G.B. FABBRI – Dicembre 1977

Ormai lo conoscono tutti, ma fino a poco tempo fa il Fabbri famoso era un altro. L’allenatore del Vicenza-rivelazione si confessa: magari con un pizzico di rancore verso chi non volle credergli fino in fondo: Mazza (Spal), Martelli (Livorno) e Loschi (Piacenza). Quello che manca per fare grande il Vicenza. Le doti degli attuali moschettieri.

Confidenzialmente… G.B.

VICENZA – Ha atteso per oltre vent’anni i primi riconoscimenti per il proprio opera­to, ed adesso si permette semplicemente di non fare complimenti. Gian Battista Fabbri, per una volta, si concede questo lusso; ne ha passate tante, nel corso della propria car­riera di allenatore, e una volta tanto dice basta ai formalismi, c’è qualche episodio ancora da chiarire.

«Non mi dimentico certo la stagione di Livorno», ricorda Fabbri scuotendo il capo. «La squadra era quinta in classifi­ca, la gente tornava allo stadio, diciottomila paganti – in serie C – erano dav­vero tanti. Ma a Corasco Martelli, il pre­sidente, non bastavano, così come non erano sufficienti nemmeno i punti in classifica. Una dome­nica, poco prima di scendere in campo, mi viene consegnata una raccomandata personale; con gesto squisito i dirigenti m’informano sulla formazione da mandare in campo e rimproverano, paternamente, le mie ripetute disobbedienze. Dove­te sapere infatti che ormai da tempo rifiu­tavo di consultarmi, per le decisioni di carattere tecnico, con il vertice societario, com­posto a quel tempo da Mariotti e dal Mar­telli stesso. Cosa fare, a questo punto? Per l’ultima volta mandai in campo la “mia” formazione, e quindi pensai bene di togliere il disturbo; l’avevo davvero fatta grossa, non c’è che dire…».

– L’anno successivo approdò a Piacenza, do­ve ad una trionfale promozione in serie B fece subito seguito il ritorno fra i semipro­fessionisti: come andarono esattamente le cose?
«Era, quello di allora, un Piacenza che girava a mille. Vincemmo il campionato segnando qualcosa come 69 reti (massimo di tutti i tempi, n.d.r.) ma a luglio se ne andarono due pedine determinanti, Valentini e Zanolla. Il cannoniere, poi, venne ceduto proprio allo scadere delle liste, dimodoché – per la sua sostituzione – si rese necessario fare ricorso alle serie minori. Pretesi a tutti i costi l’acquisto di Jacovone – allora centravanti del Mantova – ma all’ultimo momento non se ne fece più nulla; in seguito seppi dai diri­genti virgiliani che il voltafaccia dello staff piacentino venne giustificato dalle seguenti, testuali parole: “Fabbri si dovrà accontenta­re di quello che gli vorremo dare”…».

– …e così retrocedeste…
«Proprio cosi, ma fummo anche molto sfor­tunati. Il presidente Loschi, ad ogni buon conto, le tentò ugualmente tutte. Voleva fare il “professore”, e per interposta persona cercò lui pure d’interferire nelle decisioni di carattere tecnico; il suo piccione viaggiatore era il fido Canevari, direttore sportivo del Piacenza».

– La gente, in ogni caso, si schierò dalla sua parte.
«Esattamente. E quando l’Atalanta, nell’ul­timo turno dì campionato, espugnò la Galleana condannandoci alla retrocessione, il sottoscritto venne portato in trionfo, quasi avesse colto la seconda, consecutiva promo­zione ».

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– A questo punto arrivò Farina con il con­tratto per il Lanerossi Vicenza.
«E per me fu la svolta decisiva. Farina è il miglior presidente con cui abbia mai potuto collaborare, migliore persino di quel Paolo Mazza che alla Spal proprio non ne voleva sapere di calcio offensivista. Pensare che a Ferrara, in qualità di allenatore, avrei po­tuto rimanere una vita. Chissà perché, con me in panchina, le vittorie arrivavano a grappoli».

– Ritorniamo al Vicenza. Alla promozione della stagione scorsa sta facendo seguito l’at­tuale, promettentissimo avvio di campionato benché la formazione, per dieci undicesi­mi, sia rimasta la stessa. Ci vuole dare un sintetico giudizio degli undici ragazzi in maglia biancorossa?
«Di Galli risalta in particolar modo la se­rietà e la scrupolosità sul lavoro. Lelj è di­fensore capace di disimpegnarsi tanto sul tornante, quanto sulla punta. Marangon si distingue soprattutto per la vivacità e per la prontezza negli inserimenti. Guidetti è il mediano che ci è sempre mancato, gran tiro e forte personalità. Prestanti riluce per un’elevazione a mio giudizio senza pari. Le doti di Carrara sono doti d’istinto: abile palleggio e chiarissima visione di gioco. Cerilli è un sapiente miscuglio di brio e di tecnica pura. II vecchio Salvi ha il gran dono di far ruota­re al meglio qualsiasi pallone. Paolo Rossi è un fuoriclasse straordinario. Faloppa il trascinatore della squadra. Filippi il gran combattente sempre pronto a soccorrere tutti».

– I pezzi pregiati dell’estate scorsa sono giunti essenzialmente dalla serie cadetta. Se Farina le desse carta bianca e le dicesse di scegliere in B quattro rinforzi per la sua squadra, verso chi s’indirizzerebbe?
«Troppo bello per essere vero. Sceglierei comunque Felice Pulici come portiere, Fran­cesco Scorsa come difensore, Giorgio Rogno­ni come centrocampista e Flavio Zandoli come attaccante».

– C’è qualche giocatore, tra quelli doman­dati a Farina, che si rammarica di non poter avere con sé?
«Diciamo Odorizzi, poderoso mediano della Samb. Per fortuna è arrivato Guidetti, e a questo punto Odorizzi costituirebbe un inu­tile lusso».

– Quale asso straniero sarebbe particolar­mente indicato ad inserirsi nel tipo di gioco da lei perseguito?
«Senz’altro Simonsen, il folletto danese».
fabbri-intervista15t-wp -Può chiarirci di chi fu effettivamente il me­rito dell’acquisto di Paolo Rossi?
«Esclusivamente di Farina. Quando il sot­toscritto mise piede a Vicenza (giugno 77, n.d.r.) l’accordo per la comproprietà era già stato raggiunto. Mi limitai a congratularmi con il presidente per l’operazione, dal mo­mento che di Rossi mi aveva parlato in ter­mini entusiastici Capello, che proprio in quei giorni abbandonava la Juventus ».

– Come si regolerebbe se, malauguratamen­te, Paolo Rossi dovesse osservare un lungo periodo di riposo?
«Non toccherei niente. Inserirei Vincenzi, che è molto forte, e gli ingranaggi conti­nuerebbero a girare come sempre».

– Ha conosciuto, per averli avuti con se, giocatori che avrebbero meritato, calcisti­camente parlando, maggior fortuna?
«Ne ricordo parecchi. Diciamo Bertuccioli, che fu uomo-squadra nel mio Giulianova, Ciccotelli, la cui notorietà non ne rispetta i meriti. Alessandrini, interno di punta del Piacenza, Vernisi, oggi scomparso in quarta serie (gioca nei Pineto, n.d.r.). Quanto detto a proposito di Ciccotelli va ripetuto per due altri miei ex allievi, e precisamente per Scanziani e per Valentini ».

– E’ amico di qualche giornalista sportivo? E di chi in particolare?
«Due nomi soltanto: Lionello Bianchi, di Stadio, e Carlo Grandini del « Giornale » di Montanelli».

– A Piacenza l’aspettano ancora abbraccia aperte, ma è un’attesa inutile, a questo pun­to.
«Nessuno può mai ipotecare il futuro. Per quanto mi riguarda a Piacenza tornerei an­che volentieri, ma a certe condizioni, s’in­tende: che Loschi sia disposto a passare la mano a Bertuzzi».

Ma Gian Battista Fabbri, all’ombra del Pal­ladio, dorme sonni tranquilli: la termoco­perta, naturalmente, è Lanerossi…