FRANCO CAUSIO – novembre 1978

Intervista, tratta dal Guerin Sportivo, sulle esperienze di un campione che arrivò alla Juventus nel ’66


Da istintivo ragazzo ricco di talento e di presunzione, Franco Causio si è trasformato in prezioso calciatore «fantasista» che produce uova d’oro. Ed è diventato uomo. I suoi inizi di stagione sono solitamente buoni; ma il talento non sempre si accompagna alla continuità. Causio, quest’anno, ha dimostrato il contrario. Ad eccezione del derby e del secondo tempo con l’Ascoli ha giocato puntualmente su livelli quasi ottimali, anche quando (come a Glasgow) la squadra non sapeva assecondarne le invenzioni e la genialità. Perché questo inizio sinfonico?
«E’ dovuto alla maturità che ho raggiunto, che si raggiunge a poco a poco — esordisce il “barone” bianconero — non basta saper fare determinate cose, bisogna farle con modo, con dosaggio di energie, con misura, con cautela. Perciò posso ritenermi come uomo abbastanza completo; e pure come calciatore».
II derby: è una parola strana, che rievoca sensazioni particolarmente piccanti. Per tradizione, un giocatore di calcio alla vigilia dell’evento maschera i timori e le emozioni dietro un diaframma diplomatico, dietro a luoghi comuni come: «E’ una partita come le altre». Poi, all’atto pratico, i risultati sono sconvolgentemente negativi sotto l’aspetto psicologico.

causio-intervista-1978-wp

Che cosa cambia in lei in un derby? «Tutto. E’ inutile nasconderci dietro a frasi fatte. Il derby è una gara atipica, che richiede massima concentrazione ed a volte non basta. Hai voglia ad essere maturo per superare questo difficilissimo esame! Per me, in special modo, come per Bettega e Furino cresciuti nella Juventus e per Pulici cresciuto nel Torino, l’esame è terribile. E’ diverso, ecco tutto».

Nello scudetto dei 51 punti, la Juventus vinse in trasferta a raffica; successivamente, dosò i propri progetti, oggi ha allentato la presa e, come ospite in casa d’altri, non vince più dal marzo scorso, Atalanta-Juventus 0 a 2 con gol di Verza e Benetti. Perché tutto questo tempo?
«La prima e immediata risposta è semplice: abbiamo colpito, fra pali e traverse, per ben otto volte, i legni delle porte avversarie. Dettaglio che ci è costato la bellezza di tre punti; uno a Catanzaro, uno a Napoli ed uno a Bologna; due sono da addebitare al sottoscritto. Nell’analisi globale queste cifre io non le trascurerei. Se avessimo tre punti in più saremmo insieme al Milan ed al Perugia. Ed ho tralasciato il palo di Virdis con il Perugia, quando perdemmo per 2 a 1. Fate voi i conti finali e concludete. Lo so che con questo tipo di contabilità non si vincono i campionati, ma sarebbe ingiusto non tenerne conto per scagionarci dalle troppe critiche che ci piovono addosso. Le vittorie in trasferta dell’anno dei 51 punti io le dimenticherei. Ed invito i tifosi ad imitarmi. Sono ricordi troppo belli, irripetibili per pensare di poterli rivivere ancora. Ma nonostante tutto siamo ancora in corsa. Per un tempo, contro l’Ascoli, avete visto la vera Juve. lo ho giocato male nel secondo tempo, lo ammetto. Ne ho parlato con il mister».

Juve con Virdis, Juve con Boninsegna. Esistono differenze. Quali secondo lei?
«Con Virdis la squadra è più portata alla manovra, con Boninsegna è più incisiva. Sono due giocatori diversi. Virdis è un centravanti di movimento, Boninsegna da area di rigore. Alla Juve servono tutti e due poiché Bettega sa adattarsi al gioco di tutti e due. Importante è però la forma. Boninsegna ha un solo difetto: i 35 anni; il futuro è di Virdis».

Un ricordo nel passato. Cosa è cambiato dal ’66 ad oggi in lei? «Tutto — replica Franco con un sospiro molto significativo — venni a Torino che avevo sedici anni. Ero un ragazzo sconosciuto che percorreva l’Italia, lungo il meridiano, alla ventura. Volevo sfondare e sognavo. Non è stato tutto facile (ho giocato anche nel Palermo e nella Reggina), nonostante avessi qualità che mi permisero di essere acquistato dalla Juventus, a differenza dei miei coetanei meno fortunati di me. Ho sempre avuto tanti difetti; ma ho trovato nei dirigenti che gestiscono la società e negli allenatori uomini capaci di farmi maturare».

La vita di Franco Causio.
«Il mattino lo dedico agli allenamenti. Le domeniche alle partite. Al pomeriggio dormo fino alle quattro per recuperare. Poi corro in ufficio, dirigo un’agenzia assicurativa insieme ad un mio amico, Ciccanese, poi corro a casa, e dedico tutto il resto del mio tempo alla famiglia. Per adesso gli affari con l’assicurazione vanno bene perché mi chiamo Causio; un giorno chissà…».

coppa_uefa_1976-77_-_juventus_vs_athletic_club_-_franco_causio

Uno sguardo al campionato. Domenica si giocano Milan-Perugia e Torino-Napoli. Voi andate a Bergamo, contro l’Atalanta. Cosa può accadere?
«Bella gara a San Siro. Ci stanno tutti e tre i risultati, anche se il Milan, essendo più esperto e giocando in casa, gode dei maggiori pronostici. Il Torino è in crescita dunque è favorito con il Napoli che comunque potrebbe strappare con la disperazione un pareggio. La Juve, a Bergamo, può vincere, ma può anche perdere. Lei sa come è il calcio. Noi andremo per i due punti».

Domanda conclusiva: i suoi obbiettivi, le sue ambizioni.
«Restare il più a lungo possibile nella Juventus; vincere al termine di questo campionato lo scudetto che ci consegnerebbe definitivamente alla storia, per via che sarebbe il terzo consecutivo, exploit mai raggiunto nel dopoguerra. Infine, vorrei partecipare ai campionati europei che si svolgeranno nell’80 a Roma».

Franco Causio si liscia i battetti ben curati e ci guarda con occhio disteso. Appartiene ai passato remoto quel suo sguardo torbido e diffidente. Ora è un uomo maturo.