Franco Bergamaschi: da San Siro al casello

Protagonista della «fatal Verona», finì al Milan ma non sfondò: «Se tornassi indietro, magari mi farei pestare un po’ meno i piedi»


Questa, in fondo, è la storia di un’inversione a U meno brusca e definitiva di un 5-3 fatalmente decisivo per uno scudetto e dell’estate che cambiò una vita… Franco Bergamaschi il 20 maggio 1973 fu uno dei protagonisti della sconfitta del Milan a Verona, da allora diventata appunto «fatale» perché costò lo scudetto della stella ai rossoneri. Bergamaschi aveva 22 anni ed era uno dei talenti più interessanti del calcio italiano. Giocò una gran partita contro la squadra di Rocco e pochi mesi dopo, conteso fra rossoneri e Juve, finì proprio a Milano a suon di milioni (420): fu il giocatore più pagato del calciomercato 1973.

Giocò dignitosamente un anno a San Siro, ma il suo rendimento fu comunque al di sotto delle aspettative. Scese in B, poi riemerse, facendo ancora tanta serie A (187 presenze in tutto) col Foggia, ancora col Milan e di nuovo con il suo Hellas. Un brutto infortunio, a 30 anni, lo costrinse a giocare nelle serie minori il finale di carriera.

Oggi Franco Bergamaschi sta seduto di fronte ai ricordi come una domanda davanti a una risposta fuori tempo massimo. Il pallone è lontano dal casello autostradale di Sommacampagna dove «el bocia» (come lo chiamava Rocco) lavora dal ’90. Da San Siro alla A4 la strada può essere lunga e tortuosa più di quanto non si creda, anche se certo non fatale. Insolita, però, quello sì.
«Non ho rimpianti» ti marca subito stretto lui, che era una mezzala e non era abituato a difendersi: «Non dico di essere stato fregato, ma all’epoca, senza procuratori, le trattative le facevamo noi. Io ero timido, giocavo solo per puro divertimento. E mi davano meno che potevano. Se tornassi indietro, magari mi farei pestare un po’ meno i piedi. Quello che non cambierei mai è l’approccio che ho sempre avuto con lo sport: divertimento e basta».

Franco aveva talento da vendere: «Piedi molto buoni, in effetti. E correvo anche molto. Nel ’73 vinsi il trofeo (assegnato dal quotidiano «La Notte») come miglior centrocampista. Davanti a Fabio Capello e Faloppa». Niente male. Niente male anche in Under 21 e 23, con Oriali, Pulici e Bordon. Patron Garonzi se lo coccola, Rivera lo vedrebbe bene al Milan e lui nella domenica in cui i rossoneri dovevano vincere lo scudetto gioca come sa. Senza calcoli. Per Franco è il lasciapassare verso Milano, dopo tre stagioni in A con l’ Hellas (aveva esordito nel ’70, a 19 anni).

«Mi trovai abbastanza bene, ma pagai l’annata negativa della squadra (come Rocco, che fu esonerato, ndr). Forse dovevo essere più determinato. In campionato comunque la squadra non andò come doveva. Segnai un gol in 18 partite: a San Siro contro il mio Verona. Faticai a esultare. In Coppa arrivammo comunque in finale e giocai quasi tutte le partite».

E fu decisiva, la mezzala bionda con gli occhi chiari. In finale però vinse il Magdeburgo e la stagione finì con un’ inerzia che non prometteva bene. «Potevo giocare di più, ma non protestavo comunque mai. Poi arrivò una telefonata: “Ti abbiamo prestato al Genoa”».

In Liguria la giovane stella non cade, ma non ha modo di esplodere. Meglio il Foggia, con Del Neri e Domenghini, che gli farà anche da testimone di nozze a Verona, dove oggi vive con la moglie Antonella. «A Cesena in B mi fratturai tibia e perone. Poi ho giocato a Treviso, Rimini e ho chiuso al Modena a 35 anni». E dopo? «Tra oggi e quegli anni c’è un abisso negli ingaggi dei giocatori. Io i miei capricci me li sono tolti, non ho certo fatto una vita da frate. Ma avendo giocato a calcio per passione non mi andava poi di rimanere nell’ambiente. Non sono sceso mai a patti con nessuno e non ho niente da rimproverarmi». Qualcuno però lo stuzzica, com’è ovvio, perché, dicono, è stato ed è troppo schivo, silenzioso. «Apparivo pochissimo, sui giornali e in tv. Ma ancora oggi al casello qualcuno si ferma, mi riconosce e mi guarda stupito. E lo capisco anche. Tanti però mi fanno semplicemente i complimenti per quello che ho fatto».

Senza trarre una lezione su un campione che poteva dare magari qualcosa in più al calcio e a se stesso. «Non lo so. So solo che non avrei mai accettato una “grande” per poi non giocare, come oggi fanno in molti. Prendevo la metà dei soldi, pur di correre dietro a un pallone. C’erano sacrifici, tra ritiri e allenamenti, ma mi sentivo un privilegiato: giocare a calcio non è un lavoro».
Dopo, un’ occupazione vera bisognava quindi cercarsela.
«Ho gestito una tabaccheria per un paio di anni, ma non faceva per me. Dal ’90 lavoro per le Autostrade».

Testo di Paolo Tomaselli

Franco Bergamaschi (Verona, 9 febbraio 1951)

StagioneClubPres (Reti)
1970-1973 Verona81 (3)
1973-1974 Milan18 (1)
1974-1975 Genoa29 (1)
1975-1976 Milan5 (0)
1976-1978 Foggia54 (7)
1978-1980 Verona55 (2)
1980-1981 Cesena14 (?)
1981-1982 Rimini15 (1)
1982-1984 Treviso65 (4)
1984-1985 Modena29 (0)