GASCOIGNE – GERMANO – GHIGGIA – GREN – GRILLO – GUAITA – GUDMUNSSON – GULLIT
Quando la voglia di fare le valigie e andarsene colpì forte i sudamericani di Milano, Cucchiaroni e Angelillo su tutti, lui ricordò a se stesso e agli altri che c’era un contratto da rispettare, un’immagine da non tradire.
E li convinse a stringere i denti. Così, superati certi affanni iniziali, Ernesto Grillo fece innamorare anche i tifosi della Milano rossonera grazie alle raffinatezze del suo gioco fantasioso e allo stesso tempo potente, con l’inimitabile capacità di dare un’identità al gioco d’attacco della squadra. Nel ’58-59, alla seconda stagione italiana, fu uno degli uomini-chiave del Milan di Viani e Bonizzoni che conquistò lo scudetto, segnalandosi come fantasista e goleador. Lasciò l’Italia dopo tre stagioni, quando nasceva il genio di Gianni Rivera, per fare ritorno in Argentina e chiudere, a tardissima età, la carriera nel Boca Juniors.
In Nazionale giocò dieci volte e segnò cinque reti: in tutto, l’avventura azzurra durò sedici mesi. Alla Roma regalò una cascata di gol, poi, nel 1935, un addio col sapore della fuga. Obbligata, perché in Italia si cominciava a respirare un minaccioso clima di guerra. Lo accusarono di traffici illeciti, costruendo un giallo fittizio su un abbandono clamoroso. Ma nel cuore dei tifosi del Testaccio restò per sempre il “Corsaro Nero”, quello che non aveva paura e si tuffava nelle difese avversarie come se si trattasse di una sfida personale, di un combattimento all’arma bianca.
Il giorno della convocazione, gli uscieri di Via Lauro non riconobbero il pallido trequartista e lo misero alla porta. Soltanto quando il timido islandese, piuttosto perplesso, si scusò con un “sorry”, gli impiegati si resero conto dell’errore e lo fecero accedere alla sede. Per “Gud” i primi tempi non furono facili: scontento per il trattamento, fu sul punto di fuggire, ma la società evitò in extremis la sua partenza. Giocatore di raffinata tecnica ma fragile fisicamente, non riuscì a sfondare. Tornò in Francia, al Racing Parigi, e chiuse la carriera nel Nizza nel 1956. Dopo il calcio, si tuffò in politica arrivando a ricoprire l’incarico di Ministro dell’Industria del governo islandese negli anni Ottanta.
Fisicamente straripante, tecnica- mente abile, capace sia di aprire varchi che di concludere direttamente, non fece sentire la lunga assenza del connazionale Van Basten e i paragoni con l’altro grande numero 10 del nostro campionato, Diego Maradona. si sprecarono. Scoppiò la “Gullit-mania”, con la fioritura di un florido commercio di gadget in onore del calciatore-musicista impegnato contro l’apartheid e conteso in ogni programma televisivo, anche non calcistico. Poi, la lunga serie degli interventi alle ginocchia, da cui risorgeva ogni volta con intatta forza. In maglia rossonera giocò sei stagioni, anche se la terza la passò quasi tutta tra ospedale e rieducazione, e vinse tutto, in Italia e nel mondo. Poi, una breve avventura alla Sampdoria, inframezzata da un ritorno negativo al Milan e le ultime tre stagioni con il Chelsea con cui chiude nel 1998. Successivamente affronta con alterne fortune la carriera di allenatore sia in Inghilterra che in Olanda e Stati Uniti.