FRIEDENREICH Arthur: il primo Re

Se 1239 gol non bastano per giocare nella Seleção.

Questa è la storia di Arthur Friedenreich, che non riuscì mai a giocare un Mondiale ma inventò da solo la differenza del calcio brasiliano. Arthur era figlio di un commerciante tedesco che era andato a vivere a San Paolo e di una lavandaia di colore. Nacque così con la pelle scura, i capelli crespi e gli occhi chiari. E’ un Mulatto atipico, alto e robusto per l’epoca, siamo all’inizio del Novecento, ma soprattutto quegli occhi chiari lo distinguevano da tutti. Arthur però non aveva molta voglia di essere nero, capiva che i bianchi erano più protetti, i neri poveri e discriminati. E lui in fondo aveva un padre tedesco.

Non fosse per il colore della pelle avrebbe potuto essere scambiato davvero per un bianco. Cominciò allora a stirarsi i capelli neri per eliminare i riccioli e si mise sulla faccia della crema di riso come cipria per sembrare più pallido. Raccontava di essere stato in Europa. Lasciava intendere che ci avesse anche vissuto o che fosse andato lì per studiare e diceva di avere giocato in una squadra che si chiamava Germania. Sapendo giocare benissimo a calcio, era ben accetto nei circoli tedeschi di San Paolo anche se solo per il tempo di stare in campo. Insomma per alcuni anni riuscì quasi a illudersi di essere un bianco.

D’altra parte la legge era molto dura: ai neri era vietato giocare con i bianchi. Quando ci si accorse che i neri sapevano giocare almeno quanto i bianchi e quindi non esisteva inferiorità genetica, si decise di ricorrere a barriere culturali. Si mise nei regolamenti che la lingua ufficiale del calcio in Brasile doveva essere l’inglese. Si diceva anzi che il giocatore colpito sul campo potrebbe accettare le scuse del colpevole solo quando queste scuse fossero sincere e formulate in un inglese corretto, che non era esattamente la lingua delle favelas o delle foreste amazzoniche.

Stiamo parlando di un Brasile giovane, intransigente, profondamente razzista. Un paese da inventare, ma Arthur Friedenreich era un fenomeno e i bianchi facevano a gara per fingere che avesse la loro stessa pelle.

Il calcio era arrivato sulle spiagge brasiliane una trentina di anni prima intorno al 1870 portato dai marinai inglesi e per molto tempo era stato giocato quasi solo dai bianchi. Il materiale, i palloni, le scarpe, le maglie e soprattutto i manuali del gioco: arrivava tutto dall’Inghilterra. Si giocava dove era possibile avere campi in erba, cioè nei circoli in cui si ritrovava la buona borghesia bianca.

Appena appare, Arthur Friedenreich stupisce subito tutti. Debutta nel 1910 a diciott’anni nello Sport Club Germania, la squadra della comunità tedesca di San Paolo, ed è come un’apparizione pagana. Gioca un calcio che nessuno ha mai visto, niente a che vedere con il calcio dei marinai inglesi o con le mosse fisiche dei bianchi.

Arthur è una ballerina e danza sul campo. Muove il pallone come vuole. Colpisce con qualsiasi parte del piede. E’ un nuovo tipo di atleta, capace di fare qualunque cosa. Mescola la forza e la corsa dei bianchi, la magia degli amazzonici e la resistenza dei ragazzi sulle spiagge di Rio. Inventa le curve del calcio, come scrisse molti anni dopo Eduardo Galeano: “Da Friedenreich in avanti il calcio brasiliano, quando è davvero brasiliano, non ha angoli retti“.

A quell’epoca la squadra più forte del Sudamerica era l’Uruguay, una nazione piccola, quasi una conclusione meridionale del continente brasiliano. Nel 1916 aveva vinto la prima Coppa America schierando due giocatori neri e stava riempiendosi di lavoratori italiani. Non è un caso se l’attaccante più famoso di quella Coppa America si chiamasse Giuseppe Piendibene Ferrari. Origini chiare nonostante la nascita a Montevideo.

Ma torniamo a Friedenreich. Nel 1912 a 20 anni segna il primo gol in una selezione brasiliana tutta paulista contro l’Argentina. Poi diventa una gloria nazionale facendo il centravanti della prima Seleção nel 2-0 contro una squadra dei maestri inglesi, l’Exeter City. E’ il 21 luglio del 1914 e in Europa sta per scoppiare la guerra.

Friedenreich ha 22 anni. in quella partita non segna ma fa impazzire il suo avversario. Sfinito di dribbling, l’inglese gli molla un cazzotto in bocca, perde due denti ma Arthur è il nuovo eroe di un Paese che sta appena nascendo. Cinque anni dopo nel 1919 a Rio de Janeiro si gioca la quarta edizione della Coppa America. Il Brasile batte il Cile, poi l’Argentina con 3 gol di Friedenreich. La finale con l’Uruguay finisce 22 e bisogna giocarla, ma anche la seconda partita finisce in parità. Vanno in onda così i primi tempi supplementari della storia del calcio. Al minuto 122 ben oltre la fine Friedenreich riesce a fare gol dando al Brasile la coppa e il primo titolo internazionale.

Arthur non è più un ragazzo mulatto che si stira i capelli crespi. E’ diventato il cittadino più famoso del Brasile. Lo chiamano il Tigre per la sua velocità e per gli occhi chiari. Lui fuma sigari di marca e si fa mandare le cravatte dall’Europa ed è ormai un ricco signore snob con la pelle nera, ma i problemi non sono finiti.

In Brasile si diffonde un nuovo tipo di razzismo. Per due anni tra il 1920 il 1921 per ordine del suo capo di Stato il presidente Epitácio Pessoa il Brasile porta in nazionale solo giocatori carioca. Sono quelli che partecipano al campionato di Rio. Il Carioca è un fiume, essere carioca significa in pratica quelli che bevono l’acqua del carioca. L’altra metà del Brasile è Paulista e Arthur fa parte di quella metà. Sono due anni di sconfitte dure per il Brasile.

Il presidente ci ripensa e per la Coppa America del 1922 la Nazionale viene riaperta anche ai paulisti. La squadra va in finale e potrebbe essere di nuovo il momento di Friedenreich. Tutta la gente lo acclama, vuol vedere il Tigre in campo ma Pessoa accetta solo paulisti bianchi. Arthur è nero e resta fuori e il Brasile vince anche senza di lui.

Friedenreich ormai non è più un ragazzo, ha passato i 30 anni. Vince 7 titoli nazionali con Paulistano e poi si imbarca in una lunga tournée in Europa dove segna 12 reti in dieci partite. La parte migliore è in Francia dove restano tutti estasiati. La stampa europea lo battezza “re del calcio”. Ma Arthur ha ancora un ultimo desiderio: partecipare ai primi mondiali della storia, quelli del 1930 in Uruguay.

Nel frattempo è decisamente invecchiato anche se ha 38 anni e continua a fare gol. Potrebbe ancora giocare insomma e a differenza di molti giocatori europei è già un calciatore professionista. Non avrebbe difficoltà ad andarci ma è di nuovo dalla parte sbagliata della Luna. La Federazione brasiliana decide di portare in Uruguay solo giocatori carioca, i paulisti restano un’altra volta a casa.

Quando smette Friedenreich è uno degli uomini più famosi e ricchi del Brasile. Poi lentamente viene quasi travolto dalla crescita del Paese e del calcio brasiliano finché non viene di colpo riscoperto il 10 novembre del 1969. Allo stadio Maracanà di Rio si gioca SantosVasco de Gama.

Al 34 esimo l’arbitro dà un rigore al Santos. Pelé lo realizza: è il suo millesimo gol. La partita viene sospesa e O’Rey è portato in trionfo. Tutti però sanno che non è stato lui il primo a superare i mille gol. Proprio l’avvicinarsi di Pelé a quel traguardo aveva scatenato le ricerche degli statistici. Una vera corsa all’oro dell’ultimo gol, ed era venuta fuori la verità.

Era stato Arthur il primo a passare i mille gol. Non solo, allora si disse che ne avesse segnati in tutto 1329, più di quanti ne avrebbe realizzati Pelé  fino alla fine, cioè 1281. Ne sarebbero nate altre risse, altre ricerche. E sarebbe venuta fuori un’ulteriore verità: i gol di Friedenreich erano stati in effetti 1239 non 1329. Qualcuno aveva scambiato le posizioni del 2 e del 3. A Pelé quindi sarebbe stato assegnato il record dei gol segnati a Friedenreich quello di essere stato il primo a superarne mille: tutti contenti.

In realtà, va detto che per larga parte della carriera di Friedenreich non erano esistiti referti arbitrali quindi non c’era alcuna documentazione ufficiale che indicasse con certezza l’autore di un gol. Arthur aveva pensato di ovviare da solo incaricando un suo compagno di squadra di tenergli il conto. Qui però non ci troviamo dentro una tempesta di polvere del tempo. I numeri di Friedenreich sono assolutamente congrui e sono stati verificati quasi uno per uno da decine di studiosi. Resta comunque un fatto: nelle 572 partite che furono invece coperte da referti arbitrali, Arthur segnò ben 547 reti. Dunque fu davvero il primo dei fuoriclasse.

Per un’ultima coincidenza del destino Friedenreich morì nel 1969 a 77 anni appena due mesi prima che Pelé segnasse il suo millesimo gol. Dicono che fosse ancora ricco ma vivesse ormai quasi dimenticato. Se però andate in Brasile e volete sapere qual è il premio dedicato al giocatore che ha fatto più gol in un anno scoprirete che quel premio ancora oggi è dedicato a lui, al Tigre dagli occhi chiari.