta i nostri valori. Tuttavia devo rilevare che siamo una squadra che ha fatto il minor numero di sostituzioni e devo anche rilevare che, con l’Olanda ed il Brasile, abbiamo subito dei gol particolari, per cui, tutto sommato, potevamo piazzarci più in alto».
– Come giudichi il livello tecnico di questi mondiali?
«Buono, senz’altro. Si sono visti complessi più che rispettabili, sono mancate, però le stelle di prima grandezza, tipo Cruijff o Beckenbauer».
– Quale squadra ti è piaciuta di più?
«Il Brasile, perché, a parte le virtù di palleggio, ha dimostrato freddezza, personalità, sicurezza. Non è arrivato più in là soltanto a causa della sfortuna»
– Quale giocatore italiano hai ammirato in particolare? E tra gli stranieri, chi ti ha colpito?
«Dei nostri il migliore è stato Scirea perché non ha avuto il minimo sbalzo di rendimento. Tra gli stranieri, alla lunga, mi ha entusiasmato Kempes che ha scatto, tiro, velocità di esecuzione, potenza e dinamismo da fuoriclasse».
– E’ vero che stai meditando una rivincita nei confronti di te stesso e degli altri?
«Non medito rivincite. Piuttosto voglio tornare me stesso al più presto e sinceramente non vedo l’ora di ricominciare a lavorare agli ordini di Gigi Radice».
– Quali obiettivi futuri inseguirai in particolare?
«Prima di tutto desidero rendermi utile al Torino, nella misura in cui lo ero fino alla stagione precedente. Io, al Torino, che mi ha dato tutto, voglio bene come lo si può volere ad un figlio. Spero davvero in una grande annata anche perché i nostri tifosi, in quanto a passione, non temono confronti. La scorsa stagione, verso la fine, sono stato contestato da una parte di loro che mi rimproverava di risparmiarmi per la Nazionale. II fatto è che non giravo, e proprio per questo infatti, ho perso il posto in azzurro».
– Classifica marcatori, scudetto del Torino e ritorno in Nazionale: a quale di questi tre traguardi ambisci di più?
«A tutti e tre. Scherzi a parte, mi preme soprattutto un rilancio del Torino».
– Ma di gol quanti ne prometti?
«Vorrei farne parecchi, credo e sento di poterli fare. Ho una rabbia in corpo…».
– E’ vero che il Torino, tenuto fuori quasi tutto dalla Nazionale, cova, in campionato, una rivincita nei confronti della Juve?
«Sotto certi aspetti sì, non lo nego. Claudio Sala, Pulici, io stesso, un po’ tutti vogliamo dimostrare di essere bravi quanto i bianconeri. Siamo intenzionati ad attuare, insomma, una specie di “politica del confronto”. La mia è una affermazione serena, non vuol essere una battuta polemica. E poi, nella prossima stagione, cercheremo di fare di tutto per spezzare l’egemonia bianconera che i nostri tifosi mal digeriscono».
– Ma il Torino è in grado di sbarrare la strada alla Juve?
«Sì, certo. Onofri, Jorio, Greco, Vullo, sono uomini che potranno dare contributi preziosissimi alla squadra e poi sono convinto che, in noi, c’è uno spirito nuovo, quello spirito che nel 75-76, ci portò allo scudetto».
-A parte Juve e Toro, come vedi le altre squadre dopo la campagna di rafforzamento?
«Mi piace parecchio l’Inter, innanzi tutto, perché ha inserito nel suo telaio, che può contare su goleador come Muraro ed Altobelli, due giovani del valore di Beccalossi e Pasinato. Inoltre, la Roma, procurandosi Spinosi e Pruzzo, ha fatto un grande salto di qualità. Non mi dispiace il Milan, anzi direi che è messo molto bene. Però ha un limite: in prima linea gli manca un uomo da quindici gol. Per quanto riguarda il magnifico Vicenza, devo dire, francamente, che quest’anno incontrerà maggiori difficoltà in quanto verrà affrontato da tutti, con più cautela. Per lo stesso Rossi la vita si farà più difficile».