Franjo Glaser e l’arte di cadere sempre in piedi

Considerato uno dei migliori portieri del mondo a cavallo della seconda guerra mondiale, la vita della leggenda croata Glaser non è stata priva di ombre…

Nel 1942 lo scrittore e filosofo Albert Camus dà alle stampe il suo miglior lavoro, “Lo Straniero” (L’Étranger). È la storia di Meursault, un piccolo impiegato che vive ad Algeri, e che conduce, come tanti, un’esistenza chiusa in uno squallido conformismo. Un giorno, quasi per caso, uccide un arabo. Arrestato, egli non tenta neppure di giustificarsi, di difendersi: viene processato e condannato a morte. L’opera affronta vari interrogativi: chi sia Mersault – estraneo a sè stesso – un volgare assassino, un folle o un ribelle; quale significato abbia il suo gesto e il suo comportamento. Camus racconta la storia di un delitto assurdo e denuncia l’assurdità di vivere e dell’ingiustizia universale.

Camus, un tempo talentuoso portiere del Racing FC in Algeria, non si è mai preso la briga di spiegare dove era solito trovare ispirazione per le sue storie. Possiamo quindi solo ipotizzare che lo scrittore francese abbia letto qualcosa sull’insolita vita di Franjo Glaser, portiere jugoslavo di origine croata. Sei anni prima che Meursault apparisse per la prima volta sugli scaffali, Glaser era infatti sotto processo per un omicidio che aveva strani paralleli con quello dell’eroe immaginario di Camus.

Un talento precoce

Franjo Glaser nasce nel 1913 a Sarajevo, da genitori croati. All’inizio del XX secolo, la Bosnia Erzegovina, come la Croazia, patria dei suoi genitori, non esiste ancora, ed entrambe fanno parte dell’Impero austro-ungarico. Un impero ormai alle sue ultime ore di vita. È all’interno del nuovissimo Regno di Jugoslavia che Glaser si impone precocemente esordendo già a 15 anni con l’Hajduk Sarajevo in Coppa Jugoslavia. Le sue performance gli permettono di tornare due anni dopo nella sua Croazia, tesserato dallo Slavija Osijek. E’ l’inizio di un’ascesa irresistibile.

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Nel 1933, una nuova tappa di questa salita coincide con il servizio militare. Glaser viene trasferito al BSK Belgrado (ora OFK Belgrado). Se il club è già uno dei migliori del campionato, l’arrivo del portiere ne dà ulteriore slancio portandolo a vincere due titoli nazionali in quattro stagioni. Oltre ai suoi primi successi, il portiere si guadagna un nuovo soprannome, Pugno d’Acciaio, e i suoi primi gettoni con la nazionale jugoslava. L’esordio internazionale avviene davanti a 17.000 spettatori nello stadio BSK di Belgrado contro il grande Zamora in JugoslaviaSpagna 1-1.

Franjo Glaser a soli 23 anni è già una star del calcio jugoslavo, conosciuto per la sua correttezza, la sua sportività, oltre che al suo coraggio e la sua straordinarie abilità, soprattutto come para-rigori. La vita del giovane portiere viene però improvvisamente sconvolta nell’estate del 1936. E sta per rivelare il suo “lato oscuro”.

Il lato oscuro

Fa caldo a Belgrado alla fine della primavera del 1936. Una calura soffocante. Le stazioni balneari del Danubio e del Sava, il suo affluente, sono aperte già dalla fine di maggio e sono sempre piene. Gli abitanti della capitale scendono in massa sul lungomare per trovare quel ristoro che manca in città. Tra questi, anche Glaser e i suoi compagni di squadra del BSK.

Seduto su una piattaforma costruita sulla riva del fiume Sava, un membro dello staff tecnico del club, Radomir Stokić, tenta di scherzare con il portiere. Glaser, anzichè stare al gioco o al limite dirgli educatamente di allontanarsi, senza esitare un attimo spinge Stokić in acqua nonostante fosse ben consapevole che il ragazzo, appena diciassettenne, non sapesse nuotare. Radomir chiede aiuto, ma nel giro di pochi secondi scompare nell’acqua fangosa, per non riaffiorare mai più. Da quella piattaforma che si affaccia sul fiume, Glaser rimane immobile ad assistere alla tragedia.

L’impressione di apparente disinteresse dimostrato da Glaser per la morte del suo giovane compagno di squadra viene confermata durante le indagini e il successivo processo. Emerge anche che lo stesso giorno, dopo la tragedia, si reca a Novi Sad per assistere ad una partita amichevole tra BSK e Vojvodina, come se non fosse successo niente. Il giorno dopo, la polizia inizia a tempestarlo di domande, ma Glaser risponde semplicemente che la morte del ragazzo è stata certamente una disgrazia, ma che lui si ritiene totalmente estraneo ai fatti. Senza mostrare alcuna emozione, sostiene con fermezza che il giovane è caduto in acqua accidentalmente.

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I giornali parlano del processo del 1936

Tuttavia, le cose sono destinate a cambiare qualche giorno dopo. In un’aula di tribunale affollata da giornalisti e sostenitori del BSK, la difesa di Glaser comincia a mostrare qualche incoerenza. Dopo che i suoi compagni di squadra rigettano le dichiarazioni iniziali, ammettendo di aver visto il portiere spingere Stokić in acqua, Glaser si rende conto che non può più evitare l’accusa di omicidio. E, finalmente, confessa.

Dopo tre mesi e mezzo di indagini, il Tribunale emette il suo verdetto, durissimmo: due anni di prigione. Secondo la Corte, Glaser era consapevole della pericolosità del suo atto e del fatto che Rada Stokić non sapesse nuotare. Per non parlare del comportamento alquanto insolito tenuto nei giorni seguenti alla disgrazia, della sua iniziale negazione dei fatti accompagnata dalle false testimonianze a suo favore dei suoi compagni di squadra, tutte circostanze ritenute aggravanti.

Ma anche di fronte alla sua condanna, Glaser rimane gelido, e accoglie con un leggero sorriso il verdetto. Un giornalista del quotidiano Politika scrive: «Glaser avrebbe sicuramente potuto farla franca con la sospensione condizionale della pena se fin da subito avesse ammesso di essere coinvolto nella morte del suo amico».

Un ritorno in acque tormentate

A questo punto le nebbie della storia si infittiscono, perchè nonostante il verdetto unanime di colpevolezza, Glaser in qualche modo viene mandato a scontare la pena nella sua nativa Croazia, dove però viene rilasciato quasi immediatamente. Ritroviamo infatti le sua tracce già nel 1937 a Zagabria. Sul campo, dove ha potuto godere di una certa clemenza barattata in cambio del suo talento. Glaser riacquista ben presto il suo status di giocatore, questa volta con la maglia del Građanski Zagabria, ora Dinamo Zagabria. Anche se non compare nella lista dei campioni nazionali del 1936-37, vince il suo terzo titolo nella stagione 1939-40, proprio a spese di degli ex compagni del BSK Belgrado, allora campioni in carica.

Il 1940 e lo scoppio della seconda guerra mondiale segnano la fine del campionato jugoslavo. Glaser ha collezionato non meno di 623 partite per il Građanski Zagabria, e 35 con la Nazionale del Regno di Jugoslavia, che gioca la sua ultima partita, vincendola 2-0, contro la Germania battente bandiera nazista.

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Croazia-Svizzera del 1940

Con l’occupazione tedesca nel 1941, il Regno implode e viene creato lo Stato Indipendente di Croazia (in croato: Nezavisna Država Hrvatska, abbreviato in NDH), le cui redini sono affidate al partito nazionale di estrema destra, filo nazista, guidato da Ante Pavelić. All’interno di questo nuovo stato nasce anche un campionato, al quale partecipa anche il Građanski di Franjo Glaser che se lo aggiudica per due stagioni. Tra il 1941 e il 1944 difende anche per undici volte la maglia della nazionale croata, una selezione assemblata dalle forze di occupazione tedesca. Il posto in squadra Glaser se lo guadagna sia con le sue doti di portiere, sia con i convinti saluti nazisti che esibisce davanti ai tifosi e al leader dell’NDH Ante Pavelić.

Ritorno a Belgrado

1945. La guerra è finita. In una Jugoslavia riunificata – sotto il nome di Repubblica Federale Popolare Jugoslava – il maresciallo Tito è leader del paese da più di un anno. Un leader che organizza il massacro e la pulizia degli Ustashi, soldati croati e militanti di estrema destra fedeli a Pavelić accusati di collaborazionismo con i tedeschi. Questa volta sembra finita, ma Franjo Glaser cade ancora, e misteriosamente, in piedi.

Contro ogni aspettativa, il portiere non sembra avere problemi con l’arrivo al potere del nuovo regime filocomunista. Non ne ha per il suo crimine prebellico, per il quale comunque non ha scontato la pena, né per i suoi legami con il partito Ustaše e il regime nazista durante il conflitto. I suoi trascorsi sono semplicemente dimenticati. Non solo: il suo ritorno in prima linea sulla scena calcistica passerà ancora attraverso Belgrado.

Proprio così, quasi un decennio dopo aver lasciato la città per sfuggire al carcere, Glaser ritorna a Belgrado. Gli hanno offerto il ruolo di giocatore-allenatore per un club nuovo di zecca: il Partizan, la squadra dell’esercito nazionale jugoslavo.

Già, perchè in poco meno di dieci anni, molta acqua è passata sotto i ponti del fiume Sava e il passato di Glaser è scomparso dalle memorie popolari, che conservano ora solo la sua nuova gloria. Perché il portiere, nonostante tutto, non ha perso nulla del suo smalto. Accanto ad alcuni dei suoi ex compagni di squadra della Croazia, come Stjepan Bobek, Franjo Šoštarić e Florijan Matekalo, Glaser con il Partizan Belgrado si aggiudica il primo campionato jugoslavo del dopoguerra nel 1947.

Quando si ritira dal calcio giocato nel 1948, i numeri parlano di un totale di 1.225 partite giocate, inserendolo di diritto tra i migliori portieri del mondo del suo tempo. Oltre a detenere un singolare record, quello di essere l’unico giocatore ad aver vinto il campionato jugoslavo prima e dopo la seconda guerra mondiale, non bisogna dimenticare lo straordinario “score” come pararigori: su 94 penalty Glaser ne riuscì a parare ben 73. Si tratta di un rapporto senza precedenti nella storia del calcio jugoslavo e probabilmente mondiale.

Dopo questa brillante carriera come giocatore, se ne regala una seconda come allenatore lunga quasi tre decenni. Girerà instancabilmente la Jugoslavia guidando Partizan, Mornar Split, Kvarner Rijeka (ora HNK Rijeka), Proleter Osijek (ora NK Osijek), NK Zagabria, Borac Banja Luka e Velež Mostar, per non parlare di una puntata in Austria, a Klagenfurt, alla fine degli anni Sessanta.

Trascorre l’ultimo tempo della sua vita in una casa di riposo a Zagabria, dove muore nel 2003, all’età di 90 anni. È ora sepolto nel famoso cimitero di Mirogoj a Zagabria, dove a fargli compagnia ritroviamo molti personaggi famosi della storia croata, ma anche nomi più noti delle giovani generazioni, come il giocatore di basket Dražen Petrović.